Di Lorenzo Bianchi

Più di 2000 vittime, 250 dispersi e quasi 4000 feriti. In Myanmar al quarto giorno di ricerche si affievoliscono le speranze di trovare altri sopravvissuti tra le macerie degli edifici. L’Indonesia ha inviato 12 tonnellate di cibo, tende, coperte, prodotti di prima necessità a bordo di un aereo militare da trasporto Hercules C-130 caricato nella base di Halim Perdanakusuma a Giacarta. I soccorsi sono ostacolati dalle scosse di assestamento e dalla ripresa dell’offensiva della giunta militare contro i ribelli.

I raid aerei, accusa un funzionario dell’Onu impegnato nei soccorsi internazionali, sono ricominciati neanche un’ora dopo la prima, micidiale scossa di magnitudo di 7.7, nel primo pomeriggio di venerdì 28 marzo. Il Governo di unità nazionale, nato dalle ceneri del partito democratico della dissidente ed ex leader d’opposizione Aung San Suu Kyi, ha dichiarato unilateralmente una tregua parziale per agevolare i soccorsi. I militari al potere non si sono fermati neppure nella tragedia. Nello stato nord-orientale di Shan (una delle province che si è armata per lottare contro la giunta golpista) un bombardamento ha ucciso almeno sette persone.

La zona più colpita dal sisma è la piana centrale del fiume Irrawaddy, attraversata da nord a sud dalla faglia tettonica di Sagaing. A Mandalay, la storica capitale precoloniale e oggi seconda città del Paese (1,7 milioni di abitanti) i soccorritori della protezione civile sono riusciti in 48 ore a estrarre vive 29 persone che erano rimaste sotto il complesso abitativo crollato di Sky Villa: 4 palazzine di 11 piani, 3 delle quali collassate. Il 29 marzo le sue macerie avevano restituito viva, fra gli applausi, una donna di 30 anni, ma anche 9 cadaveri. Non si hanno notizie di altre 90 persone, delle quali non si sa se siano vive o morte. In un monastero buddista, squadre birmane e cinesi si stanno coordinando per cercare nelle macerie segni di vita tra delle decine di monaci presumibilmente dispersi che stavano sostenendo un esame al momento del terremoto. Due scosse di assestamento registrate dall’Usgs, l’istituto geosismico americano, di magnitudo 4.2 e 5.1, hanno colpito intorno alle 7:30 (l’una di notte in Italia) e alle 14 (le 7.30 italiane), creando panico a Mandalay. Mentre si è rischiato un altro allarme al largo di Tonga, dopo un terremoto 7.1 con epicentro in mare, che ha fatto scattare un warning tsunami, poi rimosso.

A Bangkok, a oltre mille chilometri dal Myanmar, 18 corpi senza vita sono stati estratti dalle macerie del grattacielo di 30 piani in costruzione che si è sbriciolato, mentre risultano dispersi una settantina di operai del cantiere. Le autorità thailandesi hanno avviato un’indagine sulla costruzione dell’edificio, l’unico crollato nella capitale, realizzato da una joint venture tra la Italian-Thai Development Plc e una sussidiaria della China Railway No.10 Engineering Group, una delle più grandi aziende di costruzioni e di ingegneria al mondo.

In Myanmar l’Oms ha fatto pervenire agli ospedali di Mandalay e della capitale Naypyidaw una prima fornitura d’emergenza di 3 tonnellate di materiale sanitario e di medicinali. La Federazione Internazionale delle Società di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa ha lanciato un appello di emergenza per raccogliere più di cento milioni di dollari.

Il sisma principale, che ha avuto origine a soli 10 chilometri di profondità alle 14.20, ora locale (le 07.50 italiane) precisa l’Usgs, ha colpito con effetti potenti anche la Cina, nella remota provincia montagnosa dello Yunnan, e soprattutto la Thailandia. A Bangkok, la capitale è crollato un grattacielo di 30 piani in costruzione. Decine di operai sono dispersi (almeno 80, secondo alcune fonti) e 4 sono morti. Scosse sono state avvertite anche nei vicini Laos e Vietnam. Secondo l’istituto geosismico italiano, l’ Igv, la scossa principale è stata 300 volte più potente di quella di Amatrice del 2016.

La giunta militare golpista, al potere in Myanmar dal 2021, ha lanciato un appello urgente per aiuti umanitari alla comunità internazionale: una mossa inusuale per un governo di uomini con le stellette. L’India, che si è messa a disposizione anche della Thailandia, è stata fra i primi Paesi ad offrire aiuto. Il bilancio delle vittime è in continuo aggiornamento, anche se le informazioni circolano con difficoltà nel Paese. La giunta militare ha dichiarato lo stato d’emergenza in sei province: Sagaing, Mandalay, Bago, Magway e nello stato autonomo orientale di Shan. Il leader Min Aung Hlaing ha visitato l’ospedale principale della moderna capitale Naypyidaw. L’agenzia di stampa France Presse dà conto di feriti che si accumulano all’interno e all’esterno della struttura, che ha 1.000 posti letto. Decine di pazienti sono allineati a terra fuori dal pronto soccorso e vengono, assistiti dai familiari. Molti si “contorcono dal dolore”.

In Thailandia Paetongtarn Shinawatra, il premier, ha convocato d’urgenza il governo e dichiarato lo stato d’emergenza a Bangkok. Il crollo del grattacielo in costruzione – le cui immagini in diretta sono state riprese da vari media – ha provocato almeno quattro morti accertati. Gli operai edili sepolto sotto le macerie sarebbero 43 secondo le stime più ottimistiche e 80 secondo altre. In Cina, nello Yunnan, che confina a est con la Birmania, video trasmessi dall’emittente statale cinese Beijing News mostrano una strada nella città di Ruili, al confine birmano, disseminata di detriti e una decina di soccorritori in tute arancioni e caschi in piedi dietro un cordone di sicurezza.

Al nostro ministero degli Esteri non risultano italiani coinvolti fra il centinaio di residenti in Myanmar, i 7000 registrati in Thailandia e i 700 turisti che si sono iscritti al sito “Dove siamo nel mondo”. Per Save the Children “6,7 milioni di bambini sono a rischio”. La Croce Rossa teme che crollino le dighe. Oms e Medici senza frontiere hanno deciso subito di mandare uomini e materiale.

Mesi fa la Birmania era stata al centro dell’attenzione della comunità internazionale per la condanna  a sei anni di reclusione comminata a Aung San Suu Kyi, 78 anni, la “lady” della Birmania agli arresti dal golpe militare del primo febbraio 2021. Il processo era stato, come sempre a porte chiuse. Un ordine specifico impediva  agli avvocati di parlarne pubblicamente. Il primo agosto del 2023 la pena complessiva di 33 anni è stata ridotta di sei per il condono di 5 dei 19 reati per i quali l’imputata era stata giudicata e condannata. La grazia parziale è stata firmata dal presidente del Consiglio amministrativo di stato. Di recente la “lady” è stata trasferita agli arresti domiciliari in un edificio del governo. L’ultimo verdetto è collegato all’accusa di aver abusato della sua posizione per affittare terreni pubblici a canoni inferiori a quelli di mercato e di aver costruito una residenza privata con fondi raccolti con fini dichiarati di carità. In gennaio Suu Kyi si era vista appioppare quattro anni di carcere per aver importato illegalmente 12 walkie talkie e per la violazione delle restrizioni imposte per contrastare il coronavirus. Un mese prima un’altra sentenza glie ne aveva affibbiati altri quattro, due per sedizione e due per aver violato le norme sul coronavirus durante la vittoriosa campagna elettorale del novembre 2020.

Il 26 aprile cinque anni di carcere si erano abbattuti sul capo di Aung San Suu Kyi capofila della resistenza al dominio degli uomini con le stellette, la giunta militare protagonista di un golpe che ha estromesso dal potere gli eletti dal popolo. Il verdetto di colpevolezza è dovuto all’imputazione di aver intascato 600 mila dollari e 11,4 chili di oro da un importante uomo politico, l’ex governatore di Yangun Phyo Min Thein, che ha testimoniato in ottobre contro la leader eletta. Ming Aung Hlaing, il capo della giunta militare, ha annunciato che “dopo che i procedimenti giudiziari contro Aung San Suu Kyi si saranno conclusi ai sensi di legge, prenderemo in considerazione negoziati in base alla sua risposta”.

Il 25 luglio è diventata di pubblico dominio la notizia che sono stati giustiziati quattro oppositori, i primi dal 1988. La vittima più nota della giunta militare che si è insediata alla guida del Paese con il golpe del primo febbraio 2021 è la ex star dell’hip-hop Phyo Zeya Thaw, 41 anni. Venerdì aveva chiesto alla madre Khin Win Tint occhiali da vista, un vocabolario e un po’ di denaro. Lunedì, quando la donna ha cercato di portarglieli nel famigerato carcere di Insein, alla periferia di Yangon, i secondini le hanno fatto sapere che il destinatario non era più di questo mondo, perché era stato “giustiziato” sabato 23 luglio. Era imputato di aver diretto attacchi ai militari. L’episodio più grave sarebbe stato una sparatoria a bordo di un treno di pendolari che attraversava la capitale. Nello scambio di colpi di arma da fuoco persero la vita cinque poliziotti. Thaw è stato condannato da un tribunale militare a porte chiuse, senza alcuna assistenza legale (né possibilità di contestare le prove) così come nessun avvocato è stato autorizzato a entrare nell’aula del verdetto che ha preceduto l’esecuzione della pena capitale. Con modalità processuali identiche, ossia nel segreto assoluto, sono stati giudicati colpevoli dell’imputazione di terrorismo anche Kyaw Min Yu, 53 anni, detto “Ko Jimmy”, Hla Myo Aung e Aung Thura Zaw. Gli ultimi due erano accusati di aver eliminato un’informatrice della giunta militare. “Ko Jimmy”, veterano della dissidenza dai tempi del gruppo studentesco “Generazione 88”, nel 1989 era stato condannato a venti anni di lavori forzati. Più volte ha definito il carcere “la mia seconda casa”. Nel 2012 fu rilasciato. Nell’ottobre del 2021 era stato arrestato di nuovo con l’imputazione di aver pianificato omicidi di informatori militari, attentati a centrali elettriche e ad altri edifici dello stato.

Il rapper Zeya Thaw era finito in cella per la prima volta nel 2008. Nel 2000 era stato uno dei fondatori del gruppo “Acid” il cui primo disco “Sa Tin Gvin”, ossia “Inizio”, per mesi fece furore nelle classifiche dei più venduti. Il Paese era guidato dall’ autocrate di turno, il generale Than Shwe. Con tre compagni di liceo dopo la “Rivoluzione dello zafferano” del 2007, ispirata da monaci buddisti, Phyo Zeya Thaw fondò “Generation Wave”, un movimento che dipingeva graffiti a favore della democrazia e distribuiva adesivi e opuscoli in sintonia con le scritte sui muri. Finì in carcere nel 2008 e fu rilasciato tre anni dopo. Usufruì di un’amnistia. Nel novembre del 2021, quando è stato arrestato di nuovo, la Tv statale ha trasmesso una foto che lo riprendeva con le mani dietro la testa e sulle gambe un fucile automatico, due pistole e diversi caricatori di proiettili. Nel 2012 era stato eletto in Parlamento assieme a Aung San Suu Kyi. Thaw ha mantenuto il suo seggio fino al 2020. Spesso accompagnava la leader della “Lega Nazionale per la Democrazia” nei viaggi all’estero. La premio Nobel per la pace (anno 1991) è stata condannata finora a undici anni di galera. Sul suo capo pendono poi altri 13 procedimenti che potrebbero costarle altre condanne a un totale di oltre 100 anni. L’Associazione per l’assistenza ai prigionieri politici, in sigla “Aapp”, nel suo conteggio del 26 luglio calcola che dal giorno del golpe gli arresti sono stati 14.883, che le persone ancora in carcere (compresi i condannati) siano 11.795 e che 2.123 birmani siano stati uccisi dalla giunta militare al potere.

Aung era stata arrestata il primo febbraio 2021.  A quattro anni è stato condannato anche l’ex presidente birmano Win Myint. Ma durante l’udienza del primo marzo, con una procedura giudiziaria a dir poco sbrigativa, ad Aung è stata notificata anche l’accusa di “violazione della legge sulle comunicazioni”.  Il 2 aprile le è piovuta fra capo e collo la contestazione di aver infranto i segreti di stato. Una modifica del codice penale introdotta dai militari golpisti consente ora la detenzione senza la convalida di un giudice. In concreto la “Lady” rischia di essere privata della libertà a vita.

La giunta militare birmana ha continuato a falciare dimostranti e ha infiammato la guerra civile travolgendo il fragile cessate il fuoco di 30 giorni concordato con i gruppi armati dei movimenti separatisti. Sabato 10 aprile 2021 le forze delle tre “Fratellanze di organizzazioni armate”, le truppe dell’”Esercito dell’Arakan”, dell’”Esercito Nazionale Democratico Alleanza Kokang Myanmar” e dell’”Esercito di Liberazione Nazionale Ta’ang” hanno attaccato una stazione di polizia a Naung Mon, a 25 chilometri da Lashio, sull’autostrada che collega Lashio a Mandalay. Quattordici poliziotti hanno perso la vita. Una delle vittime sarebbe il capo del distaccamento. A Bago, 65 chilometri a nordest di Yangon, usando armi pesanti i militari “hanno sparato anche alle ombre”, riferiscono i residenti. I morti potrebbero essere 80. L’attacco è cominciato alle 5 della mattina di venerdì 9 aprile 2021. Cinquantasette cadaveri sono stati trascinati dai soldati nella pagoda Zeyar Muni, il loro quartier generale in città. Tre sono all’obitorio. Un caduto è stato immediatamente cremato. Le notizie sono state riferite al quotidiano “Myanmar Now” da Ye Htut, uno dei leader della protesta. A Tamu, nella regione Sagaing, i soldati sono caduti in un’imboscata. Gli abitanti del posto imbracciavano tradizionali fucili da caccia Tumi a colpo singolo. Sono morti tre militari e un civile. Nello stato di Kachin l’esercito cerca i capi della rivolta anche con irruzioni nelle chiese cristiane, nei templi e nei monasteri buddisti. Diciannove persone sono state condannate a morte per aver ucciso un soldato (17 sono ancora ricercate). A Yangon, la città più popolata del Myanmar, è esplosa una bomba davanti alla filiale di una banca di proprietà dei militari. Un uomo della sicurezza è stato ferito dai frammenti dell’ordigno.

All’inizio del mese di aprile 2021 Zaw Min Tun, portavoce della giunta che ha messo a segno il colpo di stato del primo febbraio, ha dichiarato al network statunitense “Cnn” che lo stato di emergenza di un anno potrebbe essere prolungato di “sei mesi” e che le nuove elezioni potrebbero essere organizzate “entro due anni”, uno in più rispetto alle promesse fatte a caldo dal capo della giunta, il generale Min Aung Hlaing. Dalla fine di marzo 2021 l’informazione della resistenza si è spostata da internet, bloccata dalla giunta quasi ogni giorno, alla vecchia carta stampata. Gli attivisti distribuiscono le riviste nelle strade e nei mercati come durante la rivolta del 1988. Fra i primi titoli ad apparire “Towards”, “The Voice of Spring”, “The milestone” e “Molotov”.  Il 24 marzo 2021 a Mandalay è stata uccisa a sangue freddo una bimba di sette anni. Si chiamava Khin Myo Chit. Si era rifugiata sulle ginocchia del padre U Maung Hashin Bai dopo che i soldati avevano sfondato a calci la porta della sua casa, riferisce il quotidiano “Myanmar Now”. La perquisizione si è conclusa con l’arresto del fratello, 19 anni. Di notte le forze di sicurezza hanno  tentato di trafugare la salma della piccina, ma i genitori l’avevano già portata in un altro posto. La casa è stata distrutta dai soldati. Il 27 marzo è stato il giorno più sanguinoso della rivolta. Se sono giusti i calcoli del giornale “Myanmar Now”, sono stati fulminati 114 civili, 27 a Yangon e 40 a Mandalay (dove le forze dell’ordine hanno abbattuto una ragazzina di 13 anni nel quartiere residenziale Meikhtila). Per Sasa, un leader dell’opposizione, il 27 marzo le forze armate hanno consegnato alla storia “il giorno della vergogna”.

Come se vivesse su un altro pianeta, l’Esercito ha celebrato il settantaseiesimo anniversario della resistenza contro l’invasione giapponese (capeggiata dal padre di Aung San Suu Kyi), dopo che la tv di stato aveva invitato i cittadini a “non morire per nulla, imparando la lezione da chi è deceduto brutalmente”. Il capo della giunta Min Aung Hlaing ha parlato per 30 minuti alle truppe schierate. Alla cerimonia hanno partecipato una delegazione  cinese e una rappresentanza russa guidata dal viceministro della difesa Aleksander Fomin. L’uomo di Mosca ha incontrato Hlaing e ha dichiarato che il suo Paese è “impegnato a sfruttare al massimo il potenziale esistente per approfondire la cooperazione tecnico -militare nello spirito del partenariato strategico”.

Il quotidiano britannico “The Guardian” ha raccontato il mortale contrappasso inflitto a Zaw Myat Lynn, 46 anni, un professore universitario di letteratura giapponese che aveva osato  definire “terroristi” e “cani” i militari della giunta golpista. L’8 marzo 2021 la sua lingua è stata letteralmente sciolta con soda caustica o con un getto di acqua bollente che gli ha anche frantumato i denti. Lynn era un militante della Lega Nazionale per la democrazia guidata da Aung San Suu Kyi. Tutto iI suo corpo è un unico livido interrotto solo da una coltellata all’addome.  Sulla sua pagina Facebook condivideva video di soldati che sparano su civili inermi. I militari sono andati a casa sua e lo hanno costretto a salire su un camion. Il giorno dopo la moglie Phyu Phyu Win è stata convocata all’ospedale militare Mingarlardon per l’identificazione della salma. I responsabili della struttura sanitaria le hanno consegnato un referto che ha attribuito il decesso alla caduta del docente dall’altezza di 9 metri su una recinzione metallica affilata. Così si sarebbe concluso un tentativo di fuga del consorte. Qualche giorno prima era stato trovato senza vita in carcere Khin Maung Latt, 58 anni, presidente della Lega Nazionale per la Democrazia a Yangon. Aveva una ferita alla testa e lividi in tutta la schiena.

Il 16 marzo del 2021 di mattina è cominciata una fuga di massa dal quartiere Hlaing Tharyar di Yangon (nella foto un dimostrante tenta di recuperare un compagno colpito), una grande e povera area industriale. Gli abitanti cercavano di tornare nei loro villaggi di origine in sella a bici, a moto o su tradizionali carretti tuk tuk stracarichi. Secondo l’Associazione per l’assistenza ai prigionieri politici nella circoscrizione il 15 marzo erano state uccise 20 persone dopo che individui armati di sbarre di ferro, di asce e di taniche di benzina hanno danneggiato un albergo e altre 10 strutture di proprietà cinese, per lo più fabbriche o magazzini di abbigliamento. Il 14 marzo su Hlaing Tharyar, sul vicino quartiere Shwepyitha e su altre 4 circoscrizioni era calata la mannaia della legge marziale. Chiunque venga arrestato rischia da un minimo di tre anni di carcere fino al massimo della pena capitale. Non si ha più nessuna notizia di centinaia di persone, compresi molti bambini. La “Whitecoat Alliance of medics” riferisce che i sanitari finiti dietro le sbarre sono una cinquantina. E stato rinchiuso in cella anche Paing Takhon, 24 anni, uno dei più celebrati attori del Paese. Molte categorie professionali e i dipendenti pubblici di ogni settore sono scese in sciopero.

A Mandalay Ma Kyal Sin, una ragazza di 19 anni, è stata trafitta al collo da un proiettile. Indossava una maglietta sulla quale aveva scritto “tutto andrà bene”. Come se avesse avuto un presentimento aveva affidato a Facebook l’indicazione del suo gruppo sanguigno e aveva disposto la donazione dei suoi organi. Postava video dei suoi passi di danza, selfie dei suoi abiti e foto con il padre. Nel novembre 2020 Kyal e il genitore avevano scattato istantanee delle loro dita macchiate di inchiostro viola. Avevano appena partecipato alle elezioni stravinte dalla Lega Democratica Nazionale (in sigla Ldn) di Aung San Suu Kyi. Di notte e con il pretesto di sottoporre il corpo della giovane a una autopsia, diversi individui sono entrati nel cimitero nel quale era sepolta. La sua tomba è stata riempita di cemento. I profanatori hanno lasciato sul posto lamette da barba, stivali di gomma, pale, camici da chirurgo e un guanto insanguinato.

L’ambasciatore di Pechino in Myanmar Chen Hai ha dichiarato che il suo Paese “ha relazioni amichevoli sia con la Lega Democratica Nazionale (il partito di Aung San Suu Kyi) sia con i militari”.  “La situazione attuale – ha tenuto a precisare – non è assolutamente quella che la Cina vorrebbe vedere”. A Pechino sta a cuore “la stabilità politica e sociale” del Paese nel quale ha investito capitali ingenti e dal quale importa preziose terre rare necessarie per gli smartphone e per i sistemi di difesa missilistica. Nel golfo del Bengala vorrebbe realizzare il porto di Kyaukphyu con una annessa Zona Economica Speciale che è già costata oltre 7 miliardi di euro.

Lo scalo marittimo garantirebbe l’accesso diretto all’Oceano Indiano (dalla provincia cinese dello Yunnan) e svincolerebbe la “via della seta” dalla necessità di attraversare lo stretto di Malacca presidiato dagli Stati Uniti e dai loro alleati asiatici. L’Occidente ha battuto un colpo. Il presidente americano Joe Biden ha cancellato aiuti per 42,4 miliardi di dollari e ha congelato i beni negli Usa e l’accesso ai fondi statunitensi a tre società e a dieci esponenti dei vertici militari birmani in servizio o in pensione. Il dipartimento del tesoro americano ha applicato misure restrittive contro la Myanmar Gems Enterprise, una società del governo che sovrintende a tutte le attività di lavorazione delle pietre preziose. La Birmania è il primo produttore del mondo di giada e di rubini.. Londra ha deciso sanzioni contro Min Aung Hlaing, contro altri 5 alti ufficiali e a carico della “Myanmar economic holdings”, un importante conglomerato guidato da militari. A tutti ha vietato l’ingresso nel suo territorio e gli affari con società britanniche. La Ue progetta misure contro undici ufficiali birmani che stanno guidando la repressione. Nell’elenco è incluso, ovviamente, il generale Min Aung Hlaing.