Di Lorenzo Bianchi

Un Paese gravemente ferito, ma non ancora morto e soprattutto in grado di risollevarsi contro i nemici. E’ questo il volto dell’Iran che gli ayatollah hanno deciso di mostrare al mondo radunando a Teheran migliaia di persone per i funerali dei leader militari e degli scienziati nucleari uccisi nella guerra dei 12 giorni. Una cerimonia in grande stile, con il nero dei vestiti colore predominante e gli slogan «morte a Israele e all’America», alla quale ha partecipato gran parte dell’establishment della teocrazia. In prima fila il presidente Masoud Pezeshkian ed il contrammiraglio Ali Shamkhani, un consigliere di alto livello di Ali Khamenei, immortalato con un bastone a causa delle ferite riportate in un raid dell’Idf che ha distrutto la sua abitazione.

Risaltava l’assenza di Ali Khamenei, la Guida suprema, che è rimasto nascosto in un bunker dopo le minacce di morte del premier israeliano Benjamin Netanyahu e del presidente americano Donald Trump. I funerali di Stato di una sessantina di alti quadri iraniani sono stati preceduti da una campagna mediatica che aveva esortato la popolazione a partecipare, offrendo viaggi gratuiti in autobus e in metropolitana. Le immagini dell’evento hanno mostrato le bare avvolte nella bandiera iraniana, con i ritratti dei comandanti uccisi (dal capo di stato maggiore Mohammad Bagheri al leader dei Pasdaran Hossein Salam), tra due ali di folla sovrastata da modelli di missili balistici simili a quelli lanciati contro Israele.

La Guida suprema, che per motivi di sicurezza non si è fatto vedere in pubblico, si è rivolta alla nazione via social affermando che «gli americani ci hanno insultati, aspettandosi una resa, che non accadrà mai». Il ministro degli Esteri Abbas Araghchi si è rivolto a Trump: «Se è sinceramente interessato a un accordo, dovrebbe mettere da parte il tono irrispettoso e inaccettabile nei confronti della Guida Suprema». L’inquilino della Casa Bianca si era fatto beffe dell’ayatollah affermando di averlo «salvato da una morte brutta e ignominiosa», pur «conoscendo perfettamente il posto nel quale si nasconde». In questo clima tesissimo resta appesa a un filo la possibilità che riparta il negoziato tra la Repubblica Islamica e gli Stati Uniti. Teheran, dopo aver sospeso la collaborazione con l’Aiea, ha annunciato che non permetterà più al direttore generale Rafael Grossi di visitare i suoi impianti. Quanto a Trump, ha continuato a inviare messaggi ambigui. Prima ha assicurato che gli iraniani «vogliono incontrarlo» e che succederà «presto». Poi però ha liquidato come una «bufala» la notizia che la sua amministrazione vorrebbe dare all’Iran 30 miliardi di dollari per costruire impianti nucleari civili, ed ha anche frenato sulla possibilità di ridurre le sanzioni al regime.

Le incognite riguardano soprattutto l’entità dei danni alle infrastrutture iraniane dopo i raid israeliani e soprattutto quelli americani, con le potenti bunker buster che si sono spinte a decine di metri nel sottosuolo dell’impianto di Fordow. A Teheran hanno ammesso danni seri, ma non irreparabili, mentre l’Aiea non è stata ancora in grado di stabilire quanta parte di centrifughe e di uranio arricchito sia stata distrutta o spostata. Trump, non a caso, ha dichiarato che avrebbe «assolutamente» preso in considerazione l’idea di bombardare nuovamente l’Iran. Con la benedizione di Israele.

L’Iran ha le capacità tecniche per riprendere l’arricchimento dell’uranio entro “qualche mese”, ha affermato Rafael Grossi, capo dell’Agenzia dell’Onu per l’Energia Atomica (in sigla AIEA), in un’intervista al network televisivo americano CBS. A quasi una settimana dai bombardamenti statunitensi sui siti nucleari di Fordow, Natanz e Isfahan, tutti concordano, persino Teheran, sul fatto che questi impianti abbiano subito danni, ma permangono dubbi sull’effettiva efficacia di questi attacchi. “Ci sono stati danni significativi, ma non completi (…) Possono avere, sapete, entro pochi mesi, direi, centrifughe operative per produrre uranio arricchito”, ha dichiarato Grossi ieri in un’intervista che andrà in onda il 29 giugno. Un’altra questione chiave è il destino di oltre 400 chili di uranio arricchito al 60%, che teoricamente potrebbero essere utilizzati per realizzare più di nove bombe atomiche se il livello venisse portato al 95%. In un’intervista che andrà in onda il 29 giugno nel programma “Sunday Morning Futures” del canale televisivo americano Fox News, Donald Trump ha assicurato che le riserve di uranio dell’Iran non erano state spostate prima degli attacchi statunitensi: “E’ una cosa molto difficile da fare, e non abbiamo dato alcun preavviso (prima dei bombardamenti). Non hanno spostato nulla)”, ha affermato. Ma gli ispettori dell’AIEA non hanno visto queste riserve dal 10 giugno. Per questo motivo hanno chiesto l’accesso ai siti e alle riserve iraniani.

La tregua tra l’Iran e Israele, nonostante le violazioni del cessate il fuoco messe in atto sia da Gerusalemme sia da Teheran, è una realtà. Il ministro della Difesa Israel Katz ha dato istruzioni alle Forze Israeliane di Difesa di effettuare «attacchi intensi contro obiettivi del regime nel cuore di Teheran» per rispondere ai due missili balistici iraniani lanciati (ma intercettati) dopo che era entrata in vigore la tregua. È stato colpito un sistema radar vicino a Teheran. La teocrazia non ha risposto. Il cessate il fuoco, annunciato nel cuore della notte da Donald Trump su Truth, il suo canale social, ha retto nonostante i timori di violazioni e le reprimende del tycoon.

Il presidente iraniano Masud Pezeshkian ha proclamato «la fine della guerra dei 12 giorni imposta» al suo Paese, dopo essersi detto pronto a tornare «al tavolo delle trattative». Il numero uno del Parlamento però continua a difendere i «diritti legittimi» di Teheran ad avere un suo programma nucleare e ad arricchire l’uranio. Il premier dello stato ebraico Benjamin Netanyahu ha parlato di «una vittoria storica che durerà per generazioni» e ha proclamato il ritorno alla normalità del traffico aereo in entrata e in uscita senza restrizioni, ha ripristinato la libertà di movimento e ha riaperto le scuole e gli uffici.

Prima di volare al vertice Nato de L’Aja Trump ha strigliato l’Iran e soprattutto Israele per aver violato la tregua poche ore dopo il suo annuncio. «Non sono soddisfatto dell’Iran né tantomeno di Israele… in pratica abbiamo due Paesi che combattono da così tanto tempo e così duramente che non sanno più cosa c… stanno facendo», ha imprecato prima di imbarcarsi sull’Air Force One, preannunciando la sua intenzione di fermarli. Ha investito con una sfuriata senza precedenti il premier israeliano Benjamin Netanyahu, l’alleato che ha sostenuto con i raid americani su tre siti nucleari iraniani e che ora starebbe valutando un viaggio lampo alla Casa Bianca. «Non mi è piaciuto il fatto che Israele abbia bombardato dopo aver concluso l’accordo (sulla tregua). Non dovevano farlo, e non mi è piaciuto il fatto che la rappresaglia sia stata molto forte», ha accusato, sottolineando che si trattava di una risposta a «un singolo razzo (iraniano) che non è atterrato da nessuna parte». Prima che scattasse la tregua un missile di Teheran ha ucciso quattro israeliani a Beer Sheva. «Israele, non sganciare quelle bombe. Se lo fai, è una grave violazione. Richiama subito i tuoi piloti a casa!», ha ammonito su Truth. Subito dopo il tycoon ha chiamato Netanyahu ed è stato «eccezionalmente fermo e diretto», secondo fonti della Casa Bianca, incassando lo stop. «Israele non attaccherà l’Iran. Tutti gli aerei torneranno a casa, mentre faranno un saluto amichevole all’Iran. Nessuno sarà ferito, il cessate il fuoco è in vigore!», ha potuto finalmente annunciare poco dopo sui social. Una svolta coronata dal successivo annuncio della fine della guerra da parte di Pezeshkian.

Trump ha ribadito che Teheran non avrà mai «né l’arricchimento dell’uranio né l’arma nucleare» ma ha sgombrato il campo dall’ipotesi evocata su Truth di un cambio di regime «che porterebbe il caos» e ha profetizzato per l’Iran un futuro da «grande Nazione commerciale, ricca di petrolio». Restano aperti vari nodi, a partire dalla riapertura dei negoziati sul nucleare e dal destino dell’uranio arricchito iraniano, apparentemente messo in salvo prima dei raid Usa. I media iraniani affermano oggi che lo scienziato e ricercatore nucleare Mohammadreza Sedighi Saber è stato ucciso durante un attacco israeliano alla casa di suo padre nella città di Astaneh Ashrafieh, nella provincia settentrionale di Gilan. In un altro attacco israeliano alla casa di Sedighi-Saber a Teheran, nei giorni scorsi, era stato ucciso anche il figlio diciassettenne. L’uomo era stato sanzionato dagli Stati Uniti per aver aiutato l’Iran a sviluppare armi atomiche.

Nella notte del 22  giugno il presidente americano Donald Trump ha ordinato un attacco a tre siti nucleari cruciali dell’Iran (Fordow, Natanz ed Esfahan) due giorni dopo aver dato un ultimatum di due settimane a Teheran per negoziare. L’operazione è stata battezzata a ‘Midnight Hammer’, ‘Martello di mezzanotte”. Il capo dello Stato maggiore congiunto Dan Caine ha confermayto che i bombardieri B-2 hanno sganciato su Fordow 14 bombe GBU-57 Massive Ordnance Penetrator, capaci di sfondare bunker, ciascuna del peso di 30.000 libbre. L’operazione ha coinvolto oltre 125 aerei e un sottomarino della Marina Usa nel Golfo Persico. Per il Pentagono, i raid sono stati «efficaci» e tutti e tre i siti hanno subito «danni e distruzione estremamente gravi».

Rafael Grossi, il direttore generale dell’Agenzia delle Nazioni Unite contro la proliferazione delle armi atomiche (in sigla Aiea), ha riferito che, mentre Natanz è stata «completamente distrutta» e il sito di Isfahan ha subito «danni molto gravi», la situazione nei sotterranei di Fordow è poco chiara. Alcuni dirigenti iraniani assicurano che non ha subito danni gravi e che la maggior parte dell’uranio altamente arricchito immagazzinato presso l’impianto era stato trasferito prima dei raid Usa in una località segreta, come lascerebbero intendere anche delle immagini che mostrano un convoglio in movimento pochi giorni fa. L’Aiea ha reso noto che al momento non sono stati segnalati aumenti dei livelli di radiazioni all’esterno dei siti colpiti. Anche i «diversi feriti» nei raid, ha riferito Teheran, non mostravano segni di «contaminazione radioattiva».

Ali Akbar Velayati, consigliere della Guida Suprema iraniana, l’Ayatollah Ali Khamenei, ha dichiarato domenica all’agenzia di stampa ufficiale Irna .che le basi utilizzate dalle forze statunitensi per lanciare attacchi contro i siti nucleari iraniani saranno considerate “obiettivi legittimi”. “Non c’è più posto per l’America o le sue basi in questa regione e nel mondo islamico”, ha affermato. Trump ha ribadito, in «un lavoro di squadra», l’asse con Bibi che ha pregato per lui al Muro del Pianto.

Preoccupa anche la minaccia ventilata dal Parlamento iraniano di chiudere lo Stretto di Hormuz, attraverso il quale passa un quarto del traffico globale di petrolio e circa un terzo di quello di gas naturale. «Sarebbe un suicidio», ha replicato il vicepresidente Usa JD Vance, avvisando che gli Stati Uniti «non sono in guerra con l’Iran, ma con il programma nucleare iraniano».

Saeed Izadi, capo della divisione palestinese delle forze speciali al Quds dei Pasdaran, è stato ucciso il 21 giugno a Qom,  a due ore di auto da Teheran. Era l’alto ufficiale dei Pasdaran che teneva i contatti con Hamas. Si era salvato nel 2024 quando fu bombardata l’ambasciata dell’Iran a Damasco. Procurava armi e denaro ad Hamas. Era un consigliere di Sinwar e di Mohammed Deif, le menti della strage del 7 ottobre ai confini di Gaza. Per Israele la sua uccisione è stata uno dei momenti chiave della guerra.

In questi ultimi giorni dall’Iran ci arriva «una sfida diversa da quelle che abbiamo conosciuto finora», ha ammesso Eyal Zamir, il capo di stato maggiore delle Forze Israeliane di Difesa. Come succede ogni giorno da una settimana, gli israeliani si sono svegliati con le sirene dell’antiaerea. Ancora una volta sono risuonate a Beer Sheva, nel sud, all’indomani dell’attacco che aveva colpito l’ospedale Soroka. All’alba, un missile balistico iraniano ha centrato un parcheggio vicino a edifici residenziali. Scene di devastazione, appartamenti distrutti, veicoli in fiamme, facciate di edifici e balconi crollati. Sette i feriti. Le Guardie rivoluzionarie iraniane hanno rivendicato anche di aver attaccato una sede di Microsoft, perché avrebbe «collaborato» con l’esercito israeliano.

Il cuore dell’arricchimento dell’uranio iraniano sono le centrifughe piazzate a 90 metri di profondità nelle rocce della montagna di Fordow. Gli israeliani non hanno bombe in grado di raggiungerle. Il Pentagono dispone di 19 bombardieri stealth B2 Spirit che possono sganciare due GBU-57A7B capaci di penetrare la roccia della montagna fino a 61 metri. Sono lunghe sei metri e venti centimetri, pesano 13600 chili, e fanno scoppiare una carica di 2300 chili di esplosivo polimerico. Il loro effetto è simile a quello di un terremoto. Il Pentagono ha suggerito al presidente statunitense Donald Trump di colmare il gap usando ordigni convenzionali per preparare il terreno e in un secondo tempo sganciando un’atomica tattica come l’ultimo modello delle B 61 da poco trasferite anche in Italia. Dall’inizio dei bombardamenti israeliani l’inviato speciale di Trump per il Medio Oriente Steven Charles Witkoff ha suggerito in diverse telefonate al ministro degli esteri della teocrazia Abbas Araghchi di trasferire l’arricchimento dell’uranio per scopi civili all’esterno del territorio iraniano.

Il commander in chief  emargina sempre di più il segretario alla Difesa Pete Hegseth e la direttrice della National Intelligence Tulsi Gabbard dalle decisioni sull’Iran. Si affida a un gruppo ristretto di persone,  il suo vice JD Vance, il segretario di Stato Marco Rubio, l’inviato per il Medio Oriente Steve Witkoff, il capo della Cia John Ratcliffe, i generali a quattro stelle Erik «The Gorilla» Kurilla (Comando Centrale) e Dan «Raisin» Caine (capo degli Stati Maggiori Riuniti). La Casa Bianca ha persino bocciato il candidato del Pentagono – appoggiato da Gabbard – per la guida della National Security Agency (Nsa) e per il Comando della cibernetica statunitense. La numero uno degli 007 è stata sconfessata pubblicamente due volte questa settimana dal presidente. «Si sbaglia», ha detto il tycoon riferendosi alla sua testimonianza di marzo al Congresso, dove aveva escluso che Teheran stesse costruendo una bomba atomica. Gabbard ha fatto subito dietrofront e si è allineata: «I media disonesti stanno intenzionalmente estrapolando la mia deposizione dal contesto e diffondendo notizie false per alimentare la divisione. L’America ha informazioni di intelligence che l’Iran è al punto di poter produrre un’arma nucleare entro poche settimane o mesi, se decide di finalizzare l’assemblaggio. Il presidente è stato chiaro. Questo non può accadere, e sono d’accordo». I B2 Spirit sono stati rischierati sull’isola Diego Garcia  nell’Oceano Indiano, circa 1600 km a sud dell’India, ma potrebbero colpire Fordow anche partendo dagli Stati Uniti. Dalla base aerea di Whiteman, in Missouri, si sono levati in volo sei bombardieri B-2,. La destinazione pare essere l’isola di Guam, territorio statunitense nel Pacifico Occidentale.

Nel pomeriggio del 20 giugno venticinque missili iraniani hanno fatto scattare l’allarme in tutto Israele. Ad Haifa hanno ferito 23 civili, tre dei quali gravemente. Un sedicenne è stato investito dalle schegge. Il presidente israeliano Isaac Herzog ha denunciato che il raid ha raggiunto anche la moschea di Al-Jarina, «ferendo religiosi musulmani e fedeli in preghiera». Secondo i media il missile è caduto non lontano dal porto, che insieme ad Ashdod rappresenta uno snodo marittimo importante per lo Stato ebraico. Il colosso danese del trasporto marittimo Maersk ha deciso di sospendere temporaneamente gli scali, «dopo aver analizzato attentamente i rischi di minaccia relativi al conflitto».

Lo Stato ebraico rivendica di aver distrutto 950 droni, decine di lanciamissili e di siti di stoccaggio dei razzi e obiettivi a Teheran, tra i quali un «centro di ricerca e sviluppo per il progetto di armi nucleari». Le autorità iraniane hanno riconosciuto che undici pasdaran sono stati uccisi in mattinata in una base a Bostanabad. La teocrazia denuncia che un razzo ha danneggiato un ospedale di Teheran, portando a tre le strutture sanitarie colpite in una settimana.

Secondo l’agenzia iraniana di stampa non governativa Hrana, (ndr. acronimo inglese di Agenzia di notizie degli attivisti per i diritti umani) almeno 206 persone sono state arrestate in varie città dell’Iran per avere pubblicato online messaggi relativi al conflitto con Israele. Proseguono i blackout di internet, così come gli arresti per «spionaggio» in favore di Israele. Per ultimo, un cittadino europeo la cui identità resta sconosciuta. Londra ha disposto il ritiro temporaneo del suo personale della delegazione diplomatica in Iran. Anche la Svizzera ha chiuso «temporaneamente» la sua ambasciata a Teheran.

All’alba del 19 giugno i caccia dell’aviazione israeliana hanno colpito il reattore ad acqua pesante di Arak (nel video delle Forze Israeliane di Difesa, diffuso dall’agenzia Agi, gli effetti del bombardamento), nell’Iran occidentale e hanno preso di mira per la seconda volta in una settimana l’impianto di arricchimento di Natanz nonché un sito vicino collegato al programma nucleare della repubblica islamica. Si tratterebbe dell’impianto di produzione dell’acqua pesante di Khondab. Il servizio di intelligence di Israele teme che il reattore di Arak, progettato dal 2002 con la società russa Nikiel, possa essere riattivato in poco tempo. Nella serata del giorno prima le Forze Israeliane di Difesa avevano  diffuso sui social iraniani un messaggio in farsi e una mappa per avvertire i residenti di Arak che l’area sarebbe stata bombardata. Poche ore dopo i jet militari hanno sganciato tonnellate di munizioni per arrivare a «distruggere il componente destinato alla produzione di plutonio», ha dichiarato l’esercito. I reattori ad acqua pesante possono produrre facilmente plutonio che, come l’uranio arricchito, può essere usato per realizzare il nucleo di una bomba atomica. Sui tempi della costruzione di un ordigno nucleare si accavallano le previsioni più disparate. Dieci anni fa il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu aveva detto: “L’Iran è a poche settimane da un intero arsenale di bombe atomiche”,

L’Iran ha accusato l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (Aiea) di essere un «partner» dell’aggressione israeliana in un post scritto su X dal portavoce del ministero degli Esteri e indirizzato al capo dell’agenzia Rafael Grossi. L’Aiea aveva stigmatizzato il comportamento di Teheran in un rapporto precedente all’inizio della guerra per non aver rispettato gli obblighi sul programma nucleare. Il 18 giugno Grossi ha aggiustato il tiro: «Siamo giunti alla conclusione che non possiamo affermare che al momento in Iran ci sia uno sforzo sistematico per produrre un’arma nucleare».

Il 19 giugno poco dopo le sei del mattino, ora locale, a Tel Aviv e nel resto del Paese sono scattati prima gli allarmi sui cellulari, poi le sirene. Milioni di persone si sono rifugiate nelle aree protette sotterranee. L’ondata di missili balistici sparati dal territorio della Repubblica islamica, una trentina, ha scatenato un finimondo di esplosioni: quelle degli ordigni intercettori israeliani e le deflagrazioni dei vettori con testate da 500 chili di esplosivo che non sono stati abbattuti dagli Arrow dei militari israeliani. Un missile è caduto sul principale ospedale meridionale di Israele, il Soroka Medical Center, che dispone di oltre 1.000 posti letto e fornisce servizi a un milione di residenti. Altri due missili sono esplosi a Holon e a Ramat Gan, nella parte centrale di Israele, ferendo decine di persone. Sei sono gravi. Gli artificieri hanno trovato sul luogo delle detonazioni tracce evidenti di bombe a grappolo, capaci di disperdere munizioni più piccole che si propagano su un’ampia area. «L’ospedale Soroka serve l’intera regione del Negev, curando israeliani, i nostri vicini palestinesi, cristiani. Il suo personale devoto – ebrei e arabi – lavora fianco a fianco unito dalla missione di guarire», ha commentato il presidente Isaac Herzog visitando la struttura, che intanto ha evacuato la maggior parte dei suoi pazienti. Il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araqchi ha affermato che il missile era diretto a un quartier generale militare e di intelligence adiacente.

La portaerei USS Gerald R. Ford e il suo gruppo da combattimento entro la settimana prossima raggiungeranno le altre due navi da guerra statunitensi dislocate in Medio Oriente. Un aumento dei movimenti è segnalato dai siti militari anche ad Aviano. I media israeliani hanno riportato le immagini satellitari della base americana nell’Oceano indiano, la Diego Garcia, che mostrano quattro bombardieri B-2 (già dispiegati nei mesi scorsi). Questi velivoli possono trasportare le buster bunker GBU-57: gli unici ordigni in grado di penetrare a decine di metri di profondità nella roccia, dove è nascosto l’impianto di arricchimento dell’uranio di Fordow. Il gioiello della corona degli ayatollah.

«Non ci arrenderemo mai e se gli Usa ci attaccano subiranno danni irreparabili», è stato l’avvertimento lanciato dalla Guida suprema Ali Khamenei in un nuovo intervento alla tv di Stato Irib. ,Un messaggio di 9 minuti, con al fianco la foto del fondatore della Repubblica islamica Khomeini. L’ottantaseienne capo della teocrazia ha detto che non ci sarà «nessuna pietà per i leader israeliani» e che lo Stato ebraico sta subendo una «punizione severa», tanto che «i suoi amici americani» sono stati costretti ad «entrare in scena». E proprio a Trump ha rivolto il secondo strale: «Un suo intervento militare provocherà danni irreparabili».

Lo scontro, al momento solo verbale, tra Khamenei e Trump, si è consumato nel sesto giorno di conflitto tra Israele e Iran. Teheran è stata bersagliata ancora dai raid. Sarebbe stata centrata anche un’università finanziata dalle Guardie della Rivoluzione. Sono proseguiti i bombardamenti sui siti nucleari. L’Aiea, l’agenzia delle Nazioni Unite che dovrebbe contrastare la proliferazione delle armi atomiche, ha parlato di danni a due impianti di produzione di centrifughe a Karaj e a Teheran. In azione anche le cyber-unità. La rete internet è quasi interamente bloccata in tutto il Paese.

La risposta iraniana è arrivata con ripetuti lanci di droni verso il nord di Israele e di missili balistici sul centro del Paese, compresa Tel Aviv. Quasi tutti abbattuti, ha comunicato l’aeronautica. I militari hanno rilevato che si è trattato di pochi missili e non un’ondata come nei giorni scorsi. Teheran ha rivendicato anche l’utilizzo di vettori ipersonici. Secondo le Forze Israeliane di Difesa il nemico ha lanciato finora oltre mille droni e 400 missili balistici, 20 dei quali hanno colpito aree urbane causando vittime e danni ingenti. Almeno 24 morti e 500 feriti l’ultimo bilancio. In Iran i morti sarebbero almeno 585 e 1.300 feriti, secondo i calcoli della ong Hrana.

Il bilancio delle vittime e dell’estesa distruzione registra una realtà che non si era mai vista prima in Israele. Nella notte tra il 15 e il 16 giugno diversi missili iraniani hanno superato lo sbarramento delle Forze Israeliane di difesa e hanno colpito il centro e il nord il Paese, provocando 8 morti e circa 300 feriti. Non solo, in serata le autorità hanno rivelato che i tre uccisi a Haifa nella notte si trovavano negli impianti della compagnia Bazan, le raffinerie della città. Erano in una stanza interna considerata tra le più protette, ma il missile iraniano è esploso vicino causando un incendio. I lavoratori sono rimasti intrappolati e sono morti per asfissia a causa del fumo e del calore estremo generato dall’esplosione.

Poco dopo le 18 del 16 giugno sono rimbalzate in Israele le immagini in diretta dell’attacco all’emittente statale iraniana Irib. La conduttrice Sahar Emami, col capo coperto dal velo nero e blu, annuncia con concitazione di essere sotto un bombardamento nemico, poi si sente una forte esplosione. Cadono calcinacci, detriti, si alza il fumo, blocchi di cemento crollano dal soffitto, lei scappa via dallo studio. Lo schermo si riempie di buio, si sente una voce gridare più volte: «Allahu Akbar» (ndr Allah l’onnipotente). Filmati ripresi dall’esterno mostrano l’edificio in fiamme. Poco dopo la rete è tornata in diretta con Emami: «Quello che avete visto è un crimine palese del regime sionista sulla terra santa dell’Iran», ha detto, «le nostre forze armate, risolute, continuano a percorrere la strada del nostro popolo innocente».

Il premier israeliano Benyamin Netanyahu, in un’intervista al network televisivo americano Abc, non ha escluso di volere l’eliminazione dell’ayatollah Ali Khamenei. Alla domanda sul presunto veto del presidente Donald Trump, secondo il quale l’uccisione della Guida Suprema dell’Iran aggraverebbe la situazione, il primo ministro israeliano ha risposto: «Non l’aggraverà, ma vi porrà fine».  Poco tempo prima che i caccia israeliani facessero cadere le loro bombe, era arrivato un messaggio di evacuazione in farsi dai militari dello stato ebraico per la popolazione che abita vicino al quartier generale dell’Irib. Il ministro della Difesa Israel Katz ha anticipato l’attacco con una dichiarazione: «Il portavoce della propaganda e dell’incitamento iraniano sta per scomparire». Successivamente l’esercito ha confermato ufficialmente l’attacco alla tv di Stato, spiegando che «il centro comunicazioni del regime è stato utilizzato dalle forze armate iraniane per promuovere operazioni militari sotto copertura civile».

I Pasdaran iraniani hanno avvertito: «Si invitano i residenti di Tel Aviv a evacuare il prima possibile». In serata Teheran ha diffuso un avviso di evacuazione affidato ai network televisivi israeliani N12 ed N14. I media statali hanno quindi avvisato che l’Iran si sta preparando per il «più grande e intenso attacco missilistico» contro Israele.

Il Wall Street Journal ha riferito che Teheran avrebbe segnalato la volontà di porre fine alle ostilità e di riprendere i colloqui sul nucleare, inviando messaggi a Israele e agli Stati Uniti tramite intermediari arabi. I diplomatici iraniani avrebbero detto di essere disponibili a tornare al tavolo delle trattative, a condizione che gli Usa non prendano parte ai raid di Gerusalemme. In serata Netanyahu ha rilasciato una dichiarazione live sul drammatico momento: «Abbiamo aperto un’autostrada nei cieli dell’Iran, li dominiamo. Siamo sulla strada verso la vittoria. Se qualcuno aveva dei dubbi, oggi non ne ha più. Anche gli iraniani lo capiscono». E ha aggiunto: «Abbiamo colpito duramente l’impianto di arricchimento dell’uranio di Natanz, distrutto un numero enorme di lanciatori: non importa quanti missili abbiano, importa il numero dei lanciatori distrutti. Gli iraniani avevano migliaia di droni: ne abbiamo eliminata la metà», ha affermato. Nel frattempo, il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araqchi ha scritto sul suo account X-net che «una sola telefonata del presidente Trump potrebbe porre fine agli attacchi contro l’Iran». «Questa è l’unica cosa – ha detto il responsabile della diplomazia di Teheran – che può bloccare Netanyahu e aprire la strada alla diplomazia», precisando però di non essere sicuro che «Trump faccia sul serio e sia interessato a porre fine alla guerra».

 Nella prima ondata di raid e di attacchi anche dall’interno dell’Iran erano caduti Mohammed Bagheri, capo di stato maggiore dell’esercito degli ayatollah, Hossein Salami, comandante dei Pasdaran, Esmail Ghani, numero uno delle forze speciali al Quds dei “Guardiani della Rivoluzione”, Gholam Ali Rashid, vicecapo di Stato Maggiore, Amir Hajizadeh, numero uno delle forze aerospaziali iraniane, Daud Shaykhian, responsabile militare delle forze aeree dei Pasdaran. Fra gli scienziati, gli esperti dei progetti nucleari della teocrazia, sono stati uccisi (alcuni nel sonno) Fereydoun Abbasi-Divani, Mohammad Mehdi Tehranchi, Ahmad Zolfaghari, Amirhossein Feghi, Abdolhamid Manouchehr. Iran International riferisce che l’ayatollah Ali Khamenei “è stato trasferito in un bunker sotterraneo a Levizan, nel nord-est di Teheran, poco dopo i primi attacchi a Teheran”. Tutti i membri della famiglia di Khamenei, compreso Mojtaba, il figlio che potrebbe succedere al padre alla Guida del Paese, sarebbero con lui.

Il 15 giugno nella sede della loro organizzazione ridotta in macerie avrebbero perso la vita il capo dell’intelligence dei Pasdaran, Mohammad Kazemi, e il suo vice Hassan Mohaqqeq. Per tutta la giornata sono caduti razzi su Teheran. Oltre ai missili, l’offensiva è stata condotta anche con autobomba: almeno cinque sono esplose in diverse zone della città. Decine gli obiettivi presi di mira, tra i quali due depositi di carburante. I residenti hanno cecato rifugio nelle moschee e nelle metropolitane. L’aeronautica dello Stato ebraico ha poi allargato il raggio d’azione e ha colpito la città nord-orientale di Mashhad, a 2.300 chilometri di distanza da Israele.

Le bombe su Bat Yaman, una cittadina di mare vicina a Tel Aviv, sono state uno shock per il paese e Benyamin Netanyahu, visitando la zona, ha tuonato: «L’Iran pagherà un prezzo altissimo per l’assassinio deliberato di civili, donne e bambini. Raggiungeremo i nostri obiettivi e infliggeremo loro un colpo devastante». Lo stesso premier ha poi confermato la «distruzione dell’impianto principale» di Natanz, nel centro dell’Iran, dove si arricchisce l’uranio. L’Aiea nei giorni scorsi aveva riferito che la parte in superficie dell’impianto era stata distrutta.

L’Iran ha contrattaccato con due nuove ondate di missili.  Forti esplosioni sono state sentite a Tel Aviv, a Gerusalemme, nel nord e nel sud, mentre le Forze israeliane di Difesa diramavano sui cellulari i messaggi di allerta che invitavano a scendere nei rifugi. Ci sono stati almeno sei feriti in un edificio nel sud centrato da un razzo. Secondo i militari israeliani almeno 200 vettori balistici sono stati lanciati contro Israele dall’inizio dell’offensiva di venerdì 13 giugno. «Il piano sta funzionando come al solito e anche oltre. L’attacco a Teheran e ai suoi sistemi nucleari, agli impianti di produzione di armi, alla difesa aerea e ai missili è potente», ha commentato il ministro israeliano della Difesa Israel Katz durante una valutazione della situazione con il capo di stato maggiore, con il direttore del Mossad e con alti ufficiali delle Forze Israeliane di Difesa. «Chi ci attacca trasforma Teheran in una Beirut», è stato l’avvertimento, rivolto anche agli alleati degli iraniani che sono tornati a minacciare la sicurezza di Israele. Gli Houthi dello Yemen hanno rivendicato il lancio di «diversi missili balistici ipersonici» in coordinamento con l’Iran.

Il Wall Street Journal riferisce che l’America ha assistito Gerusalemme nella difesa dai missili da «aria, terra e mare». E la Gran Bretagna sta dispiegando risorse in Medio Oriente, compresi jet, in seguito alle tensioni tra Iran e Israele, ha affermato il primo ministro Keir Starmer. La diplomazia iraniana ha avvertito Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia: «Se contribuiranno a sventare gli attacchi contro Israele, l’Iran colpirà le loro basi militari in Medio Oriente».

Alle tre di notte di venerdì 13 giugno l’aeronautica militare israeliana ha cominciato a colpire siti militari e nucleari iraniani, ha decapitato i vertici dei Pasdaran e ha ucciso 78 civili. La fonte della cifra è l’ambasciatore di Teheran Amir Saeed Iravani che ha preso la parola durante una riunione di emergenza del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. “Condanniamo con forza e inequivocabilmente – ha detto – questi attacchi barbari e criminali. Una serie di omicidi mirati contro alti ufficiali militari, scienziati nucleari e civili innocenti. Ad oggi, 78 persone sono state martirizzate (ndr. uccise) e più di altre 320 altre sono state ferite,  nella stragrande maggioranza civili, tra i quali donne e bambini. L’Iran risponderà in maniera decisa e proporzionata”.

Nella serata dello stesso giorno il regime degli ayatollah ha risposto lanciando almeno 150 missili balistici. Alcuni vettori hanno perforato la sofisticata difesa aerea israeliana. Deflagrazioni, incendi e feriti lievi a Tel Aviv e a Gerusalemme, mentre suonavano le sirene e la popolazione era chiusa nei rifugi. Teheran sostiene di aver abbattuto due jet israeliani e di aver «catturato una pilota». Israele ha smentito la notizia. I caccia di Tsahal, le forze armate dello Stato ebraico, hanno colpito «oltre 200 obiettivi», tra siti nucleari, lanciamissili e droni, infrastrutture militari strategiche della Repubblica islamica. Sono stati decimati il comando militare iraniano e la squadra di scienziati nucleari che ha guidato la corsa alla bomba atomica. L’attacco preventivo è stato annunciato nel cuore della notte dal ministro della Difesa Israel Katz.

Poco dopo l’uccisione di Hossein Salami, il Comandante delle Guardie della Rivoluzione (i Pasdaran),  Mohammad Pakpour, il nuovo numero uno del corpo,  ha dichiarato: «Il regime sionista avrà un destino amaro e doloroso, con conseguenze gravi e distruttive. Apriremo le porte dell’inferno». Il premier dello stato ebraico Benjamin Netanyahu aveva detto che si aspettava «diverse ondate di attacchi iraniani». La prima, un centinaio di droni, è stata fermata dai sistemi di difesa israeliani che li hanno abbattuti prima che entrassero nello spazio aereo del Paese. Nella serata del 13 giugno l’allerta massima per un attacco dall’Iran – l’operazione ‘Vera Promessa 3’ – è arrivata sui telefoni cellulari di tutte le persone che si trovano nel territorio del Paese. È stata la prima di almeno tre ondate di missili balistici degli ayatollah.

L’attacco aereo israeliano, denominato Leone Nascente, è arrivato alla vigilia di quello che avrebbe dovuto essere il sesto round di colloqui tra gli Stati Uniti e l’Iran. Era in calendario per il 15 giugno, domenica, in Oman. È stato subito annullato. «L’azione militare di Israele contro l’Iran è stata eccellente», ha commentato il presidente americano Donald Trump. «Abbiamo dato a Teheran una chance e non l’ha colta. Sono stati colpiti molto duramente», ha constatato anticipando che ci saranno «molti altri attacchi». La sua porta aperta è questa: «Due mesi fa – ha scritto sul suo social Truth – ho dato all’Iran un ultimatum di 60 giorni per sottoscrivere un accordo. Oggi è il giorno 61. Ora orhanno, fse, una seconda possibilità. L’Iran non può avere una bomba nucleare, speriamo di tornare al tavolo delle trattative». Trump ha aggiunto che era stato informato dell’attacco da Gerusalemme.

Il premier israeliano ha invece affidato a un video il messaggio ai cittadini per spiegare la decisione di attaccare: «Stavano cercando di accelerare la produzione e di fabbricare 300 missili balistici al mese, pari a 10.000 missili in tre anni, 20.000 in sei, ognuno con una tonnellata di esplosivo. È come far cadere autobus carichi di esplosivo sulle città israeliane”. Il 4 maggio del 2025 l’Iran aveva annunciato di aver realizzato missili balistici che possono colpire obiettivi a 1200 chilometri di distanza. Oggi a far cadere tonnellate di esplosivo sono stati i caccia dell’Israel Air Force (In sigla Iaf) f colpendo a più riprese l’impianto di arricchimento dell’uranio di Natanz, quello di Fordow, e il sito di Isfahan. Rafael Grossi, direttore dell’Aiea (l’agenzia delle nazioni Unite per il contrasto della proliferazione atomica), ha riferito al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, che i siti di Fordow ed Isfahan sono stati colpiti. “Il livello di radioattività è rimasto invariato e su livelli normali, ma la contaminazione è gestibile prendendo misure adeguate”. Secondo funzionari della difesa i danni sono ingenti. Secondo Eli Bin, direttore del servizio di pronto soccorso israeliano Magen David Adom, almeno 41 suoi connazionali sono rimasti feriti. Due versano in condizioni critiche, per altri quattro è stata diagnosticata una moderata gravità e 33 sono feriti lievi. Sono stati ricoverati, scrive Ynet, il portale di Yedioth Ahronoth, il più diffuso quotidiano di Israele, negli ospedali Beilinson, Ichilov e Sheba.

Gli attacchi israeliani sono ripresi alle 2 e 30 iraniane, la mezzanotte del 13 giugno in Italia. L’esercito americano sta aiutando ad intercettare i missili che l’Iran ha sparato per rappresaglia contro Israele, secondo quanto dichiarato da un funzionario statunitense. Gli Stati Uniti hanno spostato i mezzi più vicini allo stato ebraico per assistere nelle intercettazioni dei missili e per proteggere meglio le basi americane nella regione. Sebbene il funzionario non abbia specificato in che modo gli Stati Uniti abbiano fornito assistenza, sia gli aerei da combattimento della U.S. Air Force sia le difese missilistiche basate su cacciatorpediniere hanno intercettato i missili in precedenti attacchi. Il funzionario ha parlato a condizione di anonimato. Alle 21e 30 del 13 giugno. L’esercito di Gerusalemme ha comunicato alla popolazione che poteva lasciare i rifugi, con la raccomandazione di restare nelle vicinanze.

“Il missile balistico Ghassem Basir a propellente solido ha una gittata di almeno 1.200 chilometri ed è l’ultimo successo dell’Iran nel campo della difesa”, ha dichiarato alla tv di stato dell’Iran Irib il Ministro della Difesa Aziz Nasirzadeh.  L’emittente ha trasmesso le immagini del nuovo vettore durante un’intervista con il responsabile delle Forze armate . “Se veniamo attaccati – ha detto – e ci viene dichiarata una guerra, risponderemo con la forza e prenderemo di mira i loro interessi e le loro basi”.

Il 26 aprile una potente esplosione ha devastato il porto Shahid Rajai (martire Rajai ndr.) vicino a Bandar Abbass, città iraniana sullo Stretto di Hormuz. “Finora, 40 persone sono morte”, ha detto alla televisione Mohammad Ashouri, capo della provincia di Hormozgan nella quale si trova lo scalo. Sul web il sito Maritime Executive ha pubblicato la notizia che meno di un mese fa il cargo iraniano “Jeyran” ha lasciato la Cina e ha attraccato nel porto Shahid Rajaee di Bandar Abbas. Una fonte dei Pasdaran della Rivoluzione iraniani, che ha preteso l’anonimato, ha rivelato al New York Times che la nave trasportava perclorato di sodio, un componente fondamentale del combustibile solido per i missili. L’incendio non è stato ancora domato. Secondo la portavoce del governo iraniano Fatemeh Mohajerani le fiamme sono state contenute all’80 per cento. Shahid Rajai, situato sullo Stretto di Hormuz, gestisce oltre il 55% delle esportazioni e delle importazioni del paese, il 70% del transito portuale e oltre l’80% del traffico di container.

Il deputato del Parlamento iraniano Mohammad Seraj ha sostenuto che “nell’esplosione a Shahid Rajai ci sono chiari segni del coinvolgimento di Israele”. “La deflagrazione – fa notare – è avvenuta simultaneamente in quattro punti diversi, ed è chiaro che hanno piazzato esplosivi nei container”. Secondo Seraj gli israeliani “hanno persino stimato l’ora esatta dell’arrivo del carico nel porto, per causare un danno più grave”

Le agenzie petrolifere iraniane Persian Gulf Star e National Iranian Oil Refining and Distribution Company hanno diffuso dettagliati comunicati per precisare che non esiste alcun collegamento tra l’esplosione e i loro serbatoi di petrolio, impianti di raffineria, o gli oleodotti della zona. Nel suo messaggio di condoglianze e solidarietà con le famiglie delle vittime, il presidente Masoud Pezeshkian ha voluto far sapere di aver immediatamente ordinato una approfondita indagine sull’accaduto, e di aver spedito sul posto, ad un migliaio di chilometri a sud di Teheran, il ministro degli Interni, Eskandar Momeni.

Al Masirah, la tv dei ribelli yemeniti Houthi legati all’Iran, ha reso noto che a Thuqbah”, nel distretto di Sufyan, nel settentrione del Paese, due attacchi aerei degli Stati Uniti sono costati la vita ad almeno “otto persone, tra le quali donne e bambini”.  Nel febbraio del 2025 l’Iran si è dotato di navi porta – droni che assomigliano a portaerei. Nei giorni scorsi ha varato la Shahid Bagheri, un mercantile in grado di operare anche lontano dalle coste della teocrazia. L’unità sarà gestita dalla marina dei Pasdaran. L’imbarcazione potrà trasportare diversi squadroni di velivoli senza pilota, elicotteri e missili da crociera. La pista di decollo è lunga 180 metri e si trova sulla tolda del natante che era adibito al commercio. Il natante ha un’autonomia di 22 mila miglia nautiche. L’ambizioso sviluppo di tecnologie militari è diventato di pubblico dominio quasi un mese dopo la soluzione della vicenda della giornalista italiana Cecilia Sala.

 

“Tenderemo la mano dell’amicizia a tutti”. Era stata all’insegna dell’apertura e della conciliazione la promessa di Masoud Pezeshkian, il politico riformista diventato il nuovo presidente dell’Iran. Al ballottaggio ha conquistato quasi il 54% dei consensi e ha battuto l’ultraconservatore Saeed Jalili. Ma tutti i numeri vanno presi con il beneficio di inventario, perché il voto non è stato sorvegliato da nessun osservatore internazionale. “Il cammino che ci attende è difficile e non può essere percorso senza la vostra fiducia, cooperazione ed empatia”, ha detto dopo aver trionfato, uno stacco netto rispetto alla chiusura e alla rigidità che avevano contraddistinto Ebrahim Raisi, il presidente eletto nel 2021 e morto il 19 maggio quando è precipitato il suo elicottero. La mano di Pezeshkian si presenta tesa verso tutte le diverse anime della società iraniana. Alla tornata elettorale ha partecipato solo il 49% degli aventi diritto e la campagna elettorale è stata segnata da moltissimi appelli per boicottare il voto da parte di prigionieri politici, dissidenti o famiglie di persone morte sotto il regime degli ayatollah.

Pezeshkian è un cardiochirurgo di 69 anni che ha guidato il dicastero della Sanità durante l’amministrazione del riformista Mohammad Khatami dal 2001 al 2005. In campagna elettorale ha mandato cauti segnali su una possibile rimozione delle restrizioni a internet o sul fatto che non vede di buon occhio la repressione delle proteste, come è accaduto dal 2022 con le manifestazioni innescate dalla morte di Mahsa Amini, la giovane curda che morì nel settembre del 2022 dopo essere stata arrestata messa in custodia dalla polizia morale, perché non aveva coperto tutta la sua capigliatura con il velo obbligatorio in pubblico nella Repubblica islamica.
L’apertura promessa da Pezeshkian sembra essere rivolta anche all’esterno del Paese, dopo che negli ultimi anni Raisi aveva rafforzato le relazioni con Paesi storicamente vicini all’Iran, come Russia e Cina, alzando invece un muro nei confronti dell’Occidente, verso il quale il nuovo presidente potrebbe avere un atteggiamento diverso. L’obiettivo è allentare il cappio delle sanzioni per i programmi atomici della teocrazia, provvedimenti che affossano l’economia iraniana. Durante la campagna elettorale, il politico riformista aveva affermato che non è possibile raggiungere una crescita economica per l’Iran senza “aprire i confini con altri governi”. Lo ha sostenuto apertamente Javad Zarif, l’ex ministro degli Esteri che contribuì alla firma dell’accordo sul nucleare del 2015. Subito dopo la vittoria il nuovo presidente però ha giurato fedeltà alla Guida Suprema Ali Khamenei, l’ayatollah che sogna di cancellare lo stato di Israele dalla faccia della terra. Il neo eletto Pezeshkian ha riconosciuto infatti che “se non fosse stato per lui, non penso che il mio nome sarebbe uscito facilmente da queste urne”.
Khamenei ha espresso soddisfazione per l’aumento dell’affluenza rispetto al primo turno, che aveva segnato il record negativo dalla fondazione della Repubblica islamica con meno del 40%. “Questa grande e brillante mossa è indimenticabile, poiché ha sventato i complotti dei nemici, che miravano a iniettare delusione nel popolo iraniano”, ha gioito. Pezeshkian ha ricevuto subito le congratulazioni da parte della Russia di Vladimir Putin e della Cina di Xi Jinping e da alcuni Paesi dell’area del Golfo: Bahrain, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Complimenti sono arrivati anche dal leader siriano Bashar Al Assad e da India, Pakistan, Serbia, Armenia e Giappone. Si sono congratulati con Pezeshkian anche Ilham Aliyev, il presidente dell’Azerbaigian, e Recep Tayyip Erdogan, il capo di Stato della Turchia che ha definito l’Iran una “nazione amica e fraterna”. In Italia si è congratulato “con il popolo e con il governo iraniano» il vice ministro degli Esteri Edmondo Cirielli,  di Fratelli d’Italia, “nella speranza che si possa lavorare per il perseguimento della pace e della stabilità soprattutto nel Golfo di Aden ed in generale in Medio Oriente”. 

Massoud Pezeshkian nel primo turno di voto aveva ottenuto il 42,5% dei suffragi, battendo l’ex negoziatore sul nucleare Said Jalili, 58 anni, votato dal 38,6% degli elettori. Il secondo turno ò scattato perché nessuno degli aspiranti presidenti del Parlamento  aveva ottenuto la maggioranza assoluta. In 14 elezioni presidenziali dal 1979 è la seconda volta . Saeed Jalili, aveva ricevuto il sostegno del presidente conservatore del Parlamento, Mohamad Baquer Ghalibaf, arrivato terzo con il 13,8% dei voti. Jalili, è ostile al riavvicinamento ai Paesi occidentali. È uno dei due rappresentanti della guida suprema al Consiglio supremo di sicurezza nazionale. Veterano della guerra Iran-Iraq durante la quale gli fu amputato un piede, ha condotto i negoziati sul nucleare iraniano dal 2007 al 2013, mostrandosi inflessibile nei confronti dell’Occidente.

L’ascesa di Pezeshkian nel panorama politico ha seguito la parabola del movimento riformista di Mohammad Khatami che ha governato il Paese dal 1997 al 2005. L’arrivo al potere di Mahmoud Ahmadinejad lo ha relegato ai margini dell’arena politica, spingendolo di nuovo verso il mestiere di medico. Una pausa durante la quale si è affermato professionalmente, per poi tornare in politica fino all’ingresso in parlamento. Si è presentato alle presidenziali del 2013, ma si è ritirato prima del voto. Nel 2021 la sua candidatura è stata bocciata dal Consiglio dei Guardiani.

In ogni caso il candidato dell’ultima ora ha calato le sue carte. Si è detto favorevole ai colloqui per revocare le sanzioni imposte dagli Stati Uniti per i programmi nucleari degli ayatollah, definendole un “disastro” per l’economia, e ha sostenuto che non esistono testi islamici che consentano alle autorità di aggredire o arrestare le donne che non indossano l’hijab come accadde nel settembre del 2022 a Mahsa Jina Amini. “Sono venuto per risolvere i vostri problemi, per essere la voce di coloro che non vengono ascoltati – ha affermato l’alfiere dei riformisti durante un comizio elettorale – Il problema della generazione Z siamo noi. I giovani vogliono il cambiamento, ma noi non siamo cambiati, chiedono l’innovazione, ma noi non siamo interessati”.

Nei mesi scorsi un tribunale iraniano ha comminato alla premio Nobel per la pace Narges Mohammadi un altro anno di prigione per “propaganda contro lo Stato”. Lo ha riferito il suo avvocato Mostafa Nili. L’attivista, 52 anni, è in carcere dal novembre 2021. Sta scontando diverse condanne per essersi opposta all’hijab obbligatorio e alla pena capitale nella Repubblica islamica. Tra i motivi della nuova condanna, ha spiegato il suo legale, ci sono appelli a boicottare le elezioni del 28 giugno, lettere a parlamentari svedesi e norvegesi e commenti sul caso di Dina Ghalibaf, la giornalista e studentessa che ha accusato sui social media le forze di sicurezza di averla ammanettata e aggredita sessualmente durante un arresto in una stazione della metropolitana. All’inizio di giugno Mohammadi si è rifiutata di partecipare al processo che la vede imputata a Teheran e in marzo ha condiviso dal carcere un messaggio audio nel quale ha denunciato una “guerra su vasta scala contro le donne” del suo Paese.

“La promessa divina di eliminare l’entità sionista sarà mantenuta e vedremo il giorno in cui la Palestina si innalzerà dal fiume al mare”. Insomma cancellare Israele. La Guida Suprema dell’Iran Ali Khamenei ha diffuso questo messaggio durante la parte pubblica dell’incontro con il capo politico di Hamas Ismail Haniyeh a Teheran durante le cerimonie funebri per la scomparsa del presidente Ebrahim Raisi morto per la caduta del suo elicottero in una foresta vicina al confine con l’Azerbaigian. Il numero uno del Parlamento è stato sepolto il 23 maggio a Mashhad, la sua città natale, accanto al mausoleo dell’ottavo Imam sciita Reza. Secondo l’agenzia di stampa dello Stato “Irna”, tre milioni di persone hanno partecipato alla cerimonia funebre. Il ministro degli Esteri Hossein Amirabdollahian, deceduto nello stesso incidente, è stato sepolto a Teheran.

A margine dei funerali del presidente iraniano si sono incontrati nella capitale iraniana i leader del cosiddetto “Asse della Resistenza”, l’alleanza informale che condivide con il regime degli ayatollah l’ostilità contro Israele. Del gruppo fanno parte Hamas, gli Hezbollah libanesi, i ribelli Houthi yemeniti e i gruppi sciiti iracheni. Per l’Iran hanno partecipato all’incontro il generale Hossein Salami, comandante delle Guardie rivoluzionarie, i “Pasdaran”, e il generale Esmail Qaani, comandante delle Forze speciali al Quds (ndr. Gerusalemme), il ramo delle Guardie della Rivoluzione impiegato nelle operazioni all’estero. Al vertice erano presenti il portavoce degli Houthi Mohammed Abdul Salam e il ‘numero due’ di Hezbollah Naim Qassem, rappresentanti della Jihad islamica e dei gruppi sciiti iracheni.

“Questa è la vittoria del popolo di Gaza, che ancora è un piccolo gruppo, contro i più grandi e potenti Stati Uniti, la Nato, la Gran Bretagna e alcuni altri Paesi”, ha dichiarato Khamenei, dichiarandosi incredulo e piacevolmente stupito delle proteste per la Palestina da parte degli studenti universitari negli Usa e in altri Paesi occidentali. “Siamo sicuri che l’Iran continuerà a sostenere la nazione palestinese con le sue politiche, le sue strategie e i suoi valori fino a quando la bandiera della vittoria non sarà innalzata sulla moschea di Al-Aqsa (ndr. a Gerusalemme)”, ha detto Haniyeh a Khamenei. Il leader di Hamas ha anche ricordato che Raisi ha “elogiato l’attacco di Hamas del 7 ottobre, definendolo ‘una battaglia che ha preso di mira il cuore del regime sionista”. Alle cerimonie hanno assistito delegazioni della Turchia, dell’Afghanistan dei talebani, della Giordania, della Serbia, del Nicaragua, dell’Armenia, dell’Arabia Saudita, della Siria, del Libano, dello Yemen, della Russia,della Bielorussia, di Singapore, della Cina e del Giappone. I complottisti hanno fatto circolare la notizia che Behrouz Ghadimi, il tecnico di volo dell’elicottero morto nello schianto, era cugino di Manouchehr Bakhtiari, un dissidente, incarcerato per aver protestato contro l’uccisione di suo figlio, Pouya, durante manifestazioni anti governative.

Nebbia, maltempo, un terreno di montagna con picchi alti quanto il Monte Bianco. Questo il teatro dell’incidente nel quale hanno perso la vita anche il ministro degli esteri Hossein Amir Abdollahian e il governatore della provincia. Stavano tornando da un viaggio al confine con l’Azerbaigian per l’inaugurazione di una grande diga. Alla cerimonia aveva partecipato anche il presidente azero Ilham Aliyev. L’elicottero avrebbe tentato un atterraggio di emergenza nella foresta di Dizmar che si trova fra le città di Varzaqan e di Jolfa. Ahmad Vahidi, il ministro dell’interno del regime teocratico iraniano, ha dichiarato che il velivolo è stato “costretto alla difficile manovra dal cattivo tempo e dalla nebbia”. Il presidente della mezzaluna rossa Pir Hossein Koulivand ha comunicato di aver mobilitato 40 squadre di ricerca a terra, perché le condizioni meteorologiche non permettevano il dispiegamento di mezzi aerei, in particolare di droni.

L’elicottero sul quale viaggiavano Raisi e Abdollahian era un Bell 212 americano. Nel 1978 lo scià ne acquistò dieci dalla italiana Augusta. Il Bell 212 era una versione aggiornata dei robusti Huaey protagonisti delle missioni contro i Vietcong. La squadriglia presidenziale di solito usa un Bell 212 e due Mil 17 russi. Nelle trasferte solo all’ultimo momento viene scelto quello sul quale viaggerà Raisi o l’alta autorità che affronta il volo. Secondo le notizie disponibili per la trasferta al confine con l’Azerbaijan la squadra era composta da un Bell 212 con allestimento Vip e da due Mil 17 muniti di contromisure antimissile. La vicina capitale della Provincia Tabriz è stata per mesi teatro di proteste contro il regime. L’ambiente montagnoso mette a dura prova il volo degli elicotteri per la loro scarsa strumentazione elettronica. Il mezzo precipitato sembra molto più recente di quelli del lotto comprato a suo tempo dallo Scià. Nonostante l’embargo al quale è sottoposta, Teheran è riuscita ad acquistare in Europa, in Africa e in Cina diversi esemplari del velivolo e pezzi di ricambio (spesso poi riprodotti in Iran). Secondo fonti di intelligence occidentale il Bell 212 sul quale era Raisi avrebbe avuto problemi prima del decollo appena tre giorni prima di precipitare.

L’ipotesi del sabotaggio non sembra probabile. Gli elicotteri presidenziali sono sorvegliati 24 ore su 24. Della manutenzione si occupano squadre sottoposte a una sorveglianza severa. L’unico punto debole potrebbe essere stato l’uso di piazzole improvvisate nel trasferimento da Teheran al confine azero. L’attentato più clamoroso degli ultimi anni è stato, nel settembre del 2020, l’eliminazione di Moshen Fakrizadeh, il padre del progetto atomico iraniano. Lo fulminò una mitragliatrice probabilmente guidata da remoto.

Il Mossad, il controspionaggio israeliano per l’estero, la Cia e qualche intelligence europea hanno talpe che hanno utilizzato infiltrati iraniani per infettare le centrifughe per l’arricchimento dell’uranio destinato a produrre armi atomiche. L’Aiea, l’Agenzia delle Nazioni Unite contro la proliferazione delle armi nucleari, ha documentato nei mesi scorsi che Teheran è arrivata a percentuali di gran lunga superiori al 5 % necessario per le centrali atomiche che producono energia elettrica per uso civile.

Ali Khamenei, 85 anni, la Guida Suprema, ha assicurato fin da subito che il tragico evento non avrebbe scalfito l’equilibrio negli affari pubblici del Paese, promettendo continuità. La cerimonia funebre si è tenuta anche per le altre vittime del disastro aereo: il ministro degli Esteri Hossein Amir Abdollahian, le guardie del corpo del presidente, il generale Mehdi Mousavi, un membro della base Ansar al-Mahdi delle Guardie rivoluzionarie, il pilota, il copilota e il tecnico di volo. Gli abitanti di Tabriz hanno partecipato in massa al funerale, per celebrare il “martirio” del presidente ultraconservatore. Le salme sono state poi trasportate a Qom, la città santa dell’Iran sciita, nella quale lo stesso Raisi aveva studiato quando era adolescente. Anche qui migliaia di persone, tra le quali religiosi e studenti dei seminari, gli hanno reso omaggio.

Membri del governo, autorità religiose e alti gradi dei Pasdaran e dell’Esercito hanno accolto l’arrivo dell’aereo che trasportava le salme all’aeroporto ‘Mehrabad’ della capitale. Garrivano bandiere nere e quelle della Repubblica islamica. Le bare sono state portate a spalla da militari. Una folla oceanica ha reso omaggio al presidente scomparso lungo il tragitto per la Grande Moschea Mosalla, nella quale sono continuati i funerali.

La mattina del 22 maggio 2024 Ali Khamenei ha guidato la preghiera funebre nell’Università di Teheran. Il 21 maggio ha celebrato Raisi prendendo la parola nella  sessione inaugurale della sesta Assemblea degli Esperti, l’organo incaricato di nominare la Guida Suprema o di revocarne i poteri. I membri sono stati scelti con le elezioni dell’1 marzo, che hanno registrato la più bassa affluenza alle urne dalla fondazione della Repubblica islamica. Molti nuovi eletti hanno ottenuto un seggio nelle loro circoscrizioni con appena il 5-8 per cento dei voti . Anche Raisi e il leader religioso di Tabriz Mohammadali Al-Hashem Mohammadali Al-Hashem, morto nell’incidente in elicottero, facevano parte dell’Assemblea, ma, secondo alcuni rapporti, già sei mesi fa il nome del presidente sarebbe stato tolto dalla lista dei possibili candidati alla carica di prossima Guida Suprema, per il suo calo di popolarità dovuto alle difficoltà economiche nelle quali versa il Paese anche per effetto delle sanzioni degli Stati Uniti. “Invito le coscienze risvegliate del mondo a prestare attenzione alle amare realtà dei sistemi antireligiosi e al fallimento di questi nel promuovere la giustizia, la libertà e la dignità delle donne e a considerare invece il piano completo e stabile di ricorrere alla governance islamica”, ha detto Khamenei nel suo discorso all’Assemblea degli Esperti.

 il 4 maggio una nave da guerra dei Pasdaran aveva superato per la prima volta la linea dell’Equatore, entrando nell’emisfero meridionale. Secondo quanto riferito dall’agenzia di stampa iraniana “Tasnim”, che non ha indicato il tratto di mare in cui si trova esattamente, l’incrociatore Shahid Mahdavi è armato con missili balistici e da crociera a lungo raggio e droni ed è entrato a far parte della flotta dei Guardiani della rivoluzione nel marzo del 2023. Negli ultimi mesi era stato dispiegato solo nel Golfo di Aden. La nave è progettata per operazioni transoceaniche a lungo raggio, ha una stazza di oltre 2.100 tonnellate, è lunga 240 metri e larga 27.

Il primo marzo nelle prime elezioni indette dopo la morte di Mahsa JinaAmini, la giovane curda arrestata perché una ciocca dei suoi capelli non era coperta dal velo, si era registrata l’affluenza più bassa dai tempi della rivoluzione islamica del 197 9. A Teheran si è espresso meno del 24% degli 8 milioni di iscritti alle liste elettorali. A livello nazionale solo il 41 per cento degli aventi diritto al voto si è presentato ai seggi per rinnovare il Parlamento, 290 deputati, e per scegliere i membri dell’Assemblea degli Esperti, gli ottantotto esponenti del regime che dovranno eleggere la prossima Guida Suprema. Secondo gli attivisti che si battono per i diritti umani l’affluenza reale a livello nazionale sarebbe stata “intorno al 30 per cento”.

Nel giorno del voto il regime ha condannato a tre anni e otto mesi di carcere il cantante pop Shervin Hajizadeh, autore di “Baraye”, un brano che è diventato una sorta di inno durante le rivolte anti governative del 2022 e del 2023. All’artista, 26 anni, premiato in passato con un Grammy speciale per la migliore canzone sul cambiamento sociale, è stato vietato di lasciare il Paese. La Repubblica islamica si è anche fatta beffe di lui intimandogli di fare pubblicità sui social media per la teocrazia e di incidere un brano “sui crimini degli Stati Uniti contro l’umanità”.

All’alba del 23 gennaio in Iran era stato impiccato Mohammad Ghobadlou, un disabile mentale di 23 anni che aveva partecipato alle prime manifestazioni del movimento “Donna, vita, libertà”. Al termine di un primo processo nel mese di luglio del 2023 era stato condannato a morte. Il verdetto era stato impugnato. Secondo carte ufficiali pubblicate su “X” dall’avvocato di Ghobadlou poco prima dell’esecuzione, il capo della magistratura iraniana Gholamhossein Mohseni Eje’i, su segnalazione del responsabile della procura di Teheran Ali Alghasi, ha bloccato il processo d’appello e rinviato il caso ai giudici della sezione 39 della Corte suprema, la stessa che in precedenza aveva ratificato la condanna a morte. Dopo l’impiccagione di Ghobadlou e le successive proteste nazionali e internazionali, la sezione 39 della Corte suprema ha reso noto un documento datato 4 gennaio 2024 che in un paragrafo annullava, senza fornire alcuna spiegazione, il verdetto emesso nel luglio 2023 dalla prima sezione.

il 4 gennaio 2024 due kamikaze si erano fatti esplodere a un chilometro e mezzo e a due chilometri e settecento metri dalla moschea Saheb al-Zaman di Kerman nella quale sono custodite le spoglie del generale dei Pasdaran iraniani Qassem Soleimani, numero uno delle forze speciali “Al Quds”. Le vittime sono state almeno 89, i feriti 284. Nel gennaio del 2020 l’alto ufficiale fu ucciso  nell’aeroporto di Baghdad da un raid ordinato dall’ex presidente americano Donald Trump. Lo Stato islamico ha fatto sapere attraverso i suoi canali Telegram che due suoi membri hanno “attivato la loro cintura esplosiva” nel bel mezzo di “un grande raduno di apostati”.

La figura di Soleimani è stata commemorata anche in Iraq da migliaia di persone che hanno sfilato nella città santa sciita di Najaf. All’aeroporto di Baghdad il primo ministro iracheno Muhammad Sudani ha ricevuto i familiari delle dieci vittime dell’attacco americano. Oltre a Soleimani, quattro erano ufficiali dei Pasdaran e leader di milizie irachene sostenute da Teheran. Anche il capofila degli Hezbollah libanesi Hassan Nasrallah a Beirut ha reso omaggio al comandante delle forze “Al Quds” affermando che “i successi di Hamas nella Striscia di Gaza sono dovuti al lavoro fatto per anni da Qassem Soleimani”.

La contestazione interna della teocrazia al potere non si è mai spenta. Alle esequie per la sedicenne Armita Garavand, nel cimitero Behesht Zahra di Teheran, domenica 29 ottobre del 2023 era stata fermata e picchiata duramente l’avvocata e attivista per i diritti umani Nasrin Sotoudeh, 60 anni, madre di Mehraveh e di Nima. Era in congedo temporaneo dal carcere di Evin, la fortezza nella quale sono rinchiusi sistematicamente i nemici del regime. Molti ora sono militanti e attivisti del movimento “Donne, vita e libertà”, la protesta scaturita dall’uccisione di Mahsa Jina Amini, 22 anni, colpita a morte perché una ciocca di capelli le spuntava dal velo islamico, l’hijab. L’ultimo verdetto aveva condannato Nasrin a 33 anni di carcere e a 148 frustate per spionaggio, propaganda contro la teocrazia, incitamento alla prostituzione e alla corruzione e insulti alla Guida del Paese, l’ayatollah Ali Khamenei.

Il primo ottobre Armita era entrata nella metropolitana della capitale a capo scoperto. Ventotto giorni dopo è spirata. Ai suoi funerali, secondo l’agenzia di stampa semiufficiale “Fars”, Nasrin Sotoudeh non indossava il velo e quindi avrebbe “disturbato la sicurezza mentale della società”. Durante il rito i presenti avevano gridato: “Questo fiore spezzato è un dono alla patria”. «D’ora in poi – aveva scritto in precedenza Sotoudeh – dovremmo proteggere le nostre giovani (dalla polizia) nelle metropolitane, fino a quando non arriverà il momento di un giusto processo ai responsabili e ai mandanti dell’omicidio di Stato”.

Iran Human Rights”, un’organizzazione non governativa guidata e fondata da Mahmoud Amiry Moghaddam, ha scritto che “fin dal primo ottobre 2023 le autorità hanno tentato di nascondere la verità trasferendo Armita dalla fermata Shohada della metropolitana all’ospedale Fajir dell’Aeronautica militare. Lì è stato accertato che era in coma. Il due ottobre 2023 le forze di sicurezza hanno arrestato per diverse ore Maryam Lotfi, una giornalista del quotidiano “Sharg” che era andata a cercare di raccogliere informazioni in ospedale. Iran Human Rights ha avuto notizie di minacce contro l’equipe medica che si occupava del caso e di interruzioni delle telecamere a circuito chiuso del luogo di cura. Con la risoluzione S 35/1 Il 24 novembre del 2022 la Commissione dell’Onu per i diritti umani ha istituito una “Missione internazionale indipendente di accertamento dei fatti” sulle violazioni dei diritti umani commesse dalla Repubblica Islamica dell’Iran dall’inizio delle manifestazioni del movimento “Donna, vita, libertà”.

La sedicenne Armita, di origini curde come Mahsa Jina Amini, aveva sfidato le leggi della Repubblica islamica che impongono alle donne di indossare in pubblico il velo, lo hijab, è stata dichiarata morta in ospedale dopo 28 giorni di coma. Il primo ottobre era entrata nella metropolitana di Teheran a capo scoperto.  Secondo i testimoni, gli agenti della polizia morale le si sono scagliati contro appena è salita su un convoglio. Nella colluttazione la giovane è stata spinta con violenza e ha sbattuto la testa contro un palo di sostegno. Per il regime invece Armita è svenuta per un calo di pressione ed è caduta. Gli attivisti hanno sostenuto che i filmati sono stati tagliati e hanno chiesto che venissero pubblicate le registrazioni integrali delle telecamere di sicurezza all’interno del treno. Armita, è la loro tesi, è stata un’altra vittima della repressione di Teheran contro le donne che si oppongono al velo.

Il 18 settembre 2023, appena due giorni dopo l’anniversario dell’uccisione di Mahsa Jina Amini, il presidente americano Joe Biden ha deciso di rimpinguare le casse degli ayatollah con sei miliardi dollari, il prezzo del rilascio di cinque cittadini statunitensi. A Teheran torneranno cinque iraniani. “Tutti colpevoli di reati minori” ha tenuto a precisare l’amministrazione di Washington. Si riuniranno ai loro congiunti Siamak Namazi, Morad Tahbaz, Emad Sharghi e altri due connazionali. Tutti avevano la doppia cittadinanza, ma Teheran non riconosce quella statunitense e li considerava cittadini iraniani a tutti gli effetti. Namazi è un imprenditore. Fu condannato nel 2015. Tahbaz, che è anche suddito di Sua Maestà Britannica, è stato accusato di aver “cospirato con gli Usa”. I due, che hanno chiesto e ottenuto l’anonimato, sono una ricercatrice e un altro uomo d’affari. Potranno tornare in Iran Reza Sarhangpour e Kambiz Attar Kashani, entrambi imputati di aver violato le sanzioni imposte alla teocrazia dagli Stati Uniti. Della cinquina che potrà tornare in Iran faranno parte anche Kaveh Lotfolah Afrasiabi, sospettato di essere un agente degli ayatollah, Mehrdad Moein Ansari e Amin Hasanzadeh. Gli ultimi due avrebbero collaborato con il ministero della difesa di Teheran. Namazi ha ringraziato Biden “per aver considerato la vita dei cittadini americani al di sopra della politica”. L’amministrazione del Presidente americano ha spiegato che i fondi, arrivati all’Iran dalla Corea del sud per l’acquisto di petrolio con l’intermediazione del Qatar, potranno essere “usati solo per scopi umanitari”. Mentre decideva lo scambio Biden ha firmato nuove sanzioni a carico dell’ex presidente della teocrazia Mahmud Ahmadinejad e del dicastero dell’Intelligence di Teheran per la sparizione, 17 anni fa, dell’ex agente dello Fbi Bob Levinson.

Tre giorni prima del 13 settembre 2023, anniversario dell’arresto di Mahsa Jina Amini, la teocrazia iraniana aveva chiarito le sue intenzioni sulla ricorrenza. In un ospedale di Karaj, venti chilometri a ovest di Teheran, era morto Hamed Bagheri. Invitava la gente a scendere in piazza. Gli agenti gli hanno sparato quattro proiettili. La versione ufficiale è che “deteneva armi da taglio”. La fonte della notizia è Fereshteh Rezaifar, un’attivista del collettivo “Donna, vita, libertà” di Roma.

La mattina del 16 settembre i Pasdaran della Rivoluzione hanno arrestato sulla soglia di casa a Saqqez Amjad Amini, il padre di Mahsa Jina. Secondo l’organizzazione non governativa “Iran Human Rights” Amjad Amini è stato rilasciato “dopo poche ore”.

Nella capitale la polizia ha sparato contro i dimostranti vicino all’Università di Teheran e nella centrale piazza Azadi. Le forze dell’ordine hanno chiuso gli accessi ai cimiteri nei quali sono sepolti i caduti dopo la morte di Mahsa Amini. Gli iscritti alle Università Beheshti, Elm-o-Sanat e Amir Kabir hanno affidato a comunicati i loro no alla teocrazia. Da diversi cavalcavia penzolano striscioni che ricordano la fine di Mahsa Jina e in molti quartieri sui muri delle case sono apparse scritte di protesta. Sette detenute nel carcere di massima di sicurezza di Evin hanno bruciato il loro velo e tenuto un sit in gridando “donna. Vita e libertà”. Le prigioniere hanno voluto rendere pubblici i loro nomi. Sono Narges Mohammadi, Sepideh Gholian, Azadeh Abedini, Golrokh Iraee, Shakila Monfared, Mahboubeh Rezai e Vida Rabbani. Gli agenti hanno imbrattato con la vernice nera il sepolcro di Nina Shakarami, 16 anni, morta durante le manifestazioni del 2022 a Teheran.

Il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti ha annunciato nuove sanzioni che prendono di mira 29 persone e organizzazioni. Diciotto sono Pasdaran, e agenti delle forze dell’ordine. Uno dei destinatari é il capo dei penitenziari iraniani. Secondo l’agenzia di stampa “Nova”, sono stati sanzionati Alireza Abedinejad, amministratore delegato di “Douran Software Technologies”, e i media controllati dallo stato “Press Tv“, “Tasnim News Agency” e “Fars News”. Il decimo pacchetto di restrizioni dell’Unione Europea riguarderà invece il vice comandante in capo del Corpo delle guardie rivoluzionarie islamiche nel “Quartier generale della sicurezza centrale dell’Imam Ali”, i comandanti della polizia delle province di Mazandaran e di Fars, il direttore della prigione di Kachui, le carceri di Sanandaj, Zahedan e Esfahan, l’agenzia di stampa dei Pasdaran “Tasnim News” e il Consiglio Supremo del Cyberspazio.

Fereshteh Rezaifar, una militante del movimento “Donna, vita, libertà” ha dichiarato che è stata imprigionata anche la madre di Kian Pirfalak, il bimbo di undici anni che fu ucciso nell’assalto al mercato di Izeh, capoluogo del Khūzestān. Il governo accusò l’Isis, ma per i militanti di “Donna, Vita e Libertà” furono gli agenti ad aprire il fuoco. Fereshteh Rezaifar non fa sconti neppure ai magistrati: “Nei processi spesso contestano reati mai commessi”. I parlamentari remano nella direzione indicata dagli ayatollah. “E’ di questi giorni – riferisce l’attivista – la legge che prevede fino a 10 anni di reclusione per le donne che non indossano il velo in pubblico. E ‘stato calcolato che se venisse applicata, la polizia morale – che è stata ripristinata, dopo una momentanea sospensione – dovrebbe arrestare circa 6mila persone al giorno”.

Nella capitale da diversi cavalcavia penzolano striscioni che ricordano la fine di Mahsa Jina. A Saqqez, il luogo di origine di Mahsa Jina Amini, gli alberghi negano le stanze a chi viene da fuori città. La tomba della giovane e il padre Amjad sono sottoposti a una vigilanza continua con le telecamere. Un altro padre per il quale sono scattate le manette è il genitore di Mohammad Mahdi Karami, impiccato in gennaio. La stessa sorte è toccata alla sorella e al marito di Shirin Alizadeh, uccisa l’anno scorso in ottobre.

Il 20 luglio del 2023 la polizia religiosa era tornata sulle strade iraniane per registrare e arrestare le donne che non indossano correttamente il velo obbligatorio per legge dal 1979. Il compito di annunciare la notizia è stato affidato a Saeed Montazer al-Mahdi, capo della polizia del Paese. La decisione sarebbe stata adottata “su richiesta della popolazione e delle istituzioni per garantire la sicurezza pubblica e le fondamenta della famiglia”. Il giornale “Iran International”, rilanciato dall’attivista Masih Alinejad che ha un seguito di quasi 9 milioni di followers, ha pubblicato il video di una ragazza a capo scoperto braccata da una donna che indossa una tunica lunga fino ai piedi. L’anziana cerca di trascinarla verso una camionetta bianca, del tutto simile a quella sulla quale fu caricata Mahsa Jina Amini il 13 settembre del 2022. Nonostante le telecamere a riconoscimento facciale, le multe e gli arresti, la protesta è continuata anche con stratagemmi molto creativi. L’ultimo sono gli ululati notturni dalle terrazze o dalle case. Gli iraniani si sdraiano sul pavimento dei balconi o sotto le finestre delle loro abitazioni di notte e ululano. I paramilitari basiji hanno in dotazione termocamere che sono in grado di localizzare gli individui anche attraverso i muri. Sdraiarsi per terra è un tentativo un po’ artigianale di non essere facilmente localizzati.

l 29 maggio del 2023 era cominciato a Teheran il processo a porte chiuse alla giornalista iraniana Elaheh Mohammadi, 36 anni, arrestata dopo che aveva seguito a Saqqez il funerale di Mahsa Amini. Elaheh Mohammadi lavora per il quotidiano riformista “Ham Mihan” ed è comparsa davanti alla sezione numero 15 del “Tribunale rivoluzionario” della capitale. La reporter è accusata di “collaborazione con il governo ostile degli Stati Uniti, collusione contro la sicurezza nazionale e propaganda contro il sistema”, accuse che potrebbero comportare la pena di morte in caso di condanna.

Il giorno dopo è stata processata anche la fotoreporter Niloufar Hamedi, dipendente del giornale “Shargh”, un altro organo di stampa critico nei confronti degli ayatollah, finita in cella per un reportage dall’ospedale nel quale era stata ricoverata Mahsa Amini dopo essere stata fermata. La giovane era in coma e intubata. Qualche giorno dopo la reporter pubblicò anche una foto dei genitori di Mahsa che si abbracciavano in un corridoio della struttura sanitaria dopo aver saputo che la figlia era morta. L’accusa della quale deve rispondere è “propaganda contro il sistema” e “collusione contro la sicurezza nazionale”. Secondo i familiari, le due giornaliste hanno potuto incontrare i loro avvocati solo domenica 28 maggio.

Iran Human Rights ha pubblicato la notizia che l’8 maggio del 2023 sono stati impiccati due uomini condannati per blasfemia. Il 6 maggio è stato giustiziato il dissidente Farajollah Habib Chaab, un cittadino svedese di origini iraniane accusato di un attentato dinamitardo che nel 2018 costò la vita a 25 persone fra soldati e civili durante una parata militare ad Ahwaz, nella provincia del Khūzestān. Stoccolma ha convocato l’ambasciatore della teocrazia e ha condannato la “punizione inumana e irreversibile”. Chaab, 50 anni, noto anche come Habib Asyud, dopo aver vissuto per dieci anni in Svezia fu rapito da agenti iraniani in Turchia nel 2020 e portato in Iran. Un mese dopo la Tv di stato “Irib” mandò in onda un video nel quale Chaab ammetteva di essere responsabile di azioni terroristiche e di aver collaborato con gli 007 sauditi. Il 21 marzo la Corte suprema del regime degli ayatollah ha confermato la condanna a morte. In gennaio è stato condotto al patibolo il britannico-iraniano Alireza Akbari, 61 anni, condannato per spionaggio per conto del Regno Unito. Una circostanza che Londra ha sempre negato. In un messaggio audio a “Bbc Persian” Akbari aveva affermato di essere stato torturato e costretto a confessare davanti alla telecamera crimini che non aveva commesso.

Nasrin Ghadri, 35 anni, studentessa dottoranda in filosofia a Teheran, era morta sabato 5 novembre come Mahsa Amini. Durante le manifestazioni del 4 novembre agenti delle forze di sicurezza l’hanno colpita alla testa con un manganello. Lunedì 7 novembre sono scesi in piazza gli abitanti di Marivan, la sua città di origine nel Kurdistan iraniano. I dimostranti hanno gridato “Morte a Khamenei (la guida suprema del Paese)”, hanno bloccato diverse strade e hanno accusato il governo di aver organizzato, alle prime luci del giorno, una frettolosa sepoltura della giovane. Gli agenti hanno reagito, come al solito, sparando sulla folla e ferendo 35 dimostranti. Il padre, come accadde per Mahsa Amini, sarebbe stato costretto a dichiarare pubblicamente che la figlia è deceduta per “intossicazione” o per “una malattia”. Secondo l’organizzazione non governativa “Iran Human Rights” venerdì 4 novembre gli studenti maschi dell’Università di Babol, nel nord del Paese e vicina al Mar Caspio, nella loro mensa hanno rimosso la barriera di separazione dalle colleghe. Nella stessa giornata nella città di Kash 16 dimostranti sono stati fulminati dalla polizia degli ayatollah.

Il regime teocratico continua a chiudersi a riccio. Duecentoventisette parlamentari su duecentonovanta hanno chiesto ai leader del regime e ai magistrati di applicare la pena di morte contro i “mohareb” (nemici di Dio). “Chiediamo al governo – hanno scritto – di affrontare con fermezza gli autori di questi crimini e tutti coloro che hanno incitato le rivolte, tra cui alcuni politici”. Le Guardie Rivoluzionarie iraniane hanno fermato tre squadre affiliate al gruppo dissidente Mojahedin-e-Khalq Organization (Mko), una compagine che la teocrazia accusa di terrorismo. Un comunicato citato dall’agenzia di stampa semiufficiale “Fars” attribuisce agli arrestati l’intento di condurre azioni di sabotaggio e attentati nelle province del Khūzestān, di Fars e di Isfahan. I Mojahedin progettavano di coinvolgere “rivoltosi” per attaccare lo stato e i centri di sicurezza e di polizia, per distruggere proprietà pubbliche e commettere assassinii. Le autorita’ iraniane hanno arrestato 26 “terroristi takfiri” (miscredenti) sunniti sospettati di essere coinvolti nell’attentato del 26 ottobre al mausoleo di Shah Cheragh a Shiraz, costato la vita ad almeno 13 persone. L’attacco al mausoleo, il sito sciita piu’ sacro nel sud dell’Iran, e’ stato rivendicato dall’Isis, il sedicente Califfato Islamico. L’autore, morto per le ferite riportate durante l’arresto, è stato identificato come Abu Aisha, di nazionalita’ tagika. Il coordinatore della cellula sarebbe un azero. L’afgano Mohammed Ramez Rashidi è sospettato di aver garantito “supporto operativo”.

Sui social è diventata virale l’immagine della donna dai lunghi capelli sciolti che alza le braccia al cielo stando in piedi sul tetto sul tetto di una vettura, un’auto dell’immensa fila diretta al cimitero di Sakkez nel quale è stata sepolta Mahsa Amini, diecimila persone ha dovuto riconoscere perfino l’agenzia di stampa ufficiale “Irna”.  Il 30 ottobre si è intensificata la repressione da parte delle forze di sicurezza, in divisa e in borghese, dopo l’avvertimento rivolto ai manifestanti dal comandante delle Guardie Rivoluzionarie Hossein Salami che li aveva diffidati dal tornare in strada. Gli studenti della capitale Teheran, di Shiraz, di Babol, di Eslamshahr, di Sari, di Arak, di Qazvin, di Mashhad, di Parand, di Hamedan, di Khorramabad, di Ahvaz, di Zanjan e di Sanandaj hanno promosso nuove iniziative di protesta, durante le quali sono stati scanditi slogan contro la corruzione e la repressione. In alcuni video postati sui social media, si vedono le forze di sicurezza e in borghese sparare agli studenti con armi da fuoco, fucili a pallini e gas lacrimogeni, alla Shomal University di Teheran. A molti studenti è stato vietato l’ingresso negli atenei e nelle strutture annesse. Il 30 ottobre alcuni universitari sono stati aggrediti nei loro dormitori durante la notte con gas lacrimogeni e spari. Elnaz Rekabi, 33 anni, la campionessa di arrampicata libera che aveva partecipato ai campionati asiatici di Seul senza indossare il velo, ha dichiarato in pubblico che le era scivolato. Secondo la “Bbc” in lingua farsi è stata poi confinata agli arresti domiciliari. Il provvedimento sarebbe una forma di pressione sulla giovane perché rilasci una confessione forzata sulla sua presunta colpa. A questa opera di “convincimento” si sarebbe aggiunta la minaccia di porre sotto sequestro beni della sua famiglia per oltre 250 mila euro.

Mahsa Amini, era stata arrestata nella metropolitana della capitale all’uscita “Shahid Haghani” . “La portiamo – hanno detto gli agenti al fratello Kiarash – a fare una lezione di moralità”. E’ morta dopo tre giorni di coma. Il 20 settembre dell’anno scorso avrebbe  compiuto 22 anni. Le manifestazioni di protesta erano dilagate in tutto il Paese degli ayatollah, nelle strade, nei bazar, nelle università e nelle stazioni della metropolitana. Quarantuno persone sarebbero state fulminate dalle forze dell’ordine nella sola provincia del Sistan Baluchistan. Protestavano per lo stupro di una giovane di 15 anni abusata dal capo della polizia della città portuale di Chabahar. Nella capitale iraniana è stata fermata anche Donya Rad “colpevole” di non aver indossato il velo mentre sorseggiava un caffè con un’amica, anch’essa a capo scoperto. Il caso è scoppiato dopo la diffusione on-line di una foto del pranzo. Le forze di sicurezza sono intervenute, contattando Donya per chiederle spiegazioni. “Dopo alcune ore senza notizie – ha denunciato la sorella – Donya mi ha detto in una breve telefonata di essere stata trasferita nella prigione di Evin”. Il ministero degli esteri iraniano ha comunicato l’arresto di 9 stranieri provenienti da diversi paesi europei, inclusa l’Italia, con l’accusa di essere coinvolti o di essere stati nei luoghi delle proteste. L’organizzazione curda per i diritti umani Hengaw ha riferito che le forze di sicurezza hanno sparato nella notte fra giovedì 22 e venerdì 23 settembre 2023, con armi semiautomatiche contro i manifestanti a Oshnaviyeh (nel nord-ovest). L’hashtag #MahsaAmini ha raggiunto oltre 3 milioni di citazioni su Twitter, oggi “X“.