Di Lorenzo Bianchi

 

I separatisti del Nagorno – Karabakh si sono arresi nel sangue e nella privazione di tutto provocata dalla chiusura del corridoio di Lachin, la striscia di territorio che li collegava all’Armenia. L’Azerbaijan ora detta legge. I caduti sarebbero 200 e i feriti 400. Fra i morti una decina di civili. Cinque vittime sono bambini. Anche sei militari del contingente russo che avrebbe dovuto vigilare sulla pace hanno perso la vita. Il 20 settembre un gruppo di soldati azeri “partecipante alle attività antiterrorismo nel villaggio di Dzhanyatag” ha sparato su un’auto sulla quale viaggiavano soldati della Federazione Russa. “A causa del maltempo”, questa la spiegazione ufficiale fornita dall’ufficio del procuratore generale di Baku, la capitale dell’Azerbaijan, i militari azeri li avrebbero scambiati per uomini dei “gruppi armati armeni illegali”. Nella stessa giornata secondo il massimo organo della pubblica accusa azera “membri non identificati delle formazioni armate armene hanno sparato con armi da fuoco contro un veicolo” dei soldati russi che dovrebbero garantire la pace uccidendo un militare e ferendone un altro.

Il giorno dopo il cessate il fuoco il destino dei 120 mila armeni cristiani che abitano nel Nagorno – Karabakh è appeso al filo sottile della bozza di accordo siglata il 20 settembre a Yevlakh, sessanta chilometri a nord di Baku, tra i rappresentanti dell’enclave armena e i delegati dell’Azerbaijan, un paese musulmano fortemente appoggiato dalla Turchia, anche con cospicue forniture di droni. I russi hanno segnalato cinque isolate violazioni dell’intesa preliminare raggiunta dopo tre ore di colloqui. Resta il dissenso su quella che l’Azerbaijan definisce crudamente “reintegrazione” nel suo territorio del Nagorno – Karabakh, e quindi la fine alla Repubblica di Artsakh, come gli indipendentisti armeni chiamano l’enclave.

Ma finché non ci sarà” un accordo finale” che dia adeguate garanzie di sicurezza ai residenti armeni, le milizie locali non deporranno le armi come previsto dall’intesa del 20 settembre, ha detto all’agenzia “Reuters” David Babayan, consigliere del leader separatista Samvel Shahramanyan. L’ambasciatore armeno presso l’Ue, Tigran Balayan, ha detto all’”Ansa” che nell’enclave “è in corso una pulizia etnica a tutto campo» e «quello che sta accadendo davanti ai nostri occhi è la Srebrenica del ventunesimo secolo”. Delle oltre tremila persone che si erano rifugiate nella base dei militari di Mosca solo 1.340 si sono fermate. Seicento sono bambini. Il problema, secondo il premier armeno Nikol Pashinian, duramente contestato in patria, è il corridoio di Lachin chiuso dagli azeri. I soldati di Mosca invece avrebbero dovuto garantire che fosse percorribile. Il primo ministro armeno sostiene di aver sollevato il problema “sistematicamente” a partire da un anno e mezzo fa. “Abbiamo – ammette – la nostra parte di responsabilità, ma non credo che dovremmo chiudere gli occhi di fronte al fallimento registrato dal contingente russo”. Vladimir Putin, che il 20 settembre, aveva parlato al telefono con il premier armeno, ha avuto il giorno successivo una conversazione con il presidente azero Ilham Aliyev, al quale ha chiesto che Baku garantisca “i diritti e la sicurezza degli armeni del Nagorno-Karabakh”. Durante la telefonata Aliyev ha presentato le sue scuse, ammettendo la responsabilità delle sue truppe per l’uccisione dei sei soldati di Mosca. Cinico il commento del portavoce del Cremlino Dmitry Peskov: “Dal  momento che il problema principale dell’affiliazione territoriale del Nagorno – Karabakh è stato risolto, possiamo dire che è stato fatto un progresso sostanziale”.

Pashinian ha tenuto a precisare che l’Armenia “non è fra i firmatari del documento” e che aveva denunciato da tempo la concentrazione di soldati di Baku ai confini dell’enclave armena. Colpi di arma da fuoco sono stati sparati a Stepanakert, la capitale del Nagorno – Karabakh alle 12 e 15 locali. I termini della bozza di accordo includono lo scioglimento e il completo disarmo delle forze armate del Nagorno – Karabakh. Ogni aspirazione autonomista sarà contrastata dall’esercito azero. Alcuni autonomisti armeni irriducibili stanno già progettando di dar vita a piccole cellule di partigiani. I soldati di Baku hanno imposto un’autorizzazione specifica per entrare nell’enclave del Nagorno. Cinquemila armeni che avevano cercato un rifugio negli scantinati ora cercano di abbandonare il Nagorno – Karabakh. La fanteria azera, che nel 2020 era arrivata fino alle porte di Stepanakert, ora ha occupato i monti che circondano la capitale dei separatisti e di lì bombarda la città. Manca la corrente elettrica.

Gli azeri hanno annunciato che porteranno la questione “fino al termine”, ossia fino a quando non avranno recuperato tutto il territorio che non riuscirono a liberare durante la guerra del 2020 durata 44 giorni. Il fattore scatenante dell’ultima loro offensiva, hanno spiegato, è stato la morte di due civili azeri e di quattro poliziotti, uccisi presumibilmente da mine piazzate da “gruppi di sabotaggio delle forze armate armene nella regione azera del Karabakh”. Erevan replica che l’Armenia “non ha unità nell’enclave”. Nella capitale del Karabakh, Khankendi per gli azeri e Stepanakert per gli armeni, il ministero della Difesa dell’autoproclamata repubblica separatista ha affermato che l’esercito azero ha schierato artiglieria, missili, droni d’assalto e aerei da combattimento. I residenti della capitale e di altre città sono scesi negli scantinati per proteggersi. Secondo i social media armeni l’allarme aereo risuona in continuazione.

Nel Karabakh la Russia ha schierato quasi 2.000 peacekeeper dopo aver mediato un cessate il fuoco che pose fine alla guerra tra Baku e Erevan nell’autunno del 2020, la seconda dopo quella degli anni ’90. La nuova crisi ha tuttavia messo in evidenza qualche tensione tra la Russia e l’Armenia, che per anni dopo lo scioglimento dell’Unione Sovietica sono state strette alleate. Mosca non ha perdonato a Erevan di aver avviato recentemente manovre militari congiunte con gli Usa. Maria Zakharova, la portavoce del ministero degli Esteri russo, ha accusato Erevan di aver “creato «un terreno fertile per la politica ostile dell’Occidente contro la Russia”. Da parte sua l’Armenia ha lamentato di non essere stata avvertita da Mosca circa l’operazione che Baku stava preparando, nonostante l’Azerbaigian abbia detto di avere messo al corrente sia la Federazione Russa sia la Turchia. Zakharova ha ribattuto che il governo russo non ne ha avuto il tempo, perché è stato avvisato dagli azeri solo “pochi minuti prima”. Il segretario di Stato americano Antony Blinken invece ha detto di aver avuto colloqui con tutte le parti per porre fine a quella che ha definito un’operazione “vergognosa” dell’Azerbaigian. Anche il presidente francese Emmanuel Macron ha avuto una conversazione telefonica con il primo ministro armeno Nikol Pashinian e ha condannato con ”la più grande fermezza” l’azione militare.il presidente turco Recep Tayyp Erdogan ha affermato all’Onu che la Turchia ha sostenuto i negoziati tra Azerbaigian e Armenia fin dall’inizio, precisando però che “Il Nagorno Karabakh è territorio dell’Azerbaigian. Qualsiasi altro status imposto non sarà mai accettato”, ha concluso Erdogan.

A Erevan alcune centinaia di manifestanti si sono riuniti vicino al palazzo del governo gridando “Nikol (il nome del premier ndr.) traditore” e chiedendo le dimissioni del Primo Ministro accusato di non difendere la popolazione armena del Nagorno-Karabakh. Durante la protesta hanno tentato di sfondare il cordone della polizia schierato attorno all’edificio. Nikol Pashinyan ha denunciato in un discorso televisivo che “certe persone, certe forze sferrano un colpo allo Stato armeno”. L’opposizione lo accusa di essere debole sul Nagorno Karabakh. Pashinyan nella guerra del 2020 ha perso territorio a favore dell’Azerbaijan e i partiti di opposizione lo accusano di fare troppe concessioni sul Karabakh.  Il Consiglio di Sicurezza dell’Armenia ha messo in guardia contro “disordini su larga scala nel Paese” dopo che i manifestanti sono scesi in piazza.

A mezzanotte di lunedì 12 settembre 2022 la linea di demarcazione fra Armenia e Nagorno – Karabakh era stata illuminata a giorno dai proiettili traccianti che guidavano i colpi di artiglieria azeri. Secondo il ministero della difesa armeno Baku ha “attaccato con bombardamenti intensivi obiettivi militari delle città di Goris, Sotk (nella foto) e Jermuk. Cento corpi senza vita erano stati trovati sul confine orientale fra l’Armenia e l’Azerbaigian. Era divampato di nuovo il conflitto fra i due Paesi in un momento nel quale la Russia, secolare protettore degli armeni, pareva in grandi difficoltà per l’avanzata ucraina nella regione di Kharkiv occupata da Mosca all’inizio di marzo di quell’anno.

L’Azerbaijan ha definito “una menzogna” questa ricostruzione dei fatti. Come già nell’autunno del 2020 sono comparsi nei cieli armeni i micidiali droni turchi Bayraktar Tb 2 che pesano appena 600 chili, molto meno dei concorrenti israeliani, cinesi, statunitensi e che costano la metà ossia 10 milioni di dollari. Li produce l’azienda “Baykar Techonologies” di Selçuk Bayraktar, brillante laureato del Massachussetts Institute of Technoloy e genero del presidente Erdoğan. Bayraktar la fondò nel 1986. Fino ad oggi sono oltre duemila i velivoli consegnati (ndr. anche all’Ucraina).

Baku ha riconosciuto di aver perso cinquanta uomini, 42 militari e 8 guardie di frontiera. In agosto aveva denunciato l’uccisione di un suo soldato. Per l’enclave del Nagorno Karabakh sono state combattute due guerre. L la prima, tra il gennaio 1992 e il maggio 1994, provocò trentamila caduti. Nell’autunno del 2020 si è combattuto di nuovo per sei settimane. Seimilacinquecento persone sono state uccise. Il cessate il fuoco fu mediato dalla Russia che schierò duemila uomini lungo il travagliato confine fra i due Paesi. Durante i colloqui a Bruxelles, in aprile e in maggio, il presidente dell’Azerbaijian Ilham Aliyev e il pari grado armeno Nikol Pashinyan avevano concordato di “promuovere le discussioni” su un futuro trattato di pace. In questo scenario è caduto il fulmine della sconfitta russa a Kharkiv. La disfatta potrebbe aver indotto gli azeri a pensare che Mosca sia diventata una tigre di carta. Il segretario di stato americano Antony Blinken ha chiamato al telefono sia Ilham Aliyev sia Nikol Pashinyan e ha manifestato a entrambi la sua “profonda preoccupazione”. “Dalle 18 del 14 settembre il fuoco è praticamente cessato in tutte le direzioni e non si registrano incidenti significativi”, ha scritto sui social Aram Torosyan, portavoce del Ministero Armeno della Difesa.

Sul versante opposto è risuonato di nuovo lo slogan “Turchia e Azerbaigian due Stati, una nazione”. Ibrahim Kalin, portavoce del presidente Recep Tayyip Erdoğan, ha invitato Erevan ad abbandonare “l’approccio aggressivo e provocatorio mentre i negoziati sono in corso”. Ankara continuerà a sostenere l’Azerbajan, turcofono e musulmano, nelle sue rivendicazioni e nella sua integrità territoriale che, a dire del ministro turco della difesa Hulusi Akar, “comprende il Nagorno Karabakh”. Il ministro degli esteri turco Mevlüt Çavuşoğlu ha rincarato la dose sostenendo che ”l’Armenia ha devastato e minato i territori abbandonati”. Erevan ha fatto appello, ufficialmente, all’Organizzazione del Trattato di sicurezza collettiva (Otsc), la Nato della Federazione Russa, e al Consiglio di Sicurezza Onu, per l’aggravarsi della situazione.