In uno scenario precario perché mutevole a seconda dei capricci di Eolo, la prima zampata della seconda giornata dell’Open Championship è assestata dall’inglese che non t’aspetti: Danny Willett.
Con il suo grip a quattro nocche e i polsi che si caricano all’alba del backswing, il biondo fascio di nervi ha chiuso le prime 36 buche del torneo con un totale di meno 9, parecchio avanti rispetto a tutti i suoi più quotati connazionali.
Con un Justin Rose americanizzato nel volo di palla e dunque in difficoltà nel vento rabbioso della Scozia, con uno Ian Poulter ormai issatosi a re della lagna twittarola più che del campo e con un Tommy Fleetwood alle prese con dei sand iron toccati con la grazia di un rinoceronte, il buon Willett, pronto come una poiana, è andato laddove il suo putt in stato di grazia l’ha issato: in cima al tabellone provvisorio.
Partito come tutti i giocatori con oltre tre ore di ritardo sul tee time a causa dei cassonetti d’acqua piovana rovesciatisi violenti sul campo nelle prime ore della giornata, il nostro Danny –non proprio quello che si definisce un mostro di simpatia- ha giocato sverniciando la pallina a ogni drive e accarezzandola a ogni putt. E alla fine, mentre la maggior parte dei concorrenti non aveva ancora debuttato nella seconda giornata del torneo e dunque non sarà riuscita a concludere entro sera il proprio giro, Willett poteva invece staccare la spina e andarsene in albergo a sorseggiare un meritato tè caldo.
Difficile ovviamente se non impossibile azzardare adesso un pronostico, quando come al solito una gara come l’Open Championship è ostaggio della volubilità del meteo, ma l’inglesino, uno che in campo swinga a razzo, ha messo in mostra tutti i progressi già evidenziati nel corso di questa stagione. Meno nervoso rispetto al passato ma comunque sempre più convinto delle sue potenzialità, Willett pare oggi dare più ascolto ai suoi respiri che ai suoi pensieri affrettati. Ciò non toglie che resterà da vedere se la responsabilità di decollare da così in alto nella terza giornata del Major dei Major non rischi di pietrificargli l’azione tecnica che per altro in queste seconde diciotto buche era totalmente fluida e girava puntuale come un orologio svizzero.