Di Lorenzo Bianchi

Gli armeni cristiani del Nagorno – Karabakh si sono arresi agli azeri. In centomila su centoventimila sono fuggiti in Armenia dal 21 al 30 settembre. Almeno duecento hanno pagato con la vita il loro sogno di indipendenza. I civili uccisi sarebbero una decina, fra i quali 5 bambini. I feriti sono oltre 400.  Da nove mesi i 120 mila armeni dell’enclave sono isolati dal resto del mondo. I militari di Baku hanno chiuso il corridoio di Lachin, la striscia di territorio che li collegava con la madrepatria. Dal 21 settembre nel Nagorno – Karabakh detta legge l’Azerbaijan musulmano, turcofono e sostenuto militarmente da Ankara, anche con cospicue forniture di droni. Baku fa sapere che nell’attacco sono caduti 192 suoi soldati. Dopo tre decenni la Repubblica autonoma dell’Artsakh  (Il nome armeno del Nagorno – Karabakh) ha annunciato che entro la fine dell’anno  tutte le sue istituzioni  cesseranno di esistere.  L’ex premier dell’enclave armena Ruben Vardanyan è stato arrestato dagli azeri sul ponte Hakari alla fine del corridoio di Lachin, a poca distanza dalla città armena di Goris. La foto che pubblichiamo (distribuita dalle guardie di frontiera di Baku) lo ritrae fra due militari in un’area che potrebbe essere un aeroporto. Cercava di fuggire dall’enclave. Vardanyan è un miliardario. Aveva un passaporto russo e uno armeno. Nel 1991 aveva fondato Troika Dialog, la prima società di intermediazione finanziaria della Federazione Russa. A Mosca era anche stato il primo presidente della scuola di management Skolkovo. Un anno fa ha rinunciato alla cittadinanza russa e si è trasferito nel Nagorno-Karabakh. Dal novembre del 2022 fino al febbraio di quest’anno era stato il primo ministro dell’enclave. E’ stato trasferito a Baku e consegnato a non meglio identificate “agenzie governative”. Deve rispondere di aver “finanziato il terrorismo”, di aver “creato gruppi armati fuori legge” e di “attraversamento illegale del confine”. Rischia 14 anni di carcere. Il presidente Aliyev nei giorni scorsi aveva annunciato che “elementi del regime criminale del Nagorno – Karabakh saranno portati davanti alla giustizia”. il servizio di sicurezza dell’Azerbaigian il 29 settembre ha fermato anche Davit Manukyanun, primo vice comandante delle forze separatiste ed ex generale dell’esercito armeno. Baku lo accusa, come al solito, di coinvolgimento in attività “terroristiche”.  Matteo Renzi, leader di “Italia Viva”, ha postato sul suo canale “X” un video che mostra un gruppo di soldati azeri intenti a rimuovere una croce da un campo.

Anche sei militari del contingente russo che avrebbe dovuto vigilare sulla pace hanno perso la vita. Il 20 settembre un gruppo di soldati azeri “partecipante alle attività antiterrorismo nel villaggio di Dzhanyatag” ha sparato su un’auto sulla quale viaggiavano soldati della Federazione Russa. “A causa del maltempo”, questa la spiegazione ufficiale fornita dall’ufficio del procuratore generale di Baku, la capitale dell’Azerbaijan, i militari azeri li avrebbero scambiati per uomini dei “gruppi armati armeni illegali”. Nella stessa giornata secondo il massimo organo della pubblica accusa azera “membri non identificati delle formazioni armate armene hanno sparato con armi da fuoco contro un veicolo” dei soldati russi che dovrebbero garantire la pace uccidendo un militare e ferendone un altro.

Il 25 settembre il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha incontrato Aliyev nell’exclave azera del Nakhichevan, che confina con l’Iran, con l’Armenia e per soli 9 chilometri con la Turchia. I due leader coltivano il sogno di creare un collegamento terrestre, il cosiddetto Corridoio di Zangezur, annettendo la regione armena di Syunik.  Il Nakhichevan – e quindi anche la Turchia – avrebbe in questo modo una continuità territoriale con l’Azerbaigian. Ankara otterrebbe una possibilità di accesso diretto al Mar Caspio. L’Iran, antico alleato dell’Armenia, guarda con preoccupazione a questa prospettiva. Un editoriale pubblicato dal quotidiano “Jomhoury Eslami” (Repubblica islamica), vicino ai vertici del potere iraniano, lo ha definito una “linea rossa”. Se venisse oltrepassata ci “si deve aspettare una reazione decisa”.

Il destino degli armeni rimasti nel Nagorno – Karabakh è appeso all’esile filo della bozza di accordo siglata il 20 settembre a Yevlakh, sessanta chilometri a nord di Baku, tra i rappresentanti dell’enclave e i delegati dell’Azerbaijan.  I russi hanno segnalato cinque isolate violazioni dell’intesa preliminare raggiunta dopo tre ore di colloqui. Resta il dissenso su quella che l’Azerbaijan definisce crudamente “reintegrazione” nel suo territorio del Nagorno – Karabakh, e quindi la fine alla Repubblica di Artsakh, come gli indipendentisti armeni chiamano l’enclave. Il 23 settembre un soldato azero è stato ferito nel distretto di Mardakert. E stata la prima grave violazione della tregua. Il colonnello Anar Eyvazov, portavoce militare di Baku, parlando dal distretto di Shusha, vicino a Stepanakert, la capitale del Nagorno – Karabakh, ha sostenuto che la smilitarizzazione procede “regolarmente”. Un convoglio umanitario della Croce Rossa è stato autorizzato a entrare nel territorio conteso circondato dalle truppe di Baku.

Ma finché non ci sarà” un accordo finale” che dia adeguate garanzie di sicurezza ai residenti armeni, le milizie locali non deporranno le armi come previsto dall’intesa del 20 settembre, ha detto all’agenzia “Reuters” David Babayan, consigliere del leader separatista Samvel Shahramanyan. L’ambasciatore armeno presso l’Ue, Tigran Balayan, ha detto all’”Ansa” che nell’enclave “è in corso una pulizia etnica a tutto campo» e «quello che sta accadendo davanti ai nostri occhi è la Srebrenica del ventunesimo secolo”. I soldati di Mosca avrebbero dovuto garantire che il corridoio di Lachin fosse percorribile. Il primo ministro armeno Nikol Pashinyan sostiene di aver sollevato il problema “sistematicamente”. “Abbiamo – ammette – la nostra parte di responsabilità, ma non credo che dovremmo chiudere gli occhi di fronte al fallimento registrato dal contingente russo”. Vladimir Putin, che il 20 settembre, aveva parlato al telefono con il premier armeno, il giorno successivo ha avuto una conversazione con il presidente azero Ilham Aliyev, al quale ha chiesto che Baku garantisca “i diritti e la sicurezza degli armeni del Nagorno-Karabakh”. Durante la telefonata Aliyev ha presentato le sue scuse, ammettendo la responsabilità delle sue truppe per l’uccisione dei sei soldati di Mosca. Cinico il commento del portavoce del Cremlino Dmitry Peskov: “Dal  momento che il problema principale dell’affiliazione territoriale del Nagorno – Karabakh è stato risolto, possiamo dire che è stato fatto un progresso sostanziale”.

A Bruxelles il presidente armeno Vahagn Khachaturyan ha manifestato la sua preoccupazione per la “cooperazione militare fra l’Italia e l’Azerbaijan e per gli accordi già firmati o previsti che potrebbero valere da 1,2 a 1,5 miliardi di euro”. “Queste armi – prevede – un giorno verranno utilizzate contro il Nagorno – Karabakh o contro l’Armenia”. Da diversi mesi è stato creato un tavolo tecnico fra i ministeri della difesa dei due Paesi per mettere a fuoco il contributo di Roma all’ammodernamento delle forze armate di Baku. Leonardo in giugno ha annunciato la vendita dei biturbina C27J Spartan da trasporto. La lista della spesa azera comprende aerei, fucili d’assalto, semoventi contraerei, missili terra – aria e piccoli sottomarini costruiti dalla Drass Galeazzi e i jet da addestramento M346 della Leonardo che possono essere usati come cacciabombardieri. Tutti i contratti sono però bloccati. Manca il sì dell’Uama, l’ufficio della Farnesina che deve autorizzare le esportazioni di materiale bellico. Una legge del 1992 vieta ogni cessione a uno Stato in guerra. Questa situazione di stallo rischia di avere riflessi negativi anche sulle consegne di gas, importazioni cruciali per sostituire quello che l’Italia importava dalla Russia. L’Azerbaijan ora è il secondo fornitore di Roma.

Pashinian ha tenuto a precisare che l’Armenia “non è fra i firmatari del documento” siglato a Yevlakh e che aveva denunciato da tempo la concentrazione di soldati di Baku ai confini dell’enclave armena. Colpi di arma da fuoco sono stati sparati a Stepanakert alle 12 e 15 locali del 22 settembre. I termini della bozza di accordo includono lo scioglimento e il completo disarmo delle forze armate del Nagorno – Karabakh. Alcuni armeni irriducibili stanno già progettando di dar vita a piccole cellule di partigiani. I soldati di Baku hanno imposto un’autorizzazione specifica per entrare nell’enclave.

Gli azeri hanno annunciato che porteranno la questione “fino al termine”, ossia fino a quando non avranno recuperato tutto il territorio che non riuscirono a liberare durante la guerra del 2020 durata 44 giorni. Il fattore scatenante dell’ultima loro offensiva, hanno spiegato, è stato la morte di due civili azeri e di quattro poliziotti, uccisi presumibilmente da mine piazzate da “gruppi di sabotaggio delle forze armate armene nella regione azera del Karabakh”. Erevan replica che l’Armenia “non ha unità nell’enclave”.

Nel Karabakh la Russia ha schierato quasi 2.000 peacekeepers dopo aver mediato un cessate il fuoco che pose fine alla guerra tra Baku e Erevan nell’autunno del 2020, la seconda dopo quella degli anni ’90. La nuova crisi ha tuttavia messo in evidenza qualche tensione tra la Russia e l’Armenia, che per anni dopo lo scioglimento dell’Unione Sovietica sono state strette alleate. Mosca non ha perdonato a Erevan di aver avviato recentemente manovre militari congiunte con gli Usa. Maria Zakharova, la portavoce del ministero degli Esteri russo, ha accusato Erevan di aver “creato «un terreno fertile per la politica ostile dell’Occidente contro la Russia”. Da parte sua l’Armenia ha lamentato di non essere stata avvertita da Mosca circa l’operazione che Baku stava preparando, nonostante l’Azerbaigian abbia detto di avere messo al corrente sia la Federazione Russa sia la Turchia. Zakharova ha ribattuto che il governo russo non ne ha avuto il tempo, perché è stato avvisato dagli azeri solo “pochi minuti prima”. Il segretario di Stato americano Antony Blinken invece ha detto di aver avuto colloqui con tutte le parti per porre fine a quella che ha definito un’operazione “vergognosa” dell’Azerbaigian. Anche il presidente francese Emmanuel Macron ha avuto una conversazione telefonica con il primo ministro armeno Nikol Pashinian e ha condannato con ”la più grande fermezza” l’azione militare.il presidente turco Recep Tayyp Erdogan ha affermato all’Onu che la Turchia ha sostenuto i negoziati tra Azerbaigian e Armenia fin dall’inizio, precisando però che “Il Nagorno Karabakh è territorio dell’Azerbaigian. Qualsiasi altro status imposto non sarà mai accettato”, ha concluso Erdogan.

Nikol Pashinyan ha denunciato in un discorso televisivo che “certe persone, certe forze sferrano un colpo allo Stato armeno”. L’opposizione lo accusa di essere debole sul Nagorno Karabakh. Pashinyan nella guerra del 2020 ha perso territorio a favore dell’Azerbaijan e i partiti di opposizione lo accusano di fare troppe concessioni sul Karabakh.

A mezzanotte di lunedì 12 settembre 2022 la linea di demarcazione fra Armenia e Nagorno – Karabakh era stata illuminata a giorno dai proiettili traccianti che guidavano i colpi di artiglieria azeri. Secondo il ministero della difesa armeno Baku ha “attaccato con bombardamenti intensivi obiettivi militari delle città di Goris, Sotk e Jermuk. Cento corpi senza vita erano stati trovati sul confine orientale fra l’Armenia e l’Azerbaigian. Era divampato di nuovo il conflitto fra i due Paesi in un momento nel quale la Russia, secolare protettore degli armeni, pareva in grandi difficoltà per l’avanzata ucraina nella regione di Kharkiv occupata da Mosca all’inizio di marzo di quell’anno.

L’Azerbaijan ha definito “una menzogna” questa ricostruzione dei fatti. Come già nell’autunno del 2020 sono comparsi nei cieli armeni i micidiali droni turchi Bayraktar Tb 2 che pesano appena 600 chili, molto meno dei concorrenti israeliani, cinesi, statunitensi e che costano la metà ossia 10 milioni di dollari. Li produce l’azienda “Baykar Techonologies” di Selçuk Bayraktar, brillante laureato del Massachussetts Institute of Technoloy e genero del presidente Erdoğan. Bayraktar la fondò nel 1986. Fino ad oggi sono oltre duemila i velivoli consegnati (ndr. anche all’Ucraina).

Baku ha riconosciuto di aver perso cinquanta uomini, 42 militari e 8 guardie di frontiera. In agosto aveva denunciato l’uccisione di un suo soldato. Per l’enclave del Nagorno Karabakh sono state combattute due guerre. L la prima, tra il gennaio 1992 e il maggio 1994, provocò trentamila caduti. Nell’autunno del 2020 si è combattuto di nuovo per sei settimane. Seimilacinquecento persone sono state uccise. Il cessate il fuoco fu mediato dalla Russia che schierò duemila uomini lungo il travagliato confine fra i due Paesi. Durante i colloqui a Bruxelles, in aprile e in maggio, il presidente dell’Azerbaijian Ilham Aliyev e il pari grado armeno Nikol Pashinyan avevano concordato di “promuovere le discussioni” su un futuro trattato di pace. In questo scenario è caduto il fulmine della sconfitta russa a Kharkiv. La disfatta potrebbe aver indotto gli azeri a pensare che era arrivato il momento giusto per scatenare l’offensiva contro gli armeni del Nagorno – Karabakh.