Prima di morire, don Gianni Baget Bozzo la mise così: «Marco Pannella in realtà è una figura interna alla cristianità italiana. Non è un politico. È un profeta». Parole sante, è il caso di dire. Marco Pannella non voleva fare a pezzi la Chiesa, voleva riformarla. La sua era una missione. Una missione che, come quella ecclesiastica, trae i propri moventi dall’utopia, da una visione religiosa, dal sogno di un uomo nuovo e di un nuovo umanesimo. Con lui i Radicali erano una Chiesa e di quella Chiesa Pannella era il Papa incontrastato. Nessuno l’aveva eletto, ma tutti si inchinavano al suo magistero. Si era spogliato delle proprie ricchezza, disprezzava i calcoli politici legati all’interesse elettorale, si chiamava Giacinto in onore del prozio prete, nel ’79 fece eleggere in parlamento una suora (Marisa Galli). Pannella stava con gli ultimi, difendeva i diritti dei carcerati e di tutte le minoranze più impopolari, rendeva onore alla dea romana “Pietas” dando a ciascuno una seconda chance. Ex terroristi di destra, ex terroristi di sinistra, ex tossici: tra i ranghi radicali hanno trovato casa, e lavoro, le personalità più disparate. Con la morte del leader anticlericale l’Italia laica ha perso molto, ma molto di più ha perso la Chiesa cattolica. Ci abbiamo perso tutti, in fondo. Perché non esiste cittadino italiano che non si sia riconosciuto in almeno una delle battaglie civili incarnate dal leader radicale: chi non ha condiviso l’aborto ha militato per la giustizia giusta, chi non era per il divorzio lo è stato per l’eutanasia, chi non era interessato alla liberalizzazione delle droghe leggere si è identificato nell’anticlericalismo, chi non era antimilitarista è stato favorevole all’elezione diretta dei sindaci… Uno per tutti, tutti per uno. Perciò ciascuno di noi oggi sente di aver perso il proprio, personale e disinteressato moschettiere. Un intrepido guascone sempre pronto a far scudo col proprio corpo ai nostri ideali più profondi. “Coltivo l’amicizia con Marco, perché semmai dovessi finire in carcere da innocente con un’accusa infamante so che sarebbe l’unico a difendermi”, mi disse una volta un politico perbene. Ed era vero. Perciò, perso Marco, abbiamo perso tutti qualcosa di noi. Qualcosa di vitale. Ma ad aver perso di più è la Politica. Quella con la “P” maiuscola. La Politica intesa come passione civile e tensione ideale, la Politica come condizione d’animo totalizzante. Un tempo era così, era così per molti. Ma quel tempo è irrimediabilmente passato: “politico” o “professionista della politica” sono diventati insulti. E’ questo il tempo dei politici a contratto, degli improvvisatori, degli affaristi. Se ne va, dunque, con Marco Pannella l’ultimo protagonista d’un mondo ormai dissolto. Un mondo che, dimenandoci nel vuoto attuale, non finiremo mai di rimpiangere.