Di Lorenzo Bianchi

“Hanno sparato a caso nei locali” nel centro invaso dalla folla che voleva godersi l’ultima sera di libertà prima che cominciasse il coprifuoco dalle 20 alle 6. Il sindaco di Vienna Michael Ludwig racconta la tragedia e pare ancora incredulo. Le vittime sono quattro civili e il “soldato dell’Isis” Kujtim Fejzulai, venti anni, doppio passaporto austriaco e macedone del nord, un terrorista di origini albanesi e di religione musulmana fulminato dalle forze speciali delle unità “Vega” e “Cobra”.  Aveva una falsa cintura esplosiva, un grande machete, una pistola e un’arma automatica con la quale poteva sparare a raffica. Le vittime sono 4. Un uomo e una donna anziani, un giovane di 21 anni di origini macedoni (della stessa regione di Fejzulai) che si trovava in un bar e una cameriera. Una deceduta è tedesca. La polizia ha invitato tutti i viennesi a stare in casa e a non diffondere foto e video. I feriti sono 23. Fra i sei in pericolo di vita c’è un poliziotto. L’agente è in terapia intensiva. Il governo ha proclamato tre giorni di lutto nazionale.  Due giovani austriaci di origine turca e un palestinese sono i tre eroi della notte di Vienna: Mikail Ozen e Recep Tayyip Gultekin, e il giovane palestinese, Osama Joda, non hanno esitato e sono accorsi in aiuto delle persone ferite o in fuga, e del poliziotto gravemente ferito. Ozen e Gultekin hanno ricevuto le congratulazioni telefoniche di Erdoğan .

Kujtim Fejzulai era più che noto alle forze dell’ordine e ai servizi segreti di Vienna. Il 25 aprile dell’anno scorso era stato condannato a 22 mesi di carcere, perché aveva tentato di unirsi ai combattenti jihadisti siriani nel 2018. Secondo il settimanale “Spiegel” era in contatto con tre miliziani, due tedeschi e un belga. Ad Hatay, una città del sud est anatolico li ha incontrati. Subito dopo è tornato in albergo ed è stato arrestato dalla polizia turca.

L’Isis lo ha definito suo “soldato” in un video dell’agenzia Amaq che riprende Fejzulai in pieno assetto di guerra, un machete nella mano destra, un kalashnikov e una pistola nella sinistra. I seguaci del Califfato gli attribuiscono il nome di battaglia di “Abu Dujana al Albani”. Kujtim Fejzulai infatti è nato a Moedling, a 14 chilometri da Vienna, ma la sua famiglia è originaria di Chelopek, dieci chilometri a sudovest di Tetovo, la città più importante dell’area abitata dalla minoranza albanese di religione musulmana nella Macedonia del nord. Il 5 dicembre aveva ottenuto la libertà provvisoria per buona condotta e perché aveva seguito un programma di deradicalizzazione. Secondo il quotidiano tedesco “Bild” Fejzulai avrebbe annunciato le sue intenzioni con immagini postate su Instagram poche ore prima della strage. Qualche giorno prima si era esibito su Facebook inquadrandosi con il machete e con l’arma automatica usati per seminare morte. Si cercano complici. Un’unità speciale della polizia svizzera ha arrestato a Winterthur, nel cantone di Zurigo, due giovani, uno di 18 anni e uno di 24, sospettati di aver avuto un ruolo nella preparazione della strage di Vienna.

Nina Bussek, portavoce della Procura della capitale austriaca, ritiene che Fejzulai abbia potuto contare su una rete di appoggio di almeno 21 persone. Dieci sono in carcere. A Varese gli agenti dell’antiterrorismo hanno arrestato Turko Arsimekov, 35 anni, ceceno di Groznj, un richiedente asilo la cui domanda era stata bocciata. Nella sua casa c’era una trentina di documenti di identità falsi di diversi Paesi dell’Europa orientale. La sua attività di fornitore di generalità posticce era pubblicizzata su Instagram. I servizi segreti austriaci lo avevano segnalato agli 007 italiani come appartenente ad una cellula cecena che aveva combattuto per l’Isis in Siria e che avrebbe progettato attentati a Vienna nel 2019 in occasione delle festività natalizie. Era di origini cecene la famiglia di Abdoullakh Abuyezidvich Anzorov, 18 anni, il giovane “rifugiato” che ha decapitato il professore francese Samuel Paty, “colpevole” di aver mostrato ai suoi allievi le vignette su Maometto pubblicate dal settimanale “Charlie Hebdo”. Nel cellulare di Brahim Aouissaoui, il tunisino  che ha sgozzato tre persone in una basilica di Nizza, sono stati trovati una fotografia di Anzorov e un messaggio audio che definisce la Francia «paese di miscredenti».

L’incursione del 2 novembre era cominciata alle 20 vicino alla sinagoga di Seitenstettengasse, in pieno centro. Il rabbino Shlomo Hofmeister ha raccontato al giornale Kurier che il commando ha sparato all’impazzata agli avventori che si trovavano nel giardino di un bar e che poi è fuggito in direzione di Hoher Markt e della chiesa di San Ruperto. In un video si vede un terrorista in tuta bianca che esplode colpi contro un ferito già caduto a terra, forse un agente di polizia. Il raid è continuato in altri sei punti del centro. Diversi testimoni riferiscono di aver sentito una cinquantina di spari.

Poco dopo le 18 di lunedì 2 novembre l’agenzia Ansa aveva battuto la notizia che Al Qaida nel Maghreb Islamico (in sigla Aqmi) aveva diffuso un comunicato nel quale aveva scritto che “il boicottaggio (ndr. di prodotti francesi) è un dovere, ma non è abbastanza”. Nella stessa nota il presidente francese Emmanuel Macron veniva liquidato con una frase sprezzante: “Un giovane ed inesperto con un cervello piccolo”. In crisi di consensi e tormentato dalla lira turca in caduta libera Recep Tayyip Erdoğan in un discorso pronunciato ad Ankara il 26 ottobre durante le celebrazioni per il Mawlid an Nabi, la nascita di Maometto, aveva invitato i suoi cittadini a non comprare i prodotti francesi e l’Europa a bloccare “la campagna di linciaggio contro i musulmani simile a quella contro gli ebrei prima della seconda guerra mondiale”. Due giorni prima aveva consigliato a Macron “controlli di salute mentale”, Parigi aveva richiamato l’ambasciatore in Turchia.  I coriacei redattori di “Charlie Hebdo” avevano pensato bene di versare benzina sul fuoco. In prima pagina avevano pubblicato l’ennesima vignetta irriverente. Il disegno mostra il presidente turco seduto su un divano in maglietta e mutande, una lattina di birra in mano, intento a sollevare il chador di una donna che porta due calici di vino e a denudare il suo fondo schiena. Dalla sua bocca evapora l’esclamazione: “Ouuuh il Profeta”.

Erdoğan ha commentato, come al solito, in diretta televisiva: “Non ho neppure guardato questa caricatura. La mia collera non è dovuta all’attacco ignobile contro la mia persona, ma agli insulti contro il Profeta. La Francia e l’Europa non meritano politici come Macron e come quelli che condividono la sua mentalità, che vorrebbero rilanciare le crociate. L’odio per l’Islam, i musulmani e il Profeta si diffonde come un cancro tra i leader europei”. Il suo avvocato Huseyin Aydin ha ricevuto l’incarico di querelare per vilipendio e diffamazione il direttore, il capo redattore e il caricaturista autore dell’ultima vignetta di “Charlie Hebdo”, come aveva già fatto a carico dell’olandese Geert Wilders. Il leader del partito della Libertà, una compagine di estrema destra, aveva condiviso su twitter una caricatura che rappresenta il capo dello stato turco con una bomba in testa. Sull’ordigno spiccano le lettere Akp, le iniziali del suo partito.

Il presidente turco ha deciso che cavalcare l’ondata dello sdegno musulmano è un ottimo ricostituente in vista delle elezioni presidenziali che potrebbero essere anticipate al prossimo anno. I fatti sembrano porsi in sorprendente e immediata successione temporale con la sua retorica infuocata. Il 29 ottobre a Nizza tre persone sono state accoltellate a morte (una decapitata) nella basilica di “Notre Dame” da un tunisino che scandiva “Allahu akbar”, ossia “Allah il più grande”, anche quando veniva medicato.  A Gedda, il grande porto dell’Arabia Saudita sul Mar Rosso, un cittadino del Regno, un uomo di 40 anni, ha ferito, sembra non gravemente, un addetto alla sicurezza del Consolato di Parigi. Tredici giorni dopo sempre a Gedda è esploso un ordigno sul muro di cinta del cimitero non musulmano subito dopo che il console francese Mostafa Mihraje aveva appena finito di pronunciare il suo discorso durante la cerimonia che ha commemorato la firma dell’armistizio che ha segnato la fine della prima guerra mondiale, l’11 novembre del 2018. Il diplomatico è illeso. L’ordigno ha ferito lievemente un cittadino inglese, un agente saudita e un impiegato greco del consolato di Atene.

Subito dopo la strage di Nizza Ibrahim Kalin, il portavoce di Erdoğan, ha dovuto inscenare un’improbabile e celere retromarcia: “Condanniamo l’attacco ignobile. Lotteremo con determinazione contro ogni forma di terrorismo e di estremismo”.  Il giorno prima il mondo islamico aveva raccolto il richiamo neo ottomano di Erdoğan a difendere il Profeta. Decine di migliaia di persone erano scese in piazza a Dacca, capitale del Bangladesh. I dimostranti sono stati bloccati poco prima che arrivassero all’ambasciata di Parigi. Nel moderato Kuwait una catena di ipermercati ha ritirato i prodotti transalpini dagli scaffali. In Qatar, un Paese alleato della Turchia che ospita una grande base statunitense, i capofila del boicottaggio sono i supermercati al Meera. In Giordania alcuni negozi di alimentari hanno appeso cartelli per informare gli avventori che non vendono prodotti francesi. E’ rimasto invece in silenzio Abdallah II, il re del Paese, che nel 2015 aveva partecipato alla marcia di solidarietà per l’attacco mortale alla redazione di “Charlie Hebdo”.

Dal Pakistan è arrivata una minaccia precisa: il portavoce di Tehrik Taliban Pakistan (Ttp) Muhammad Khorasani in un messaggio all’Ansa affidato a whatsapp ha scritto che il boicottaggio “non è   sufficiente” e che “i blasfemi dovrebbero subire conseguenze”.  Mortali, come è già accaduto in passato. Il premier Imran Khan ha scagliato i suoi strali contro Macron. Una protesta ufficiale è arrivata anche dal solitamente cauto Marocco. Un tweet pubblicato sull’account della facoltà teologica sunnita di Al-Azhar del Cairo, caposaldo del dialogo fra religioni diverse, ribadisce il “fermo rifiuto dell’uso della liberta’ di espressione come pretesto per minare il profeta Maometto. Essa deve rispettare i diritti altrui e non dovrebbe permettere di usare le religioni nei diverbi politici o nella propaganda elettorale”. L’Alto consiglio islamico algerino denuncia “una rabbiosa campagna” contro il Profeta. A Teheran centinaia di manifestanti hanno bruciato bandiere francesi, foto di Macron rappresentato in forme sataniche e hanno chiesto l’espulsione dei diplomatici transalpini nonché il boicottaggio dei prodotti di Parigi. L’ayatollah Khamenei ha diffuso su twitter un testo nel quale sollecita una spiegazione: “Perché è un reato esprimere dubbi sulla shoah contro gli ebrei e non lo è insultare Maometto?”.  Il ministro degli esteri iraniano Javad Zarif ha accusato Parigi di “alimentare l’estremismo islamofobo”. Perfino il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi, fiero avversario della Turchia e dei Fratelli Musulmani, è stato costretto a condannare in un discorso televisivo “gli insulti ai profeti”.

In questo coro l’unica autorevole voce controcorrente è quella del presidente degli imam francesi Hassen Chalghoumi che rimbecca Erdoğan ricordandogli: “Lei è il presidente della Turchia e non il presidente dei musulmani. I musulmani francesi vivono con altrettante libertà e doveri degli altri cittadini in Europa”. L’Unione Europea ribatte “che gli appelli a boicottare i prodotti degli Stati membri allontanano ancora di più la Turchia dalla Ue” e ricorda ad Ankara che ha “sottoscritto accordi bilaterali di libero scambio che debbono essere rispettati”. La Francia ha in animo di proporre sanzioni al prossimo Consiglio Europeo.