L’Emilia Romagna industriale è conosciuta per lo slogan <piccolo è bello>, perchè il tessuto economico è fatto al 90 per cento da piccole e medie imprese. Gente solida, gli emiliani, gente che sa resistere alle crisi cicliche accusando le difficoltà, ma senza mai finire in ginocchio del tutto. Il <piccolo è bello> dell’economia adesso l’hanno trasferito anche nel calcio. Mentre l’Inter è indonesiana e il Milan rischia di finire ai cinesi, guardate il miracolo del Carpi: cinque anni fa era in
serie D, ora è avviato verso la serie A con 12 punti di distacco dalla seconda. Tutto rigorosamente made in Italy.
A Carpi, dove il senso di appartenenza è esibito con orgoglio, sanno reinventare continuamente le aziende. Il tessile cominciò con i laboratori in garage negli anni Sessanta ed è diventato un polo mondiale. Poi è andato in crisi e da qualche anno è ripartito con marchi di successo che in poco tempo hanno rilanciato il brand – Carpi nel globo. Ora il boom del calcio. Il team dei biancorossi è il miracolo del 2015 e sembra fatto apposta per sottolineare la voglia di riscossa di questa terra dopo il terremoto. Case e capannoni industriali distrutti in un’area che fino al confine con Mantova, poi la rinascita e il rilancio. Il calcio celebra questa ripartenza. Il Carpi è una squadra di giovani, quasi tutti italiani, gioca in uno stadio che contiene appena 4mila supporter. Sembra una paradosso, adesso che si sente profumo di A, rispetto a Piazza Martiri, una delle più grandi d’Italia,forse più dello stadio, appunto.
Qui cominciò a correre e si allenò un mito italiano: Dorando Pietri che diventò maratoneta facendo le consegne per una pasticceria del centro di Carpi. Divenne celebre per non aver vinto le Olimpiadi di Londra solo perchè lo aiutarono a pochi metri dal traguardo. Ma il campione era lui.
C’è un segreto nel Dna calcistico di queste parti? Forse sì, forse no. C’è sicuramente un prodotto tutto fatto in casa che funziona. Presidente carpigiano, Stefano Bonacini, guru della moda col suo marchio Gaudì; giocatori giovani e ambiziosi, un gruppo motivato; senso di appartenenza sapendo di essere i piccoli che sfidano i grandi e ci riescono. Modello esportabile? Difficile dirlo. Ma c’è un precedente, qui a qualche decina di chilometri: il Sassuolo calcio già in serie A, di proprietà del presidente di Confindustria Giorgio Squinzi. Anche qui stipendi contenuti, fame di gol, gruppo senza i talenti stranieri. E poi tifosi agguerriti, come il Carpi: 4mila o giù di lì. Usano il metodo dei pellerossa: sono pochi ma riescono a dare la percezione di essere tanti e battaglieri. Con ogni probabilità, se il Sassuolo si salva, l’anno prossimo avremo in serie A il derby dei distretti industriali: Sassuolo (ceramica) contro Carpi (maglieria). Razza emiliana. Le due città, eternamente rivali sul piano industriale, probabilmente si sfideranno in 90 minuti. Che la favola delle piastrelle e della lana intrecciate al pallone duri poco o molto non è tanto importante. Qualcuno è riuscito a costruirla e a far sognare l’Italia del piccolo è bello.
Beppe Boni