L’ISTITUTO nazionale di geologia e vulcanologia non ha dedicato una sola riga alle caratteristiche sismiche che dovrà avere l’area del Deposito nazionale di smaltimento delle scorie radioattive a bassa e media attività. Il professor Enzo Boschi, che ha guidato l’ente per 12 anni, esprime il suo sconcerto in un articolo pubblicato il 26 novembre dal «Foglietto della ricerca», un settimanale dell’Unione sindacale italiana.
IN EFFETTI il parere dell’Ingv, meno di due facciate sulle 23 della Guida tecnica numero 29 elaborata dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale del ministero di via Cristoforo Colombo a Roma, affronta solo tre punti. Sostiene che debbono essere escluse le aree «vulcaniche attive e quiescenti» indicate dalla Protezione Civile, sollecita che siano «ulteriormente valutate quelle secondarie» e chiede di «effettuare sull’area di indagine un monitoraggio areale di radiazione gamma atto a definire il livello di background di radioattività naturale». Punto. Nel delineare il secondo criterio di esclusione delle aree inadatte al deposito della «spazzatura nucleare », quello sul rischio di terremoti, l’Ispra è quindi costretto a richiamarsi alle «norme tecniche per le costruzioni» che sono ora in vigore.

L’ente non può fare a meno di precisare che mancano «dati e informazioni storiche omogenee per l’intero territorio nazionale» sull’accelerazione di picco, ossia sul parametro che misura l’intensità dei sismi. Dovrebbe invece essere calcolata per un intervallo di 2475 anni fra due scosse della stessa entità.NEL DEPOSITO dovrebbero finire tutte le scorie nucleari sparse nel Bel Paese.

Il volume complessivo dei residui sarebbe compreso fra 60 mila e 90 mila metri cubi, un piccolo palazzo dello sport. È il materiale a bassa e media intensità prodotto dalle centrali nucleari smantellate dopo il referendum del 1987 o da attività industriali e ospedaliere. Quelli ad alta intensità, i più pericolosi, dovranno essere accolti, scrive l’Ispra, in una «specifica struttura» collocata nello stesso impianto. Per il momento si trovano in Francia e in Gran Bretagna, ma dovranno tornare in blocchi vetrificati fra il 2019 e il 2025. L’investimento minimo previsto è di 1,2 miliardi di euro.
L’operazione sarà affidata alla Sogin e dovrebbe concludersi in otto anni. Una settimana dopo l’articolo di Enzo Boschi, sempre sul «Foglietto della ricerca», il professor Benedetto De Vivo, ordinario di geochimica ambientale all’UniversitàFederico II di Napoli e professore aggiunto nell’ateneo «Virginia Tech» di Blacksburg, Stati Uniti, ha lanciato un nuovo allarme. Il docente ricorda che la precedente scelta di Scanzano Jonico, quella che undici anni fa provocò i blocchi stradali, fu affondata da un suo «rapporto circostanziato».
NELLO STUDIO, ricostruisce, contestò la decisione di scegliere i depositi salini anche sulla base del fatto che le scorie ad alta energia possono mobilitare i fluidi del
minerale. Per questo stesso motivo gli Usa hanno rinunciato a concentrare i loro cascami nucleari in Texas e nel Nuovo Messico.

«LA RISPOSTA dell’Ingv – ha scritto Boschi – dimentica qualunque analisi delle strutture sismo genetiche, diffuse ovunque nel territorio nazionale, che costituiscono il punto più critico di tutta l’operazione».«È vero – rincara– che è disponibile la Mappa di Pericolosità Sismica, ma per una infrastruttura tanto delicata sono imprescindibili studi molto più approfonditi».

(ha collaborato Viviana Bruschi)