Di Lorenzo Bianchi

Annettere la Cisgiordania? Per il ministro israeliano della Giustizia Yariv Levin, un membro del Likud, il partito del premier Benjamin Netanyahu, è arrivato il momento. «Penso – ha detto durante un incontro con il leader dei coloni Yossi Dagan – che questo periodo sia un momento di opportunità storica che non dobbiamo perdere. È giunto il momento di applicare la sovranità. La mia posizione su questo tema è ferma e chiara, Penso che sia realistico e possibile. Ed è essenziale, prima di tutto, realizzare il nostro diritto alla terra». Fin dal 7 ottobre la Cisgiordania è stata al centro di violenti attacchi dei coloni e di diverse operazioni militari condotte dall’esercito israeliano che hanno provocato oltre 870 morti e 7mila feriti.

Sull’accordo per una tregua di 60 giorni a Gaza Hamas dovrebbe sciogliere la riserva a breve. Dalla Striscia continuano ad arrivare bollettini quotidiani di morte, almeno 94 caduti il 3 luglio secondo il Movimento di Resistenza Islamica che ha denunciato un raid contro una scuola-rifugio e spari sui civili in fila per gli aiuti. In una situazione umanitaria già catastrofica e aggravata ulteriormente dal caldo e dalla mancanza d’acqua. A Gaza City fonti mediche hanno affermato che almeno 17 persone sono rimaste uccise in un raid israeliano su un istituto scolastico che dava rifugio alle famiglie sfollate. E almeno 45 civili, sostiene Hamas, sarebbero morti mentre andavano a prendere il cibo nei centri umanitari.

La fazione che governa la Striscia ha fatto filtrare invece la sua «soddisfazione» per il piano di cessate il fuoco degli Stati Uniti. Secondo i media sauditi dovrebbe presentare la sua risposta ufficiale entro la sera del 4 luglio. Nel merito non sembrano esserci ostacoli allo scambio di prigionieri in diverse fasi. E’ previsto il rilascio di dieci ostaggi vivi insieme a 18 corpi per un gruppo di detenuti palestinesi. I dubbi di Hamas riguardano l’ingresso degli aiuti e il ritiro dell’Idf, che sono menzionati nella proposta senza indicare date specifiche o allegare mappe. Inoltre, la fazione insiste sulla fine della guerra. In Israele filtra moderato ottimismo e si attende l’incontro tra Benyamin Netanyahu e Donald Trump alla Casa Bianca il 7 luglio. Il ministro dell’Energia Eli Cohen, membro del gabinetto di sicurezza, ha dichiarato che c’è «sicuramente la disponibilità a raggiungere un accordo». Netanyahu ha incontrato la madre dell’ostaggio Matan Zangauker nella sua prima visita al kibbutz Nir Oz dall’eccidio del 7 ottobre 2023, ma è stato accolto da una dura contestazione.

L’agenzia di stampa Associated Press ha rivelato che i contractor americani che sorvegliano i centri di smistamento gestiti dalla Gaza Humanitarian Foundation (il contestato ente sostenuto da Usa e Israele, ma non dall’Onu) utilizzano munizioni vere e granate stordenti. L’agenzia americana ha raccolto le testimonianze di due contractor, secondo i quali parte dei loro colleghi non sono qualificati, né controllati. E ci sono nuove ombre anche sulle Forze Israeliane di Difesa: nel raid dei giorni scorsi sull’internet café sarebbe stato usato un ordigno Mk-82 da 230 chili, secondo quanto ha rivelato l’esame dei frammenti. Per gli esperti dei diritti umani è un’arma «illegale».

La situazione della popolazione della Striscia è stata oggetto anche di un rapporto presentato a Ginevra da Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani nei Territori palestinesi occupati,. Nel documento si accusano numerose imprese, a cominciare da produttori di armi e giganti tech – «dalla Lockheed a Leonardo, da Alphabet a Microsoft» – di contribuire al «progetto» di Israele di «sfollamento e sostituzione dei palestinesi nei territori occupati» e si chiede agli Stati membri di imporre un embargo totale sulle armi allo Stato ebraico e di sospendere tutti gli accordi commerciali.

Trump ha promesso il “cessate il fuoco entro una settimana”. È nell’aria un piano. Lo ha reso di pubblico dominio Israel Hayom, il quotidiano di Miriam Adelson, che con un contributo di 106 milioni di dollari è la terza finanziatrice della campagna elettorale del presidente americano. L’imperativo è cogliere l’attimo, ora che i macabri echi delle bombe lanciate su Teheran e sui siti nucleari iraniani si sono esauriti. Secondo l’Onu oltre 400 persone sono cadute in un mese cercando di afferrare un pacco alimentare. In pratica i palestinesi potrebbero restare solo sul 18 per cento del territorio nel quale vivevano prima del sette ottobre 2023.

Hacham Muhammad Issa al-Issa, uno degli ideatori di quell’eccidio, è stato eliminato. Le Forze israeliane di difesa e il controspionaggio interno hanno annunciato di averlo ucciso la sera del 27 giugno a Gaza. Ynet, il sito on line di Yedioth Ahronoth, il quotidiano più diffuso di Israele, ha scritto che il suo ruolo era quello di «capo dello staff di supporto al combattimento nell’ala militare dell’organizzazione terroristica”. Secondo il Movimento di Resistenza Islamica la carestia sta «devastando» la popolazione di Gaza e sta colpendo soprattutto i bambini, molti dei quali figurano fra le oltre sessanta vittime nell’ultima ondata di raid delle Forze Israeliane di Difesa. Un nuovo faccia a faccia fra Trump-Netanyahu dovrebbe tenersi a metà luglio nella capitale americana.

Altri caduti, almeno dieci, sono stati segnalati il 27 giugno dopo l’ennesima sparatoria nei pressi di un centro di distribuzione gestito dalla Gaza Humanitarian Foundation, un controverso ente sostenuto da Usa e Israele e che non gode della fiducia dell’Onu. Il segretario generale, Antonio Guterres, senza nominare l’organizzazione, ha affermato che «la ricerca di cibo non deve mai essere una condanna a morte». Gli ha fatto eco la presidente della Commissione dell’Unione Europea Ursula von der Leyen: «La situazione umanitaria a Gaza rimane abominevole e insostenibile. Gli aiuti devono raggiungere Gaza immediatamente, senza ostacoli».

Soldati semplici israeliani, che non hanno dichiarato le loro generalità, hanno riferito al quotidiano liberal Haaretz che i comandanti avrebbero ordinato loro di aprire il fuoco sulla folla vicino ai centri di distribuzione degli aiuti per disperderla, anche quando non rappresentava una minaccia. Il primo ministro dello stato ebraico Benjamin Netanyahu ha parlato di accuse «spregevoli», ma lo stesso Haaretz ha dato la notizia che le Forze Israeliane di Difesa stanno indagando sull’episodio per verificare eventuali «crimini di guerra».

Il 24 giugno tre palestinesi sono morti e altri sette sono rimasti feriti nel corso dell’attacco messo a segno da coloni israeliani a Kafr Malik, un villaggio a est di Ramallah, in Cisgiordania. Secondo quanto ha appreso l’agenzia di stampa palestinese  Wafa da fonti locali, decine di coloni hanno attaccato il piccolo centro, dando alle fiamme autoveicoli e abitazioni, protetti dalle forze israeliane che avrebbero aperto il fuoco contro i palestinesi. Secondo l’organizzazione israeliana per i diritti umani Yesh Din, citata dal quotidiano on line Times of Israel, l’attacco è stato lanciato da oltre 100 coloni. Jaafer Hamayel, un abitante di Kafr Malik, ha raccontato al quotidiano israeliano liberal  Haaretz che ” i coloni hanno dato alle fiamme un’abitazione nel villaggio e i giovani sono usciti per proteggerla. I coloni hanno aperto il fuoco con le pistole, l’esercito  ha esploso colpi con i fucili d’assalto muniti di  puntatori laser direttamente sui ragazzi”. Hamayel ha raccontato che i coloni sono arrivati al villaggio mentre si celebrava il lutto per la morte del 13nne Ammar Mutaz Hamayel, ucciso lunedì scorso dai soldati israeliani.

In serata il premier israeliano ha annunciato il recupero dei cadaveri di due ostaggi. È stata ritrovata la salma di Yair Yaakov ucciso da Hamas il 7 ottobre 2023. Il primo ministro di Gerusalemme è chiamato alla prova del voto su un disegno di legge presentato dall’opposizione per lo scioglimento del parlamento, che, se approvato, potrebbe aprire la strada a elezioni anticipate. Insieme ai deputati di centro e di sinistra, anche i partiti ultraortodossi che sostengono la maggioranza hanno infatti minacciato di sostenere la mozione, se non si raggiungerà un compromesso sulle loro richieste di esentare i propri membri dal servizio militare.

 

Ennesimo massacro a Gaza, decine di morti all’alba del 7 giugno.  E anche gli ostaggi di Hamas continuano a morire. Le Forze israeliane di difesa hanno  recuperato il corpo del thailandese Pinta Nattapong. Nelle stesse ore Hamas ha pubblicato la foto di un altro rapito, l’israeliano Matan Zangauker, e ha minacciato: «Non tornerà vivo». La Protezione civile della Striscia, gestita dai fondamentalisti del Movimento di Resistenza islamica, ha riferito che almeno sedici persone hanno perso la vita in un singolo attacco israeliano lanciato all’alba con due missili che hanno colpito il quartiere Sabra di Gaza City. Almeno sei erano bambini, i feriti sono oltre 50. Il raid porta a 56 morti il bilancio dei caduti il 7 giugno in tutta la Striscia, ma il numero è destinato ad aggravarsi anche perché sotto le macerie dell’abitazione di Sabra gli intrappolati sarebbero 85. Secondo l’agenzia palestinese Wafa  un bombardamento ha centrato tende per sfollati a ovest di Khan Yunis. Sono morti quattro membri di una stessa famiglia, il padre, la madre e i loro due figli. Fonti palestinesi riferiscono che altre sei persone sono state uccise dal fuoco dei militari dello stato ebraico mentre tentavano di raggiungere un centro di aiuti della Gaza Humanitarian Foundation a ovest di Rafah. I militari israeliani hanno confermato di aver sparato «colpi di avvertimento», all’alba, nei pressi del centro di distribuzione di aiuti alimentari della Ghf, a Tel al Sultan, vicino a Rafah, e hanno riferito di aver «invitato alcuni sospetti ad allontanarsi, ma siccome continuavano ad avanzare, mettendo le truppe in pericolo, i soldati hanno risposto con spari di avvertimento».

Un testimone, Samir Abu Hadid, ha raccontato all’agenzia di stampa Afp che erano migliaia le persone radunatesi nei pressi di una rotonda e «nel momento in cui alcuni hanno tentato di avanzare verso il centro di distribuzione, le forze di occupazione israeliane hanno aperto il fuoco dai veicoli blindati vicini al sito, sparando prima in aria e poi sui civili». Da quando il 27 maggio scorso la Ghf ha iniziato le sue operazioni, secondo l’agenzia palestinese Wafa almeno 115 persone sono rimaste uccise e 580 ferite da spari dei militari israeliani mentre tentavano di procurarsi cibo. Il dipartimento di Stato degli Usa sta valutando l’assegnazione di 500 milioni di dollari per finanziare la Ghf, che è sostenuta dagli Stati Uniti e da Israele, stando a quanto hanno riferito all’agenzia Axios un funzionario statunitense e una fonte a conoscenza diretta della situazione. Se gli Stati Uniti andassero avanti con questo ingente finanziamento, diventerebbero il principale donatore della fondazione.

Nella Striscia Hamas denuncia almeno 38 morti negli attacchi aerei o per colpi d’arma d fuoco sparati dall’esercito israeliano, mentre Israele piange la morte di 4 soldati nell’esplosione di un ordigno-trappola in un edificio di Khan Yunis. I pochi aiuti che raggiungono la popolazione vengono distribuiti a singhiozzo: dopo oltre un giorno di pausa per migliorare le condizioni di sicurezza, la Gaza Humanitarian Foundation ha riaperto e subito richiuso due dei suoi centri di distribuzione di Rafah a causa di «un affollamento eccessivo che ha reso pericoloso procedere». Non prima però di aver consegnato 8.160 scatole di cibo, facendo salire a quasi 9 milioni i pasti distribuiti dall’inizio delle operazioni il 26 maggio scorso. Tuttavia, l’ong sostenuta da Israele e Usa, l’unica autorizzata a operare a Gaza, viene contestata dall’Onu sia per le modalità di distribuzione sia per il tipo di aiuti, derrate di alimenti secchi che devono essere cucinati con mezzi di fortuna per lo più inesistenti.

Almeno trentuno persone, secondo la protezione civile locale, sarebbero rimaste uccise il 2 giugno dal fuoco israeliano nei pressi di un sito di distribuzione di aiuti sostenuto dagli Stati Uniti, e da Gerusalemme, la Gaza Humanitarian Foundation (in acronimo inglese Ghf). Lo stesso organismo ha bollato le notizie di vittime come «non vere». Le Forze Israeliane di difesa ammettono solo «colpi d’avvertimento». Nei pressi di Rafah, nell’estremo sud della Striscia, migliaia di persone si erano dirette verso un centro di distribuzione diverse ore prima dell’alba. Mentre si avvicinavano, hanno riferito alcuni dei presenti, i militari israeliani hanno ordinato loro di disperdersi e di tornare più tardi,  Alle 3 del mattino all’altezza di una rotonda le forze armate di Gerusalemme avrebbero aperto il fuoco. Le autorità sanitarie di Gaza, controllate da Hamas, hanno poi dichiarato che almeno 31 corpi sono arrivati all’ospedale Nasser. I feriti sarebbero oltre 170.

Secondo le Forze israeliane di difesa invece «durante la notte a circa un chilometro dall’area di distribuzione le truppe hanno lavorato per impedire a diversi sospettati di avvicinarsi sbarrando colpi di avvertimento in aria, non contro i civili». La Gaza Humanitarian Foundation conferma. L’organismo responsabile del nuovo meccanismo di distribuzione degli aiuti, sostenuto dagli Stati Uniti e da Israele, ha diffuso un video girato in un punto di smistamento dopo l’alba per dimostrare che era tutto tranquillo. La Ghf sostiene di aver distribuito milioni di pasti dall’inizio delle operazioni, la scorsa settimana. Per Philippe Lazzarini, responsabile dell’Unrwa, l’agenzia dell’Onu che si occupa dei profughi palestinesi, gli aiuti sono diventati “una trappola mortale” e la consegna del cibo deve essere fatta «su larga scala e in sicurezza attraverso le Nazioni Unite».

Secondo il personale della Gaza Humanitarian Foundation il 27 maggio, il primo giorno della distribuzione dei soccorsi, i miliziani di Hamas hanno messo in piedi posti di blocco per cercare di impedire che la popolazione della Striscia andasse a ritirare i pacchi della Ghf. A Zuwaida un magazzino del World Food Program è stato preso d’assalto e depredato. Secondo l’agenzia di stampa Associated Press quattro persone sono morte durante l’attacco. Sabato 31 maggio 110 camion carichi di farina di aiuti sono stati rubati a Khan Younis e si sono sentiti numerosi spari.

Israele aveva accettato l’ultima proposta avanzata da Steven Witkoff, l’inviato  del presidente americano Donald Trump. L’apertura è arrivata durante un incontro tra Benjamin Netanyahu e i suoi ministri, nonostante l’opposizione degli alleati più oltranzisti. Lo stesso premier israeliano l’ha annunciata alle famiglie degli ostaggi ancora trattenuti nella Striscia, che nei giorni scorsi avevano condannato l’altalena di annunci e smentite del primo ministro dello stato ebraico sulla pelle dei loro cari. In particolare, la bozza messa a punto da Witkoff, e sottoposta il 28 maggio al vaglio del presidente Donald Trump prima di essere inviata alle parti, prevede una tregua di 60 giorni, il rilascio dei 10 ostaggi ancora vivi (5 il primo giorno, altri 5 dopo una settimana) e la riconsegna di 18 corpi (9 il primo giorno e 9 dopo). In cambio, Israele rilascerà 125 detenuti palestinesi condannati all’ergastolo per terrorismo, 1.111 cittadini di Gaza detenuti dall’inizio della guerra e 180 corpi di palestinesi attualmente trattenuti dalle autorità israeliane.

In questo frangente delicatissimo Netanyahu ha pagato alla destra del suo governo il prezzo del semaforo verde  del governo alla creazione di altre 22 colonie in Cisgiordania,  ritenute illegali dalla comunità internazionale. Sono nuovi insediamenti e diversi avamposti ancora non autorizzati. Per Israel Katz, il ministero della Difesa, è una «decisione storica» che «rafforzerà la presa strategica su tutte le parti della Giudea e Samaria» (i nomi biblici della Cisgiordania) e «impediranno la creazione di uno Stato palestinese». Per Hamas è invece «una palese sfida alla volontà internazionale e una grave violazione delle risoluzioni Onu». A  Tulkarem l’esercito israeliano ha issato la bandiera con la Stella di David sulla cupola della moschea Abu Bakr al-Siddiq nel campo profughi di Nur al-Shams.

Le Forze Israeliane di difesa continuano le operazioni anche a Gaza: l’ospedale Al- Awda, l’unico ancora operativo nel nord della Striscia, ha denunciato che i militari dello stato ebraico hanno evacuato con la forza pazienti e personale medico. Hamas, che non distingue mai le vittime civili dai miliziani in armi, ha affermato che nelle ultime ore almeno 70 persone sono morte, 23 delle quali in un attacco aereo su un’abitazione nel campo profughi di Bureij. Israele invece piange il piccolo Ravid Chaim, sopravvissuto per due settimane all’assassinio della mamma che lo portava in grembo. La donna era stata fulminata da terrorista palestinese in Cisgiordania quando era sul procinto di darlo alla luce.

Il primo giorno della consegna di aiuti per la popolazione civile di Gaza era stato contraddistinto  dal caos. I palestinesi della Striscia prima sono entrati uno dietro l’altro in fila lungo il percorso protetto da alte recinzioni di metallo, dentro una conca di terra gialla sbancata dalle ruspe militari. Le prime immagini da Tel Sultan a Rafah, nell’estremo sud della Striscia di Gaza, hanno mostrato uomini di ogni età che tornavano indietro ordinatamente con pacchi di cartone sulle spalle. Qualcuno in un video ha anche gridato “viva l’America”. Poche ore dopo arriva l’annuncio che il sito di distribuzione degli aiuti umanitari gestito dalla Gaza humanitarian foundation (in sigla Ghf), aperto martedì 27 maggio per la prima volta, avrebbe chiuso alle 17.30. La folla in attesa fuori e ai posti di blocco di Hamas allestiti per impedire di raggiungere il centro si è rifiutata di tornare indietro a mani vuote. Centinaia di ragazzi, di donne velate di nero dalla testa ai piedi, di bambini, di anziani hanno cominciato a correre verso i tavoli sui quali era accatastato il cibo dentro scatoloni abbattendo le barriere, una marea di corpi si è precipitata verso gli aiuti che aspettava dal 2 marzo.

Quando il governo israeliano ha chiuso i valichi affermando che i 25mila tir entrati in due mesi di tregua bastavano per un bel po’, le guardie di sicurezza della compagnia americana che vigila sulle consegne si sono ritirate per non essere sopraffatte. Protetti da una cancellata, gli operatori americani hanno sparato colpi in aria. I media di Hamas hanno pubblicato immediatamente le scene della ressa e irriso il nuovo meccanismo di aiuti (voluto da Israele e dagli Stati Uniti) descrivendo il centro come già distrutto e i raid degli elicotteri delle Forze Israeliane di Difesa che sparavano dall’alto. Più tardi il portavoce dell’esercito ha smentito la notizia diffusa da Hamas. “Le Forze Israeliane di Difesa – ha detto – non hanno sparato dall’alto contro il centro di distribuzione».

Jake Wood, il Chief Executive Officer della Gaza Humanitarian Foundation, si era dimesso lunedì 26 maggio, poche settimane dopo aver assunto l’incarico, affermando che il piano di aiuti israelo – americano per Gaza non può essere attuato “nel rispetto dei principi di umanità, neutralità, imparzialità e indipendenza”. Wood ha spiegato che, a suo avviso, l’unica strada per una soluzione a lungo termine a Gaza è “il rilascio di tutti gli ostaggi, la cessazione delle ostilità, la creazione di un percorso verso la pace, la sicurezza e la dignità per tutte le persone”. Sul caos del 27 maggio la società americana ha cercato di minimizzare dichiarando che alla folla è stato consentito di prendere i pacchi con il cibo. Ghf ha comunicato gli orari di apertura del 28 maggio.

Secondo funzionari dello stato ebraico le Forze Israeliane di Difesa si sono organizzate per conquistare il 75 per cento della Striscia in due mesi. Adesso ne controllano il 40 per cento circa.  La popolazione sarebbe confinata in tre piccole aree. Sono al Mawasi, Deir al Balah e Nuseirat. Anche il 27 maggio numerose voci si sono alzate dall’Europa per condannare la guerra. La presidente dell’Unione Europea Ursula von der Leyen ha definito «abominevole prendere di mira i civili». Ma a Gerusalemme la giornata è stata vissuta positivamente: dopo settimane di tira e molla, la Ghf è riuscita a rendere operativi i primi due siti, uno a Tel Sultan, l’altro nel corridoio Morag. Una terza struttura aprirà nei pressi di Khan Yunis e una quarta nella parte centrale di Gaza, anche se non è ancora chiaro quando entreranno in funzione. Nelle intenzioni israeliane, la nuova formula avviata nella Striscia serve per spezzare il controllo di Hamas sul cibo, e, a cascata, per distruggere la sua presa sulla popolazione. Hamas ha diffuso una nota nella quale sostiene che «il tentativo fallirà». I miliziani hanno distribuito cibo gratis nella zona umanitaria di Al-Mawasi, e su You Tube il canale Inner Front ha minacciato chiunque prenda da mangiare dalla Ghf. L’azienda ha fatto sapere che durante la giornata del 27 maggio sono stati distribuiti 8.000 pacchi, pari a circa 462.000 pasti, e che ogni scatola di cibo è sufficiente per cinque persone e mezza per tre giorni e mezzo.

 

L’Occidente stringe la morsa diplomatica intorno al governo di Benjamin Netanyahu. Nel cuore di Westminster, il premier Keir Starmer ha certificato lo strappo: prima rilanciando la condanna firmata con Francia e Canada contro la guerra a Gaza bollata come «del tutto sproporzionata», poi congelando i negoziati per un accordo di libero scambio post-Brexit con Israele e annunciando sanzioni mirate alle frange più radicali dei coloni in Cisgiordania, accusati di violenze sistematiche contro i palestinesi. Il tutto mentre oltremanica, a Bruxelles, cresce la pressione per un cambio di rotta nelle relazioni con lo Stato ebraico: una «forte maggioranza» di Paesi Ue si è detta a favore, nelle parole dell’Alta rappresentante Kaja Kallas, a rimettere mano al trattato siglato con Israele venticinque anni fa. Non senza malumori, con Roma e Berlino che si sono smarcate. «Non possiamo permettere che la popolazione di Gaza muoia di fame», ha scandito Starmer alla Camera dei comuni, definendo «assolutamente inadeguato» l’annuncio israeliano sull’apertura limitata dei corridoi umanitari. Poi lo stop all’intesa commerciale e, accanto, le sanzioni rivolte – tra gli altri – a Zohar Sabah, Harel David Libi e Daniella Weiss, leader di spicco del movimento dei coloni e al centro del recente documentario ‘Settlers’ di Louis Theroux.

 La risposta del governo israeliano è stata immediata: nella visione del ministero degli Esteri, Londra è mossa da «un’ossessione antisraeliana» e da «calcoli politici interni». «Se il il governo britannico è disposto a danneggiare la propria economia, è una sua decisione», ha tagliato corto lo stesso ministero, ricordando inoltre che «il mandato britannico» sul protettorato d’Israele «è terminato esattamente 77 anni fa» e «le pressioni esterne non devieranno» lo Stato ebraico «dalla sua strada».
A Londra, il ministero degli Esteri David Lammy non ha comunque fatto retromarcia. E, prima di convocare l’ambasciatrice israeliana Tzipi Hotovely, ha lanciato un messaggio diretto a Netanyahu, definendo senza mezzi termini «abominevole» la situazione a Gaza.  Una «linea invalicabile», quella sul rispetto dei diritti umani, tracciata anche dall’Europa continentale. I Paesi Bassi, storico partner di Israele, hanno chiamato a raccolta gli altri governi e l’esecutivo Ue per valutare l’attivazione dell’articolo 2 dell’accordo di associazione – che vincola i rapporti bilaterali al rispetto dei diritti umani e dei principi democratici – in reazione al blocco degli aiuti a Gaza. Una proposta sposata nel complesso da 17 Paesi, guidati – oltre che dall’Olanda – da Spagna, Francia, Irlanda e Slovenia. Un’operazione delicata – un «esercizio», nella definizione di Kallas – che non punta a sospendere il trattato siglato nel 2000 ma propone di congelarne il piano d’azione, bloccando di fatto l’avanzamento della cooperazione. Un segnale forte anche sul piano economico: l’accordo è alla base di una relazione commerciale da oltre 46 miliardi di euro.
Nella Striscia viene segnalata l’avanzata di carri armati a nord di Khan Younis, nel sud, accompagnata da pesanti bombardamenti di artiglieria e da attacchi aerei, e nella parte orientale di Jabaliya, nel nord. Nel sud di Israele nel tardo pomeriggio di domenica sono scattagli gli allarmi per due razzi lanciati dall’enclave. Le brigate al Quds, il braccio armato della Jihad islamica di Gaza, hanno pubblicato filmati di famiglie palestinesi che lasciano i campi di Jabaliya, Beit Lahia e Tel al Zàtar per l’intensificarsi dei raid. Dopo i razzi, il portavoce dell’esercito ha ordinato l’evacuazione dall’area orientale di Deir al-Balah.
La rinnovata offensiva di Israele si abbatte sulla Striscia mentre si moltiplicano da settimane gli appelli internazionali a fermare le armi, con la popolazione allo stremo per la mancanza di cibo e beni essenziali per il blocco degli aiuti ormai in vigore da oltre due mesi. L’annuncio di Netanyahu della ripresa degli aiuti potrà portare sollievo ai civili. La Gaza humanitarian foundation, istituita in stretto coordinamento con Gerusalemme per gestire la distribuzione, dovrebbe cominciare a operare a Gaza entro la fine del mese. “Verranno inviate cucine mobili. Abbiamo camion carichi di farina che ci aspettano al confine. Non vogliamo assistere a una crisi umanitaria e non permetteremo che si verifichi sotto il controllo del presidente Trump” ha detto l’inviato del presidente americano Steven Witkoff.

Il ministero della sanità  di Gaza, guidato da Hamas ha fatto sapere che il 15 maggio sono state 120 le vittime e dei raid israeliani su Gaza. Il Movimento di Resistenza Islamica, come sempre, non specifica quanti siano i civili e quanti i miliziani in armi. “Stiamo lavorando duramente a Gaza”, ha detto Trump durante la sua visita in Qatar. “La Striscia è stata un territorio di morte e di distruzione”, ha spiegato, ma gli Stati Uniti interverranno, e la Striscia diventerà una “Gaza Riviera”, con spiagge, grattacieli e statue di Trump dorate, come quella presentata dalla Casa Bianca a febbraio, in un celeberrimo video fatto con l’intelligenza artificiale.  L’Onu ha annunciato che non parteciperà alla distribuzione dei beni di prima necessità della nuova fondazione sostenuta dagli Usa, la Gaza Humanitarian Foundation (Ghf).

“Nei prossimi giorni entreremo con tutte le nostre forze per completare l’operazione e sconfiggere Hamas”, ha detto il premier israeliano Benjamin Netanyahu in un discorso a riservisti lunedì 12 maggio. “Un cessate il fuoco temporaneo potrebbe verificarsi, ma andremo fino in fondo”.  I militari israeliani hanno annunciato di aver intercettato un altro missile lanciato dallo Yemen dopo quello che il 4 maggio colpì l’aeroporto di Tel Aviv. E dopo che gli Usa avevano trovato un accordo con gli Houthi per fermare gli attacchi alle navi americane. “Ma non contro Israele”, hanno precisato i ribelli sciiti dello Yemen.
Il sergente maggiore Idan Alexander, un israeliano che ha anche la cittadinanza statunitense, è stato liberato dopo 584 giorni in cattività a Gaza. Pare un omaggio di Hamas al presidente Usa alla vigilia della sua visita in Medio Oriente. Mentre Donald Trump saliva la scaletta dell’Air Force One diretto a Riad, la capitale dell’Arabia Saudita, Idan, che ora ha 21 anni,  è uscito dall’oscurità del tunnel nel quale era stato trascinato il 7 ottobre 2023. Idan è il primo militare dell’esercito israeliano, maschio e in vita, ad essere rilasciato dal gruppo terroristico. Restano prigionieri nella Striscia altri 13 soldati delle Forze Israeliane di Difesa, otto dei quali sono stati dichiarati morti, tra questi due americani.
Nella prima immagine diffusa dai notiziari, Idan Alexander sembra stare bene, ma “ha avuto bisogno di aiuto per camminare”, ha riferito la tv del Qatar al Jazeera. Più tardi, già in Israele, lui stesso ha raccontato di aver subito gravi torture e di essere rimasto ammanettato in una gabbia per un lungo periodo di tempo. Il percorso di recupero di Idan non seguirà il protocollo messo a punto dalle autorità: dopo gli abbracci con la famiglia, le visite mediche obbligatorie, gli incontri con l’intelligence, l’accoglienza degli inviati Usa nella base di Reem, partirà per Doha dove ad attenderlo ci sarà il presidente Donald Trump. Ad annunciarlo è stata la stessa famiglia Alexander, dopo l’arrivo in Israele della madre Yael il 12 maggio mattina, accompagnata dall’inviato statunitense per gli ostaggi Adam Boehler.
In cambio di una parte degli ostaggi, secondo la bozza dei mediatori, verranno aperti corridoi sicuri per la consegna di cibo e di medicine alla popolazione di Gaza, dove non arrivano rifornimenti dal 2 marzo. L’Autorità Nazionale Palestinese ha dichiarato la Striscia ‘zona di carestia e ha chiesto l’intervento dell’Onu. Le Forze Israeliane di Difesa hanno lanciato diversi attacchi. Il ministero della Salute di Gaza, guidato da Hamas, ha denunciato 33 vittime in un ristorante nel quartiere Rimal di Gaza city. Fonti mediche palestinesi hanno riferito che dalla mattina del 7 aprile i raid israeliani hanno ucciso 89 civili.
Tutto il cielo di Sanaa è fumo, un’atmosfera di panico e paura”, ha scritto sui social il 6 maggio un anonimo abitante della capitale yemenita dopo l’attacco dei caccia israeliani che ha distrutto l’aeroporto internazionale da anni controllato dai miliziani Houthi alleati dell’Iran. Il secondo raid in 24 ore è la in risposta al missile lanciato domenica 4 maggio sull’aeroporto di Tel Aviv, un vettore che ha perforato la difesa dello stato ebraico colpendo vicino al terminal principale dello scalo.
Dopo, le minacce di rappresaglie reciproche tra Houthi e Israele, il colpo di scena. Il presidente americano Donald Trump ha annunciato dallo Studio Ovale che gli Stati Uniti porranno immediatamente fine ai bombardamenti contro gli ex ribelli che oggi governano buona parte dello Yemen poiché hanno informato l’amministrazione di “non voler più combattere”. “Gli Houthi hanno capitolato”, ha reso noto il Commander in chief. “Ci fideremo della loro parola. Dicono che non colpiranno più le navi nel Mar Rosso: e questo era lo scopo del nostro lavoro”, ha aggiunto. Subito dopo, è arrivata la conferma di un accordo di cessate il fuoco tra Washington e gli yemeniti dall’Oman, tradizionale mediatore in Medio Oriente e che anche in questo caso ha tenuto i contatti con le due parti.
Non c’è una tregua all’orizzonte invece tra Houthi e Israele. Un alto funzionario delle milizie ha assicurato che “le operazioni contro Israele a sostegno di Gaza continueranno”. Nelle ore precedenti decine di aerei da combattimento dello Stato ebraico hanno sganciato sull’aeroporto di Sanaa 50 bombe, mettendolo fuori uso in un quarto d’ora, ha fatto sapere l’Idf. Secondo fonti yemenite, sono state attaccate almeno tre centrali elettriche, una scuola di aviazione e una fabbrica che produce elementi utili per assemblare missili. L’operazione israeliana chiamata “Città delle formiche” mirava a rendere inutilizzabili gli hub ai quali approdano le armi inviate dai pasdaran iraniani.
Sul terreno le ruspe militari delle Forze Israeliane di Difesa hanno dato il via all’operazione Carri di Gedeone, iniziando gli sbancamenti di terra nel sud-ovest della Striscia per allestire centri logistici dove verrà evacuata la popolazione del nord e del centro di Gaza. Non si tratta di un’area continua, bensì di vaste zone intorno a Rafah, praticamente deserte e con la maggior parte degli edifici rasi al suolo. Un’azienda Usa distribuirà aiuti alimentari, medicinali e servizi igienico-sanitari. Le consegne passeranno attraverso il valico di Kerem Shalom, ispezionate e scortate dall’Idf. La società americana, che attualmente gestisce l’ispezione dei civili verso il settentrione dell’enclave, provvederà alla distribuzione. L’esercito, insieme con il controspionaggio interno di Israele, lo Shin Bet, impedirà ai terroristi di Hamas e della Jihad islamica palestinese di fuggire dalle future zone di combattimento della fase tre del piano, di usare la popolazione civile come scudo umano e rubare per sé e rivendere gli aiuti umanitari.

Nella notte tra domenica 4 maggio e lunedì 5 il governo israeliano ha approvato la preannunciata grande offensiva a Gaza contro Hamas. Nella Striscia i morti sarebbero già più di cinquantamila secondo il Movimento di Resistenza islamica.  Subito dopo, nella notte fra il 5 e il 6 maggio, i caccia israeliani hanno risposto al missile lanciato il 5 maggio dagli Houthi che ha bucato i sistemi di difesa dello stato ebraico colpendo l’aeroporto di Tel Aviv: 50 bombe hanno distrutto il porto di Hodeida, nello Yemen, lo scalo marittimo nel quale arrivavano le armi inviate dall’Iran. “Raid massiccio, non sarà l’ultimo. I giochi sono finiti”, ha annunciato una fonte della sicurezza israeliana, confermando che anche gli Stati Uniti hanno preso parte all’operazione.

La giornata si era aperta con la dichiarazione di un anonimo funzionario molto vicino all’esecutivo di Gerusalemme, che ha gettato nel panico i familiari degli ostaggi: il piano per Gaza elaborato dai generali delle Forze Israeliane di difesa prevede la “conquista della Striscia” e la conservazione del territorio catturato. La tensione, già alta nel Paese, è salita alle stelle. Le famiglie hanno raggiunto il Parlamento, la Knesset, per protestare e per chiedere ai riservisti di rifiutarsi di combattere. A mezzogiorno gli alti gradi dell’esercito hanno ritenuto necessario fornire all’opinione pubblica chiarimenti sui contenuti del piano parlando con Yedioth Ahronoth, il giornale più letto del Paese. “Il programma per l’espansione dell’operazione a Gaza è ampio, ma esclude esplicitamente le aree nelle quali si ritiene che ci possa essere presenza di ostaggi. Non abbiamo intenzione di entrare in quelle zone”, hanno spiegato gli ufficiali.

“La nuova fase includerà soprattutto il passaggio da incursioni a una presa di controllo di porzioni di territorio (ma non dell’intera Striscia), bonifiche dei tunnel. Solo un quarto delle gallerie è stato finora neutralizzato”, hanno spiegato. L’offensiva però non inizierà immediatamente: l’esercito aspetterà che si concluda il viaggio del presidente americano Donald Trump nei Paesi del Golfo, dal 13 al 16 di maggio. Sarà quella la finestra temporale per l’ultimatum di Israele a Hamas: un accordo sulla tregua e la liberazione degli ostaggi nei prossimi dieci giorni, altrimenti si scatenerà l’operazione “Carri di Gedeone” (l’eroe biblico che guidò un piccolo esercito israelita contro un nemico numericamente superiore, riuscendo a sconfiggerlo).

L’intera popolazione del nord di Gaza e del centro sarà evacuata in massa nel sud, tra il corridoio Morag e il Filadelfia dove saranno realizzate strutture per accoglierli. Successivamente Israele introdurrà aiuti umanitari nella Striscia, sarà attuato un piano umanitario che distinguerà chiaramente tra Hamas e civili, la distribuzione avverrà attraverso società private, probabilmente americane. “Li aiuteremo ad avere il cibo. Sono affamati”, ha confermato il presidente Trump puntando il dito su Hamas che “li tratta molto male”. Il capo di stato maggiore Eyal Zamir ha chiarito che non si tornerà ai livelli precedenti di circa 650 camion al giorno, ma verranno forniti solo beni essenziali sotto stretto controllo. E ha ribadito che i militari israeliani non parteciperanno alla distribuzione, come già concordato con Netanyahu.

Il primo ministro è intervenuto con un breve video solo nel pomeriggio. “Lanceremo -ha detto – un’operazione massiccia a Gaza. Per sconfiggere Hamas e per liberare gli ostaggi. Ci sarà uno spostamento della popolazione per proteggerla. Questa volta l’esercito non entrerà e uscirà da Gaza come in passato, le forze di riserva saranno mobilitate per rimanere nel territorio occupato”, ha affermato. Nei giorni scorsi, e a ridosso della riunione di gabinetto Zamir ha avvertito il premier e i ministri dei rischi: “Israele potrebbe perdere gli ostaggi se lancia un’operazione su larga scala nella Striscia”. Un pericolo, questo, che non sembra preoccupare il ministro delle finanze Bezalel Smotrich, leader di Sionismo religioso (14 deputati su 120 cruciali per garantire la maggioranza del Palamento a Netanyahu), il quale durante le accese discussioni notturne del gabinetto politico ha sostenuto che la guerra andrebbe sfruttata per ristabilire gli insediamenti israeliani nella Striscia, che furono smantellati nel 2005 per una decisione unilaterale di Ariel Sharon, il premier conservatore in carica all’epoca. Familiari dei rapiti e decine di manifestanti hanno bloccato le strade che portano agli uffici del governo a Gerusalemme. I dimostranti si sono scontrati con gli uomini degli apparati di sicurezza.

Un missile balistico lanciato dallo Yemen alle 9.22 di domenica 4 maggio ha colpito una delle vie di accesso al Terminal 3 dell’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv, ferendo sei persone e lasciando a terra un vasto cratere. I sistemi di difesa Arrow e Thaad non sono stati in grado di abbatterlo. Anzi, secondo una prima indiscrezione trapelata dall’indagine dell’Aeronautica sulla mancata intercettazione, l’antiaerea non ha individuato il missile in volo verso il territorio israeliano. Il gruppo filoiraniano Houthi ha rivendicato l’attacco sottolineando la capacità “di colpire obiettivi sensibili di Israele”. Hamas ha elogiato i miliziani per aver beffato “i sistemi di difesa più avanzati del mondo”.

L’ex capo dell’Autorità per l’aviazione civile israeliana Avner Yarkoni ha ricordato che «è la prima volta che un missile colpisce direttamente l’aeroporto Ben Gurion”. A novembre un razzo degli Hezbollah libanesi ha centrato un parcheggio sul perimetro dello scalo, ma senza il risultato drammatico ottenuto questa volta. Contrariamente alle dichiarazioni degli Houthi, gli ordigni lanciati contro Israele secondo fonti della Difesa israeliana non sono missili ipersonici (che volano fino a 8 volte la velocità del suono e non seguono una traiettoria balistica prevedibile), tuttavia perfino i sistemi si difesa Arrow 3 e Arrow 2, che hanno percentuali di intercettazione prossime al 90%, a volte falliscono. Buona parte delle compagnie internazionali, comprese Ita, Swiss Air, Lufthansa, British airways, Iberia, Wizz Air. Lasciando a terra milioni di passeggeri anche nei prossimi giorni, perlomeno fino al 7 maggio. Dal 18 marzo, quando le Forze Israeliane di  Difesa hanno ripreso la guerra a Gaza, gli Houthi hanno sparato una trentina di missili balistici e diversi droni contro Israele. La metà è stata abbattuta, gli altri non hanno raggiunto il bersaglio.

Il capo di stato maggiore Eyal Zamir ha reso noto che questa settimana saranno emesse decine di migliaia di ordini di mobilitazione dei riservisti. Il nuovo piano dell’esercito per aumentare la pressione su Hamas prevede un grande sfollamento dei residenti dal nord e dal centro della Striscia, la presa del controllo delle aree evacuate dove si stabiliranno avamposti dei militari di Gerusalemme, la realizzazione di complessi umanitari, tra il corridoio Morag e il Filadelfia, dove saranno spostati i cittadini evacuati per l’ennesima volta da quando è iniziato il conflitto. Cioè, i 576 giorni che 59 ostaggi, forse 23 ancora vivi, stanno passando sepolti nei tunnel di Gaza.

Il primo maggio un gigantesco incendio ha  divorato le colline che circondano Gerusalemme, spinto da venti violenti e da temperature estreme. Con il rischio, ha messo in guardia il premier Benjamyn Netanyahu, che raggiunga la città. Settemila persone sono state evacuate e tredici hanno riportato ferite proprio nel giorno dedicato ai caduti e all’inizio del Giorno dell’Indipendenza. Tutti gli eventi sono stati cancellati ed è stato dichiarato lo stato d’emergenza. “Stiamo affrontando forse il più grande incendio mai scoppiato nel Paese. Non abbiamo idea di cosa l’abbia causato. Posso solo dire che dopo le prime fiamme, diversi incendi dolosi sono stati appiccati in altre località”, ha dichiarato in tv il comandante dei vigili del fuoco della Città Santa Shmulik Friedman. Su Telegram Hamas ha scritto: “Palestinesi bruciate tutto ciò che potete, boschi, foreste, case dei coloni (tutti gli israeliani vengono chiamati coloni dai palestinesi n.d.r.). I giovani della Cisgiordania, di Gerusalemme, di Israele hanno dato fuoco alle loro auto… Gaza attende la vendetta dei liberi”.

Una fonte anonima della sicurezza israeliana ha riferito che gli inquirenti non escludono che l’ondata di incendi abbia a che fare con il terrorismo. Ma si tratta di indagini delicate, al momento non c’è alcuna prova che l’innesco sia stato volontario. Lo Shin Bet (l’intelligence interna) partecipa alle indagini, dando corpo ai timori delle autorità. La polizia ha reso pubblico l’arresto di un piromane di Gerusalemme Est segnalato da testimoni e preso mentre cercava di accendere la sterpaglia, ore dopo che gli altri roghi si erano propagati. I media riportano altri due fermi. L’ospedale Ein Kerem di Gerusalemme ha chiesto ai cittadini di non raggiungere la struttura se non in caso di assoluta necessità, il personale ha evacuato i pazienti che potevano essere dimessi e si è preparato ad accogliere le eventuali vittime degli incendi. Decine di persone sono state intossicate dal fumo. In serata le forze di emergenza si sono preparate a evacuare l’ospedale Alin di Gerusalemme.

Le fiamme hanno raggiunto strade e autostrade provocandone la chiusura, gli automobilisti sono stati costretti ad abbandonare i mezzi per mettersi in salvo. I treni tra Gerusalemme e Tel Aviv e i collegamenti con altre cittadine sono stati sospesi per oltre sette ore. In alcuni casi i viaggiatori sono stati recuperati con autobus e mezzi di soccorso. Il ministro degli Esteri Gideon Sàar ha chiesto assistenza internazionale e ha parlato con i responsabili delle diplomazie dell’ Italia, del Regno Unito, della Francia, della Repubblica Ceca, della Svezia, dell’Argentina, della Spagna, della Macedonia del Nord e dell’Azerbaigian.

Almeno 29 persone sono rimaste uccise nell’ultima ondata bombardamenti israeliani a Gaza. Lo ha reso noto la Protezione civile della Striscia. Otto sono state uccise in un attacco israeliano sulla casa della famiglia Abu Sahloul nel campo profughi di Khan Younis, nel sud del territorio. Altre quattro sono le vittime di un bombardamento aereo nel quartiere Al-Tuffah di Gaza. Almeno altri 17 sono i morti in raid in tutto il territorio, tra i quali uno che ha colpito una tenda per sfollati nella città centrale di Deir el-Balah

In Giordania il 24 aprile il ministro degli Interni Mazen Al-Faraya ha annunciato la messa al bando dei Fratelli Musulmani, il più grande movimento di opposizione del Paese (al quale appartiene anche Hamas) che ha registrato un trionfo nelle elezioni di 7 mesi fa. Tutti i beni della Fratellanza saranno confiscati, gli uffici chiusi e qualsiasi diffusione ideologica sarà vietata, ha detto in conferenza stampa Al-Faraya. La decisione è arrivata una settimana dopo l’arresto di 16 persone accusate di produrre missili e droni in Giordania. Della cellula, secondo le autorità giordane, facevano parte anche membri della Fratellanza. Negli ultimi anni, e ancor più dopo lo scoppio della guerra a Gaza, l’Iran ha aumentato il volume del contrabbando di armi attraverso la rotta giordana, cercando di insediarsi nel regno per indebolire la monarchia. Dalla Giordania, per l’intelligence di Gerusalemme, passano non solo armi, ma anche valige di dollari per le organizzazioni terroristiche della Cisgiordania.

Il 2 marzo 2025 lo Stato ebraico ha chiuso i valichi che immettono nella Striscia, lasciando 2,4 milioni di palestinesi con scorte di cibo ridotte al lumicino. “La fame è qui”, ha attaccato il 28 aprile Ammar Hijazi, il capo della rappresentanza palestinese nei Paesi Bassi, denunciando l’uso degli aiuti “come arma di guerra”. La risposta israeliana non si è fatta attendere: il ministro degli Esteri, Gideon Sàar, da Gerusalemme ha liquidato il processo in corso all’Aja presso la Corte internazionale di Giustizia come “un circo”. Secondo il capo della diplomazia dello stato ebraico l’Onu e l’Unrwa “strumentalizzano il diritto internazionale per privare Israele del suo diritto fondamentale di difendersi”.

“In quanto potenza occupante, Israele ha l’obbligo inderogabile di consentire e facilitare la consegna degli aiuti”, ha scandito in aula la consulente legale dell’Onu, Elinor Hammarskjold. “Vogliono costringerci a collaborare con un’organizzazione infestata da terroristi”, ha tuonato Sàar durante un briefing con la stampa, osservando che caso  mai l’organizzazione guidata da Antonio Guterres dovrebbe essere processata per non aver epurato la sua agenzia Unrwa – che coordina gli aiuti a Gaza – dai terroristi di Hamas. “Ne ha impiegati invece 1.400 – ha sottolineato Saar –  molti dei quali hanno preso parte alle atrocità del 7 ottobre 2023, compreso il comandante della forza Nukhba, le unità speciali delle Brigate Ezzeddin al Qassam, il braccio militare di Hamas”. La delibera dell’Aja, non vincolante, potrebbe richiedere mesi.

Sul campo, stando al Wall Street Journal, Israele starebbe intanto valutando un piano pilota per una nuova zona umanitaria nel sud della Striscia di Gaza, con il supporto di aziende private americane. L’obiettivo è far transitare i camion con gli aiuti direttamente verso i civili, evitando che finiscano nelle mani dei miliziani di Hamas.

La gestione umanitaria resta un nodo aperto: il presidente statunitense Donald Trump nei giorni scorsi aveva rivelato di aver sollecitato il premier Netanyahu a “essere buoni con Gaza”, chiedendo il via libera ai rifornimenti di cibo e medicine. Un colloquio emerso poco dopo l’allarme lanciato dal Programma alimentare mondiale dell’Onu sulle le scorte alimentari ormai terminate nella Striscia. La guerra di Gaza non vede comunque la prospettiva di una fine: un alto funzionario politico israeliano, stando a quanto riportato dai media, ha rifiutato la proposta di Hamas per un cessate il fuoco di cinque anni in cambio del rilascio di tutti gli ostaggi. Una tregua simile, ha detto il rappresentante di Israele, “permetterebbe” ai miliziani “solo di riarmarsi, riprendersi e continuare la guerra contro lo Stato di Israele con maggiore intensità”.

Le Forze di difesa israeliane (Idf) hanno utilizzato per la prima volta il razzo “Bar” in un’operazione nel Corridoio Morag, nel sud della Striscia di Gaza. Lo hanno riferito gli stessi militari citati dall’emittente pubblica israeliana Kan, spiegando che il razzo “è dotato di un sistema di navigazione adattato agli ambienti di combattimento più difficili” ed “è in grado di colpire il bersaglio in un tempo molto breve”.

L’antico rancore tra Fatah e Hamas è tornato a esplodere il 23 aprile a Ramallah, in un discorso infuocato di Abu Mazen davanti al Consiglio centrale dell’Autorità palestinese. L’anziano presidente, in diretta tv, ha attaccato duramente la fazione fondamentalista che ha ancora in mano il potere a Gaza dopo 18 mesi di guerra. “Ogni giorno ci sono centinaia di morti. Perché? Perché non vogliono restituire i rapiti. Figli di cani, liberate gli ostaggi e ponete fine a tutto questo. Così Israele non avrà più scuse”, ha detto alzando la voce. “Dimettetevi dal potere, consegnate le armi all’Autorità nazionale palestinese e diventate un partito politico”, ha intimato, non mancando di sottolineare che il colpo di Stato di Hamas nel 2007 a Gaza, che ha portato all’estromissione di Fatah (oltre agli innumerevoli omicidi dei suoi funzionari) “ha dato a Israele la legittimità per distruggere la Striscia”. L’Anp è in corsa per la futura governance dell’enclave, nonostante permanga il veto assoluto del premier israeliano Benjamin Netanyahu.

Dopo 12 mesi di combattimenti le Forze Israeliane di difesa si preparano a una lunga campagna militare a Rafah nell’estremo su della Striscia di Gaza. La notizia è di Yedioth Ahronoth, il quotidiano più diffuso di Israele. L’offensiva ha coinvolto tre brigate di punta, i parà della Givati, la Golani e la brigata corazzata numero 188 che avanzano con prudenza nei quartieri meridionali della città. Sono passati appena venti giorni da quando le forze della trentaseiesima Divisione hanno interrotto l’asse che collegava Khan Younis a Rafah. La maggior parte dei miliziani di Hamas della brigata di Rafah si è spostata a nord. Fra i fuggitivi ci sarebbe anche Muhammad Shabana, il comandante . I combattenti si sarebbero intrufolati fra i profughi dell’area di al – Mawasi. Si calcola che al momento a Rafah sia rimasta solo qualche dozzina di miliziani e poche famiglie di civili palestinesi.

Nel week end di Pasqua in una galleria dotata di un’uscita nascosta la brigata corazzata numero 188 ha scoperto segni evidenti di una recente attività terroristica. Secondo i militari della Brigata Golani, che  hanno preso possesso di 1,8 chilometri di tunnel negli ultimi 30 giorni, i miliziani sono intenti a riattivare gallerie colpite negli ultimi mesi.  Le forze armate dello stato ebraico stanno avanzando verso le zone di alta concentrazione di sfollati a al Mawasi che ospiterebbero migliaia di combattenti di Hamas e della Jihad islamica palestinese. Nel settore meridionale del fronte di Gaza le Forze Israeliane di Difesa hanno occupato 9 nuovi tunnel sotto il confine con l’Egitto. Quando viene trovato un ordigno esplosivo ora le truppe di Gerusalemme si ritirano e mandano robot e bulldozer. Il 21 aprile 39 palestinesi sono stati uccisi e 62 sono rimasti feriti nelle operazioni delle forze armate israeliane a Gaza. Lo ha riferito il ministero della Salute nella Striscia, guidato da Hamas, secondo il quale 1.864 persone sono morte nell’enclave dalla rottura della tregua, per un totale di 51.240 dall’inizio della guerra. Il Movimento di Resistenza Islamica diffonde sempre cifre che non distinguono fra miliziani e civili.

Hamas non accetterà mai di deporre le armi. L’agenzia di stampa France Presse attribuisce il secco rifiuto a un funzionario del Movimento di Resistenza Islamica. “Non sono soggette a negoziazioni” è la frase letterale. Se confermato, questo no precluderebbe qualsiasi prospettiva di accordo. Sul versante opposto le Forze Israeliane di Difesa hanno comunicato di avere trasformato circa il trenta per cento della Striscia di Gaza in “Perimetro di Sicurezza Operativa” e di aver colpito circa 1.200 “obiettivi terroristici” da quando, lo scorso 18 marzo, hanno ripreso la loro offensiva militare nel territorio palestinese. Nella nota si precisa che nell’ultimo mese, oltre agli attacchi aerei su “circa 1.200 obiettivi terroristici”, sono state effettuate “oltre 100 eliminazioni mirate”. Tra i miliziani uccisi figurano un vicecomandante di brigata, cinque responsabili di battaglione, e il capo dell’intelligence militare nel sud della Striscia, quindici comandanti di compagnia e militanti accusati di aver partecipato all’attacco del 7 ottobre 2023 contro Israele che provocò milleduecento vittime.

In parallelo, le autorità israeliane hanno interrotto la fornitura di elettricità all’impianto di desalinizzazione di Gaza e bloccato l’accesso ai convogli di aiuti umanitari. Secondo Stephanie Tremblay, una portavoce del segretario generale delle Nazioni Unite, mentre quasi tutti gli oltre due milioni di abitanti del territorio avevano dovuto abbandonare le loro case prima del cessate il fuoco, “i nostri partner umanitari stimano che dal 18 marzo circa mezzo milione di persone siano state sfollate per la prima o per la seconda volta”.

Gli Stati Uniti hanno consegnato alle Forze Israeliane di Difesa un secondo sistema di difesa antimissile Thaad e due batterie Patriot (dopo quelli dell’anno scorso). Sabato 5 aprile un cargo americano C-5M Super Galaxy proveniente da Ramstein in Germania è atterrato alla base israeliana di Nevatim nel deserto del Negev e ci è rimasto per diverse ore. Il Thaad ha la capacità di intercettare missili fuori dall’atmosfera.

Domenica 13 aprile a Gaza il sibilo inconfondibile del primo missile si è sentito quando medici e infermieri erano appena riusciti a portare i pazienti in barella per strada, tra caos e urla dopo aver ricevuto l’avviso di attacco delle Forze Israeliane di Difesa. Subito dopo è atterrato il secondo, visibile in diversi filmati postati sui social, i detriti che cadono sulle tende, gli sfollati che scappano nel buio, tra polvere e fumo, donne con i fagotti in mano. Un fuggi fuggi disperato, palestinesi inseguiti dalla paura, le grida dei bambini. Il raid aereo israeliano ha colpito un edificio dell’ospedale battista Al-Ahli di Gaza City durante la notte, distruggendo il pronto soccorso e il reparto di accoglienza e danneggiando altre strutture. Medici e personale sono riusciti a evacuare tutti i pazienti prima dell’attacco, dopo aver ricevuto l’avviso sui social e una telefonata dell’esercito che avvertiva del bombardamento. Nelle ore successive la Chiesa battista di Gerusalemme e del Medio Oriente, che gestisce la struttura sanitaria, ha reso noto che un bambino ricoverato per un trauma cranico è deceduto durante il trasferimento al nosocomio.

Sempre nella mattinata del 13 aprile un altro centro di comando di Hamas è stato colpito a mezzogiorno a Deir al-Balah, nel centro della Striscia di Gaza, mentre numerosi uomini in armi di Hamas si trovavano nella struttura. I media palestinesi hanno riferito che il raid ha centrato il palazzo comunale provocando vittime. Il ministero della Salute gestito da Hamas ha affermato che l’ospedale ora è fuori servizio: “Centinaia di pazienti e di feriti hanno dovuto essere evacuati nel cuore della notte e molti di loro sono in strada privi di cure mediche”, ha detto il portavoce Khalil Al-Deqran. La Chiesa di Gerusalemme ha condannato l’attacco aereo israeliano e ha invitato la comunità internazionale a impedire i bombardamenti alle strutture mediche. In seguito le Forze armate dello stato ebraico hanno confermato l’intensificarsi dei raid sulla Striscia e hanno affermato di aver effettuato oltre 90 lanci nelle ultime 48 ore. Secondo i media locali, soltanto domenica tredici aprile diciotto persone sono rimaste uccise in diverse zone di Gaza.

Il ministro israeliano della Difesa Israel Katz ha pubblicato un documento di intelligence secondo il quale i defunti leader di Hamas Yahya Sinwar e Mohammed Deif avrebbero chiesto 500 milioni di dollari al capo dei Pasdaran iraniani per programmare la distruzione di Israele nel giro di due anni. Katz sostiene che la richiesta è stata accettata e che il denaro è stato inviato. Per il titolare della difesa dello stato ebraico il finanziamento dimostra il coinvolgimento di Teheran nel massacro del 7 ottobre 2023 (1200 israeliani uccisi ndr.) e, di conseguenza, la legittimità di un attacco israeliano.

La protezione civile di Hamas  sostiene che dalle prime ore di domenica 6 aprile in diversi raid l’aeronautica di Gerusalemme ha provocato 44 morti. Per i coniugi Netanyahu è saltata l’ipotesi di trascorrere qualche giorno negli Usa dopo l’incontro con Trump. Il premier israeliano dovrà rientrare nel suo Paese mercoledì 9 aprile. La procura generale gli ha imposto di non disertare l’udienza del processo nel quale è imputato per corruzione e per frode. Il 7 e l’8 aprile al Cairo il cessate il fuoco a Gaza sarà al centro di un nuovo  incontro al quale parteciperanno il presidente egiziano al Sisi, quello francese Emmanuel Macron e il re di Giordania Abdallah.

In un video diffuso prima di volare a Budapest, sfidando il mandato di arresto della Corte Penale Internazionale dell’Aja per crimini di guerra, il premier israeliano Benjamin Netanyahu aveva annunciato che l’esercito ha preso il controllo dell’asse Morag, la strada che separa Khan Yunis da Rafah. Il primo ministro dello stato ebraico l’ha definito “una seconda rotta Filadelfia”, il corridoio al confine tra Gaza e l’Egitto. Mentre le Forze Israeliane di Difesa avanzano, i raid si moltiplicano in tutta l’enclave. Fonti palestinesi hanno denunciato decine di morti: almeno “13 martiri, tra i quali 2 bambini, sono rimasti uccisi nel bombardamento di una casa che ospitava sfollati a Khan Yunis”, “altre 2 persone” in un attacco a Nuseirat, nel centro della Striscia. A Jabalia, nel nord, il raid più sanguinoso. Quaranta morti, riferiscono i media palestinesi. Diciannove erano in una struttura sanitaria dell’Unrwa, l’agenzia delle Nazioni Unite per i profughi palestinesi, che si era trasformata in un rifugio per famiglie. “Abbiamo colpito un centro di comando e controllo dei terroristi”, hanno replicato le Forze Israeliane di Difesa.

Nella Striscia continuano le manifestazioni anti-Hamas. I dimostranti rischiano rappresaglie ed esecuzioni sommarie. L’operazione di Israele nella Striscia “si sta espandendo per distruggere e ripulire l’area dai terroristi e dalle infrastrutture terroristiche e per conquistare vaste aree che saranno incorporate nelle zone di sicurezza israeliane”, ha affermato Israel Katz, mentre il capo di stato maggiore, Eyal Zamir, in visita alle truppe a Rafah insieme al capo dello Shin Bet Ronen Bar – che Netanyahu ha deciso di cacciare tra le proteste -, ha ribadito che “l’unica cosa che può impedirci di avanzare è il rilascio dei nostri ostaggi”.

I parenti dei 59 rapiti, tra vivi e morti, ancora nelle mani di Hamas hanno scritto una lettera aperta “a tutti coloro che vorranno ascoltare”: “Fermate i combattimenti, tornate al tavolo delle trattative e attuate pienamente un accordo che riporti indietro tutti gli ostaggi, anche a costo di porre fine alla guerra. La pressione militare li mette in pericolo e niente è più urgente che riportarli a casa tutti”, è l’appello del forum delle famiglie. Appello simile a quello delle cancellerie europee, a partire dalla Gran Bretagna. Il ministro degli esteri David Lammy ha condannato la ripresa dell’offensiva israeliana sulla Striscia, diventata “il posto più pericoloso al mondo”, e ha invocato il ritorno agli accordi di cessate il fuoco.

L’esercito israeliano ha confermato di aver colpito mercoledì 2 aprile siti militari siriani nella capitale della Siria Damasco e nella provincia centrale di Hama, dopo che i media statali siriani hanno riferito la circostanza. Le forze militari dello Stato ebraico “hanno attaccato le capacità militari rimaste nelle basi siriane di Hama e T4, insieme ad altri siti infrastrutturali militari rimanenti nell’area di Damasco”. T4 è l’ex base aerea delle forze siriane di Tiyas, nella provincia di Homs. La Turchia sta cercando di prendere il controllo della infrastruttura e si sta preparando a dispiegarvi sistemi di difesa aerea. Lo ha annunciato il portale “Middle East Eye”, citando fonti a conoscenza della questione. La base T4 si trova nel centro della Siria.

Secondo quanto riferisce l’Onu, i venticinque forni del Programma alimentare mondiale che si occupavano di fornire pane alla popolazione sono chiusi. Mancano la fatina e il gas per cucinare. Il Programma alimentare mondiale, aggiunge l’Onu, “continua a fornire assistenza con le scorte rimaste, ma la situazione resta grave visto che le vie d’accesso a Gaza per garantire gli aiuti sono chiuse da un mese”.

In Libano le Forze Israeliane di Difesa e il controspionaggio interno, lo Shin Bet, hanno confermato che l’attacco notturno nel distretto Dahieh di Beirut, una roccaforte degli Hezbollah, ha ucciso Hassan Ali Mahmoud Bdeir un alto funzionario dell’Unità 3900 di Hezbollah e della Forza Quds iraniana. Secondo l’intelligence israeliana aveva avuto un ruolo centrale in un fazione terroristica congiunta che coinvolgeva sia Hezbollah che Hamas, un raro esempio di cooperazione tra i gruppi terroristici sciiti e sunniti. La rete stava pianificando un attacco imminente e su larga scala all’estero, un raid che secondo i funzionari avrebbe potuto uccidere centinaia di israeliani se fosse stato portato a termine. Secondo l’agenzia di stampa francese AFP, Bdeir ha ricoperto il ruolo di vice del coordinatore capo di Hezbollah per gli affari palestinesi. Il quotidiano libanese An-Nahar ha pubblicato una sua fotografia a bordo di un aereo con l’ex comandante della Forza Quds Qassem Soleimani e Abu Mahdi al-Muhandis, il leader della milizia irachena ucciso insieme a Soleimani in un attacco aereo statunitense nel 2020. Le informazioni per l’operazione sono state raccolte sia dallo Shin Bet sia dall’intelligence militare, mentre l’attacco di precisione è stato eseguito dall’aeronautica militare israeliana. Il Ministero della Salute del Libano ha riferito che nell’attacco quattro persone sono state uccise e sette ferite. Funzionari israeliani hanno sostenuto che l’operazione ha impedito un’azione potenzialmente catastrofica e ha segnato un duro colpo alla collaborazione tra Hezbollah e Hamas oltre i confini di Israele. Secondo le autorità israeliane la rete estera di Hamas opera da diversi Paesi, uno dei quali è la Turchia, e sta tentando di espandersi in diverse parti d’Europa.

Lunedì 31 marzo il premier israeliano Benjamin Netanyahu è tornato a testimoniare in un’aula del tribunale di Tel Aviv. Avrebbe dovuto essere gonfio di successi dopo essere riuscito a far approvare nella settimana precedente il bilancio dello stato, assicurando la sopravvivenza del suo governo fino alla fine del 2026.  Nella tarda mattinata la sua testimonianza è stata interrotta dalla notizia che due dei suoi consiglieri erano stati arrestati nell’ambito dell’indagine sul Qatargate. Netanyahu ha dovuto abbandonare in fretta il suo processo per andare alla polizia a testimoniare. In precedenza aveva sperato di dare una dimostrazione di forza costituzionale nominando un nuovo capo del servizio di sicurezza interna, lo Shin Bet, dopo aver annunciato settimane prima che avrebbe licenziato l’attuale responsabile Ronen Bar. Bar lo aveva accusato di cercare di sottrarsi alle indagini sul Qatar. Il provvedimento è attualmente soggetto a un’ingiunzione temporanea dell’Alta Corte. Ma la trovata di Netanyahu si è trasformata in un fiasco. Si è scoperto infatti che il prescelto per il ruolo Eli Sharvit, un ex comandante della marina, nel 2023 aveva partecipato a una manifestazione contro il governo. La situazione è peggiorata in gennaio. Sharvit ha scritto un articolo nel quale ha attaccato il presidente americano Donald Trump. Il senatore repubblicano Lindsey Graham, che solo quattro anni prima era stato assalito e definito traditore dai fan di Trump si è lanciato in un secco tweet contro Sharvit definendo la sua nomina “oltremodo problematica”.

A Gaza centinaia di persone si sono riversate di nuovo su quel che resta delle strade il 26 marzo. Sui canali social diversi account hanno pubblicato oggi immagini di proteste nei quartieri Zaitun e Shujaiya di Gaza City, a Deir al Balah, a Jabalia, a Beit Lahiya e  a Khan Younis. L’hashtag in arabo è “Hamas barra” (via Hamas) o “Stop alla guerra”. Nonostante la repressione messa in atto dai miliziani, il tam tam sui social ha raccolto cortei di uomini e ragazzi che hanno chiesto semplicemente di “vivere”. Hamas li ha accusati di essere il “megafono di Israele”. Alcuni organizzatori delle manifestazioni sarebbero attivisti di Fatah, nemici storici dei jihadisti che governano l’enclave, e membri del movimento “Biddna Nàish” (“Vogliamo vivere”), che in passato hanno già guidato mobilitazioni contro Hamas e subito pesanti repressioni. Alcuni slogan condivisi online descrivono Hamas come “un’organizzazione terroristica che ha venduto Gaza per denaro” e invocano una “rivolta popolare”.

Gli uomini del Movimento di Resistenza Islamica sono tornati a fare la voce grossa. “Ogni volta che le Forze Israeliane di Difesa tentano di recuperare gli ostaggi con la forza, finiscono per riportarli indietro dentro le bare”, hanno dichiarato. “Quanto più Hamas – ha replicato il premier israeliano Benjamin Netanyahu – persisterà nel suo rifiuto di rilasciare i rapiti, tanto più forte sarà la pressione militare e questo include la conquista di territori”. Il ministro della Difesa Israel Katz si è rivolto direttamente alla popolazione della Striscia: “Presto i nostri militari agiranno con forza in altre zone di Gaza, sarete costretti a evacuare e perderete ancora più territorio. I piani sono già approvati. Chiedete la rimozione di Hamas e il rilascio immediato degli ostaggi. È l’unico modo per fermare la guerra”. Il titolare delle forze armate israeliane ha minacciato di agire su nuove aree della Striscia di Gaza, nella quale la tregua è terminata il 18 marzo con la ripresa dei bombardamenti israeliani. “L’esercito effettuerà presto operazioni con la massima forza in nuove aree di Gaza”, ha precisato Katz in un video su X. “Hamas sta mettendo in pericolo la vostra vita, facendovi perdere le vostre case e sempre più territorio”, ha aggiunto in una dichiarazione in ebraico, sottotitolata in inglese. Le Forze di difesa di Israele hanno ucciso almeno 11 persone in un attacco con droni che ha colpito le tende degli sfollati nella parte centrale della Striscia di Gaza e un centro dedicato alla fornitura di aiuti alimentari.

In Israele la tensione tra il governo, le opposizioni e la piazza ha raggiunto i livelli di guardia. Nella serata del 26 marzo le opposizioni hanno allestito simbolicamente i loro uffici sotto alcune tende lungo la strada che porta alla Knesset, proprio mentre era in discussione il controverso disegno di legge che aumenterebbe il controllo politico sulle nomine dei giudici. “Ho aperto il mio ufficio fuori dal Parlamento con colleghi e parlamentari per stare spalla a spalla con i manifestanti e trasmettere un messaggio chiaro, poiché la casa del popolo (la Knesset) non rappresenta più il popolo”, ha sintetizzato su X il parlamentare del Partito Democratico ed ex laburista Gilad Kariv. In un ultimo disperato tentativo di convincere il ministro della Giustizia Yariv Levin ad abbandonare il provvedimento sui magistrati, il presidente del partito Unità nazionale Benny Gantz lo ha avvertito che il “Paese è sull’orlo di una guerra civile”. Ma Levin ha mantenuto la sua posizione e l’opposizione è intenzionata a boicottare il voto finale. Fuori dalla Knesset è comparsa anche una finta ambasciata del Qatar per evocare l’indagine sugli stretti collaboratori del premier che avrebbero preso soldi da Doha. Ora, a una settimana dal licenziamento del direttore dello Shin Bet, quattro giorni dopo l’inizio della procedura di estromissione del procuratore generale, con un bilancio approvato senza aumentare la spesa per il welfare, ma prevedendo finanziamenti miliardari per le scuole ortodosse, la legge sui giudici sembra la goccia che potrebbe far traboccare il vaso. Il 26 marzo in serata una folla di diecimila persone si è riversata in strada vicino alla Knesset. Dopo le dimostrazioni del mattino che hanno bloccato l’autostrada verso Gerusalemme e quella di accademici e studenti davanti casa del premier. Mentre a Tel Aviv una manifestazione serale per la liberazione degli ostaggi annuncia che si metterà in marcia verso la città santa.

Nella Striscia secondo le Nazioni Unite in una sola settimana centoquarantaduemila persone hanno dovuto abbandonare le loro  case. Circa il 90% della popolazione  è stato sfollato almeno una volta tra l’inizio della guerra, il 7 ottobre 2023, e il mese di gennaio di quest’anno.  Il 25 marzo e il 21 marzo, i caccia dello stato ebraico hanno lanciato attacchi aerei su capacità militari strategiche nelle basi siriane di Tadmur e di Tiyas (T-4). In Libano i militari israeliani hanno riferito che il 22 marzo, in risposta al lancio di razzi verso il nord dello Stato ebraico, l’Aeronautica di Gerusalemme ha preso di mira oltre 40 obiettivi del movimento sciita filoiraniano Hezbollah. “La scorsa settimana 14 razzi e missili sono stati intercettati dalla difesa aerea: sei missili terra-terra lanciati dallo Yemen, tre razzi lanciati dal territorio libanese e altri cinque razzi lanciati dalla Striscia di Gaza”, si legge in una nota delle Forze Israeliane di Difesa.

Il 25 marzo centinaia di residenti nella città di Beit Lahia, nel nord della Striscia di Gaza, hanno partecipato  a una manifestazione che chiedeva la fine della guerra e attaccava Hamas in quanto responsabile della situazione nella quale versano i palestinesi. Secondo quanto riporta il sito del giornale saudita Asharq al Awsat, le proteste trasmesse sui social media da diversi account palestinesi a Gaza, sono avvenute poche ore dopo che israeliani avevano impartito ordini di evacuazione ai residenti di Beit Lahia. I dimostranti hanno ritenuto Hamas responsabile degli ordini di evacuazione impartiti in seguito al lancio di razzi dei miliziani del Movimento di Resistenza Islamica dalle zone vicine alla città verso gli insediamenti israeliani. I manifestanti hanno esposto cartelli con la scritta “Il sangue dei nostri figli non è a buon mercato… Vogliamo vivere in pace e sicurezza… Fermate lo spargimento di sangue”, e altri slogan che chiedevano la fine della guerra nella Striscia di Gaza e degli attacchi ai civili nel contesto dell’escalation delle operazioni militari israeliane. Non lontano dalla protesta, alcuni dei giovani e dei ragazzi partecipanti hanno scandito slogan contro Hamas, come: “Hamas fuori, fuori”. Altri dimostranti hanno attaccato il leader Yahya Sinwar, ucciso dalle forze israeliane negli scontri a Rafah nell’ottobre 2024. La marcia di giovani e di ragazzi ha attraversato le strade principali, fermandosi nella piazza Zayed, a pochi metri dall’ospedale indonesiano, che è stato oggetto di diversi attacchi israeliani durante la guerra. I partecipanti hanno condannato il continuo lancio di razzi verso gli insediamenti israeliani, citandolo come motivo degli ordini di evacuazione emessi da Israele per i residenti che hanno dovuto subire ripetuti spostamenti negli ultimi 15 mesi. Alcuni partecipanti alla manifestazione hanno cercato di calmare coloro che scandivano slogan anti-Hamas o cercato di interromperli fischiando e aggredendo i più determinati per bloccare la protesta. I sostenitori di Fatah e di Hamas si sono dati battaglia sui social media e sono emersi disaccordi sull’importanza attribuita all’evento.

Filmati arrivati da Gaza mostrano decine di residenti nei campi profughi di Jabalia, a Gaza, che bruciano pneumatici, chiedono la fine della guerra, le dimissioni del governo di Hamas e che gridano “Vogliamo mangiare”. La protesta è la seconda della giornata, dopo quella nel nord della Striscia. Anche a Khan Younis, nel sud di Gaza, decine di residenti sfilato in corteo gridando “fuori Hamas”. È la terza manifestazione nel giro di poche ore. I video postati sui social mostrano i manifestanti che urlano contro l’organizzazione fondamentalista. “La gente di qui dice che Hamas è un’organizzazione terroristica”, si legge in uno dei tanti messaggi postati sui social dall’enclave, “questa inondazione deve estendersi fino a ogni quartiere, ogni tenda palestinese in tutta Gaza”.

In Israele continuano le polemiche su Benyamin Netanyahu. Secondo la rete televisiva Channel 12, che cita tre fonti degli apparati di sicurezza, Il premier di Gerusalemme sarebbe stato avvisato per ben due volte dallo Shin Bet, il controspionaggio interno, che Muhammad Deif, il capo del braccio militare di Hamas, (ucciso dalle Forze Israeliane di Difesa l’anno scorso) si stava appropriando di fondi arrivati dal Qatar. Il primo avvertimento arrivò nel 2019, quando l’allora capo dello Shin Bet, Nadav Argaman, avvertì che Deif stava sottraendo milioni di dollari dai fondi che entravano a Gaza, un anno dopo l’inizio del trasferimento dei pagamenti mensili. Poi, nel 2020, l’intelligence militare ha avvertito nuovamente Netanyahu che Deif, braccio destro di Yahya Sinwar (ucciso in ottobre) sottraeva 4 milioni di dollari ogni mese. L’ufficio del premier ha negato che Netanyahu abbia mai ricevuto tali avvertimenti affermando di essere stato avvisato che l’ala militare di Hamas stava sottraendo milioni di dollari dai suoi fondi pubblici, che provenivano da “altre fonti”, e non dagli aiuti del Qatar. Dal 2018, il Qatar ha fornito centinaia di milioni di dollari in contanti per pagare il carburante per la centrale elettrica della Striscia, i dipendenti pubblici di Hamas e per fornire aiuti a decine di migliaia di famiglie povere. I pagamenti sono stati pubblicamente incoraggiati da Netanyahu. I finanziamenti sono stati sottoposti a verifica dopo lo scoppio della guerra tra Israele e Hamas, poiché l’obiettivo di mantenere tranquillo il confine meridionale di Israele migliorando la situazione economica a Gaza si è rivelato controproducente.

Le truppe israeliane sono avanzate verso il sud della striscia di Gaza nel quinto giorno di ripresa della guerra. “Ho dato ordine all’esercito di conquistare altro territorio a Gaza, di evacuare la popolazione e di estendere le zone di sicurezza” al confine tra la Striscia e Israele, ha annunciato il ministro israeliano della Difesa Israel Katz. “Più Hamas continuerà a rifiutarsi di liberare gli ostaggi, più perderà territorio che verrà annesso da Israele”, ha avvertito. I carri armati hanno ripreso velocemente il controllo di metà del corridoio Netzarim, che divide in due la Striscia di  Gaza. Contemporaneamente, i generali hanno ordinato alla brigata paracadutisti Golani di prendere posizione nel settore meridionale. Parigi ha riferito che due cittadini francesi, impiegati delle Nazioni Unite, sono rimasti gravemente feriti e ha condannato un “attacco inaccettabile contro un edificio dell’Onu”. La Turchia ha accusato Israele di aver colpito l’ospedale turco-palestinese nei pressi del Corridoio Netzarim, che secondo le Forze Israeliane di Difesa non era più in funzione e veniva usato da Hamas come base per attività terroristiche. L’esercito di Gerusalemme ha reso noto di aver ucciso il 20 marzo Osama Tabash, capo dell’intelligence militare di Hamas nel sud della Striscia.

In Israele cresce la tensione dopo il siluramento di Ronen Bar, capo dello Shin Bet, il controspionaggio interno. Il governo ha spiegato che Bar ha perso la fiducia di Netanyahu. Ma, secondo l’opposizione, il premier lo avrebbe fatto fuori perché aveva cominciato a indagare sul cosiddetto “Qatargate israeliano”, l’inchiesta che accusa funzionari vicini a Netanyahu di aver preso tangenti da Doha, e per aver denunciato il fallimento del ceto politico – oltre che della stessa intelligence – nel prevenire l’attacco di Hamas del 7 ottobre, accusando il primo ministro di non voler istituire una Commissione d’inchiesta indipendente. Di fronte ai ricorsi presentati e alle massicce proteste dei cittadini, l’Alta Corte ha sospeso il licenziamento di Bar e la procuratrice generale di Israele, Gali Baharav-Miara, ha diffidato il premier da prendere qualsiasi decisione in merito fino alla pronuncia dei giudici, compresi eventuali colloqui per nominarne il successore. La stessa procuratrice rischia del resto di fare la stessa fine di Bar: da tempo è nel mirino del governo che la accusa di essere diventata “il braccio destro degli oppositori”. L’esecutivo voterà domenica una mozione di sfiducia nei suoi confronti.

“Negli ultimi giorni, altri cinque membri dello staff dell’Agenzia Onu per i rifugiati palestinesi (Unrwa) sono rimasti uccisi” nei raid lanciati dalle forze israeliane nella Striscia di Gaza e “temiamo che il peggio debba ancora arrivare con l’invasione di terra in corso” mentre “proseguono per il terzo giorno i bombardamenti israeliani dal cielo e dal mare”. È quanto ha scritto il 20 marzo su “X” il Commissario generale dell’Unrwa, Philippe Lazzarini, ricordando che le cinque vittime “erano insegnanti, dottori e infermieri: al servizio dei più vulnerabili”. Tom Fletcher, Il capo del dipartimento per gli Affari umanitari e gli aiuti di emergenza delle Nazioni Unite (Unocha), ha condannato l’uccisione di un dipendente dell’Onu a Gaza, sottolineando che è stato ammazzato in un “complesso Onu chiaramente indicato” e questo “fa infuriare”. “Il diritto internazionale e’ chiaro: i civili – compresi gli operatori internazionali – non devono essere presi di mira”. “I progressi che abbiamo fatto durante il cessate il fuoco nel sostenere i sopravvissuti sono stati annullati”, in “uno dei giorni più mortali a Gaza”, ha aggiunto.

“Hamas liberi tutti gli ostaggi  e abbandoni la Striscia” altrimenti si scatenerà “l’inferno”. Il presidente americano Donald Trump aveva lanciato questo ultimatum in una fase nella quale la tregua tra la fazione palestinese e Israele era sempre più fragile. La Casa Bianca ha dato il via libera a trattative dirette con il Movimento di Resistenza Islamica per accelerare il rilascio degli ultimi prigionieri ancora nell’enclave, soprattutto di quelli americani. “Alla gente di Gaza: avete un futuro luminoso, ma non sarà così se trattenete degli ostaggi. Se lo fate, siete morti, prendete la decisione giusta”, ha scritto Trump sul suo social Truth. Avviso reiterato dopo un incontro con otto rapiti rilasciati nelle ultime settimane: “Liberate tutti gli ostaggi ora, non dopo, e consegnate immediatamente i resti delle persone che avete ucciso, altrimenti per voi è finita”. Poi, l’affondo finale: “Questo è l’ultimo avvertimento! Per la leadership (di Hamas) è arrivato il momento di lasciare Gaza, finché può. Nessun vostro membro sarà al sicuro se non farete ciò che dico”.

L’esodo forzato sarebbe il punto di partenza per realizzare il piano del tycoon sul futuro dell’enclave: una lussuosa riviera costruita sulle macerie e senza palestinesi. In quest’ottica, l’ultimatum di Trump viene letto da Hamas come un assist a Israele perché abbandoni la tregua e riprenda a bombardare per distruggere definitivamente il nemico. Le parole del presidente Usa “complicano le questioni relative all’accordo di cessate il fuoco e incoraggiano l’occupante a evitare di applicarne in concreto i termini”, ha detto Hazem Qasim, un portavoce dei miliziani, esortando Washington a fare pressione sullo Stato ebraico affinché accetti di passare alla seconda fase dell’intesa sottoscritta a metà gennaio che prevede il cessate il fuoco permanente oltre al rilascio di tutti i restanti ostaggi.

Proprio per sbloccare il nodo rapiti gli Usa avevano avviato contatti diretti con Hamas. Contatti che, a quanto riferisce il quotidiano Times of Israel avrebbero irritato il premier israeliano Benjamin Netanyahu. Secondo media sauditi, gli americani ai colloqui di Doha hanno insistito sulla questione dei prigionieri con doppia cittadinanza come primo passo per avviare discussioni più ampie: a Gaza ci sono un israelo-americano ancora vivo e i corpi di altri quattro. Secondo quanto filtra, non è ancora stato raggiunto un accordo, ma i negoziati, guidati da Adam Boehler, l’inviato di Trump sul dossier ostaggi, non sono stati interrotti. Secondo Sky News Arabic Oltre alla questione principale, gli americani avrebbero proposto in questa sede anche un cessate il fuoco di 60 giorni in cambio del rilascio di 10 ostaggi.

Il 2 marzo, di primo mattino, il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha sospeso l’ingresso di aiuti umanitari nella  Striscia e ha chiuso i valichi di accesso.  Hamas, che tiene ancora prigionieri a Gaza 59 ostaggi, 24 dei quali vivi, si è indignata. “La scelta di Netanyahu – ha replicato – conferma il suo disprezzo per le leggi internazionali e impedisce la distribuzione di medicine e di cibo. Fermare l’ingresso degli aiuti significa far morire di fame i residenti della Striscia. Deve essere presa una posizione internazionale dura per fare pressione su Israele”. Hazem Qassem, uno dei portavoce, in una dichiarazione rilasciata il 2 marzo alla tv saudita al Hadath è stato più sfumato.  “Sono in corso – ha sostenuto – trattative per garantire il consolidamento dell’accordo sulla tregua. I Paesi mediatori non ci hanno informato di alcun cambiamento nell’approccio israeliano”.

Gideon Sa’ar, ministro degli Esteri di Israele, ha definito lo spauracchio della carestia nell’enclave “una bugia di Hamas”. Secondo fonti del governo israeliano nelle sei settimane di tregua sono entrati a Gaza aiuti umanitari sufficienti per quattro mesi. “I magazzini di Hamas – hanno spiegato -sono pieni di beni, dopo che per 42 giorni sono arrivati 25.200 camion di aiuti”. L’Onu e l’Unione Europea hanno chiesto che non si fermino. Ma Netanyahu non sembra intenzionato a ricredersi. “A Gaza – ha detto – non ci saranno pasti gratis. Se Hamas, senza liberare gli ostaggi, pensa che sia possibile continuare il cessate il fuoco e godere delle condizioni della fase A dell’accordo, si sbaglia di grosso. Gli integralisti islamici hanno il controllo di tutte le forniture inviate nella Striscia, maltrattano la popolazione che cerca di ricevere gli aiuti e le sparano contro. Se gli ostaggi non saranno rilasciati, ci saranno ulteriori conseguenze”. Durante una riunione del suo governo Netanyahu ha spiegato: “L’inviato per il Medio Oriente Witkoff ha definito il suo piano come un corridoio per i negoziati sulla fase due.  Noi siamo pronti per questo”. La proposta dell’inviato statunitense per il Medio Oriente prevede un cessate il fuoco temporaneo a Gaza durante il periodo del Ramadan e della Pasqua ebraica, circa 50 giorni. Nelle prime ventiquattro ore sarà liberata metà degli ostaggi vivi e di quelli uccisi. Al termine – se si raggiungerà un’intesa su un cessate il fuoco permanente – saranno rilasciati gli altri rapiti ancora vivi e i morti.

Allo scadere della prima fase della tregua, Israele aveva ricevuto tutti i 33 ostaggi, vivi e morti, previsti dall’accordo del 19 gennaio con Hamas. Gli ultimi quattro cadaveri sono stati restituiti nella notte del 26 febbraio. Sono le spoglie di Ohad Yahalomi, di Tsachi Idan e di Itzhak Elgarat, uccisi durante la prigionia a Gaza,   e di Shlomo Mantzur assassinato il 7 ottobre 2023. La consegna delle salme è avvenuta senza macabri show, come aveva chiesto Benjamin Netanyahu per dare seguito all’ultimo scambio e per liberare 643 detenuti palestinesi. Il premier ha quindi “dato ordine al team negoziale di partire per il Cairo per continuare i colloqui”, ha fatto sapere l’ufficio del primo ministro a due giorni dalla fine della prima fase, senza tuttavia precisare se sia l’avvio di trattative per la fase due o per estendere l’attuale tregua. Il ministro degli Esteri Gideon Sàar ha spiegato che “la delegazione andrà al Cairo per capire se esiste un terreno comune su cui negoziare”. “Abbiamo detto che siamo pronti ad estendere il quadro della fase uno in cambio del rilascio di altri ostaggi – ha aggiunto -. Se è possibile, lo faremo. Sarà meglio parlarne a lungo dopo il ritorno della delegazione dal Cairo”.

L’esercito israeliano non si ritirerà dal corridoio Filadelfia, la zona cuscinetto tra la Striscia di Gaza e l’Egitto – ha fatto filtrare il governo ai media – nonostante la circostanza che il ripiegamento sia previsto dall’intesa per il cinquantesimo giorno della tregua. Per Hamas è una “violazione dell’accordo”. Per Israele il confine con l’Egitto è la via di contrabbando dei miliziani: “Non permetteremo agli assassini di Hamas di aggirarsi di nuovo per i nostri confini con pick-up e armi, e non permetteremo loro di riarmarsi”, ha detto un funzionario. Anche il ministro della Difesa Israel Katz ha spiegato che la prima fase della tregua “è completa” e che Israele “punta a riportare indietro tutti gli ostaggi ancora a Gaza”. Il modo più efficace per garantire ciò – ha affermato – è che Hamas sappia che l’Idf è pronto a tornare in guerra”. Katz, che immagina fattibile il piano di Donald Trump di svuotare la Striscia dei suoi abitanti, ha riferito di lavorare a un programma amministrativo per facilitare “i palestinesi che lo desiderano a lasciare Gaza attraverso il porto di Ashdod o l’aeroporto di Ramon”, nel sud di Israele.

Vicino ad Haifa, un uomo si è lanciato con la sua auto su un gruppo di pedoni, ferendone 13 tra cui una ragazza di 17 anni in modo grave. “Il terrorista è stato ucciso”, ha riferito la polizia israeliana: si tratterebbe di un palestinese di 53 anni, originario della zona di Jenin. Viveva illegalmente in Israele ed era sposato con una cittadina israeliana, riporta il sito Times of Israel.

L’amministrazione Trump ha ammesso pubblicamente di appoggiare l’obiettivo di Netanyahu di estendere la fase uno dell’intesa. Il premier israeliano sarebbe intenzionato a passare al cosiddetto “piano dei generali”. Secondo il documento “Israele dovrebbe tornare a una guerra intensa a Gaza, creerà aree di rifugio per i civili e consentirà alle organizzazioni internazionali di distribuire cibo e aiuti solo in quelle aree”, spiega il quotidiano liberal Haaretz. Il primo ministro starebbe aspettando, oltre al rilascio di tutti gli ostaggi vivi e morti, l’insediamento, il 6 marzo, del nuovo capo di stato maggiore dell’Idf Eyal Zamir.

L‘Onu ha definito “abominevole” lo show delle quattro bare nere esposte da Hamas su un palco nella Striscia. Per rappresaglia sabato 22 febbraio Israele non ha scarcerato 602 detenuti palestinesi in cambio degli ultimi sei ostaggi vivi rilasciati, ma due giorni dopo, il 24 febbraio, ha cercato una soluzione con i Paesi mediatori. Se Hamas restituisce immediatamente altri quattro corpi di rapiti morti, senza organizzare umilianti cerimonie con le bare come ha fatto la settimana scorsa con i corpi della famiglia Bibas e di Oded Lipshitz, i detenuti palestinesi saranno rilasciati. Si tratta di centinaia di condannati a lunghe pene detentive, molti dei quali stanno scontando ergastoli per attacchi terroristici. Hamas non ha ancora risposto ufficialmente. Mahmoud Mardawi , un alto funzionario del gruppo fondamentalista, ha affermato che “non c’è alcun cambiamento nella posizione di Hamas, il nemico deve attuare l’accordo liberando i 600 prigionieri palestinesi”. Anche fonti israeliane citate dai media nazionali hanno negato progressi verso il rilascio di quattro salme dei rapiti. Hazem Qassem, il portavoce di Hamas a Gaza, ha annunciato che l’organizzazione islamista è pronta ad accettare la richiesta dei Paesi mediatori “su tutto ciò che riguarda la cerimonia di liberazione degli ostaggi, per porre fine alla crisi e ottenere la liberazione dei detenuti palestinesi”.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha annunciato lo stop al rilascio dei detenuti palestinesi in seguito alle “umiliazioni” dei rapiti israeliani, si è detto pronto “in qualsiasi momento” a riprendere i combattimenti a Gaza e ha schierato i carri armati israeliani in Cisgiordania per la prima volta dal 2002. “I nostri piani operativi sono pronti”, ha dichiarato nel corso di una cerimonia di laurea degli ufficiali. “Raggiungeremo pienamente gli obiettivi della guerra, sia attraverso i negoziati che con altri mezzi”. Sabato 22 febbraio Omer Shem Tov si è messo una mano sul cuore e ha baciato sulla testa due miliziani di Hamas. Eliya Cohen e Omer Wenkert sono stati costretti a salire su un palco, a ringraziare i loro carcerieri e a salutare la folla più volte. Erano al rave Nova party di Re’im. Hamas continua a battere la strada dell’umiliazione sistematica di chi viene rilasciato dopo più di un anno di prigionia nei tunnel di Gaza.

Gli ostaggi tornati liberi sono sei. Oltre a Tov, a Cohen e a Wenkert sono Tal Shoham, Abera Mengistu e Hisham al Sayed. Mengistu e al Shahed erano a Gaza da più di dieci anni. Entrambi hanno problemi di stabilità mentale, sono entrati volontariamente nella Striscia nel 2014 e nel 2015. Tal Shoham il 7 ottobre era nel kibbutz Be’eri con la moglie e i figli liberati nel primo scambio fra ostaggi e carcerati palestinesi del novembre 2023. Fra i parenti che ha visto morire in quel massacro c’era Eviatar Moshe Kipnis cittadino italiano e israeliano. A Gaza restano prigionieri di Hamas altri 63 israeliani. Trenta sarebbero morti.   Venerdì 21 febbraio era stato restituito a Israele, lontano dalle telecamere, il cadavere di Shiri Bibas, 32 anni, la mamma dei fratellini Ariel e Bibas, rispettivamente 3 anni e 9 mesi quando furono rapiti. Il Movimento di Resistenza Islamica sostiene che tutti e tre sono stati uccisi da un bombardamento israeliano. Ma Chen Kugel, responsabile dell’Istituto di medicina forense di Tel Aviv, ha replicato che le condizioni dei loro corpi non sono assolutamente “compatibili” con quelle di persone fulminate da da ordigni esplosivi.

I negoziati sulla seconda fase della tregua che avrebbero dovuto prendere il via il sedicesimo giorno del cessate il fuoco non sono ancora cominciati. L’unica mossa concreta è stata l’esclusione dalla squadra che si occupa delle trattative dei capi del controspionaggio interno, lo Shin Bet, e di quello estero, il Mossad. Li ha sostituiti Ron Dermer, braccio destro di Netanyahu e da mesi anello di congiunzione fra Gerusalemme e l’amministrazione di Donald Trump. Il premier di Gerusalemme ha anche chiesto la smilitarizzazione della Siria meridionale.

Le Forze Israeliane di Difesa hanno comunicato di aver alzato i livelli di allerta operativa attorno alla Striscia. Le truppe resteranno per almeno un anno in tre campi profughi palestinesi già svuotati. Sono quelli di Jenin, di Tulkarem e di Nur Shams. Quarantamila residenti sono stati costretti ad andarsene, e non sarà concesso loro di rientrare. Anche l’attività dell’Unrwa, l’agenzia dell’Onu che si occupa dei profughi palestinesi, è stata interrotta. “Ho ordinato all’esercito di prepararsi per una lunga permanenza”, ha precisato il ministro israeliano della difesa Israel Katz. “Non torneremo alla realtà del passato. Continueremo a sgomberare i campi profughi e altri centri terroristici” ha assicurato.

Secondo l’agenzia di stampa palestinese Wafa ” le forze di occupazione hanno annunciato l’inizio di un’operazione militare nella città di Qabatiya (a sud di Jenin) accompagnata da un coprifuoco di 48 ore, a partire dalla mattina del 23 febbraio”. L’esercito israeliano è entrato in azione all’alba. I bulldozer hanno cominciato a devastare strade e infrastrutture e a tagliare le linee idriche ed elettriche, ha detto il governatore di Jenin Ahmad Zakarneh all’agenzia palestinese, sottolineando che è stato distrutto l’ingresso della città e che sono state vandalizzate proprietà, negozi e veicoli.

Kfir e Ariel Bibas, nove mesi e quasi tre anni quando sono stati rapiti da Hamas il 7 ottobre 2023 nella loro casa del kibbutz  Nir Oz, «sono stati assassinati dai terroristi, a mani nude. Dopo la loro morte gli uomini in armi di Hamas hanno mutilato i corpi in modo che le Forze Israeliane di Difesa potessero essere incolpate di averli uccisi in un bombardamento». Con queste parole il portavoce dell’esercito israeliano Daniel Hagari ha descritto l’orrore emerso dalle autopsie eseguite all’istituto di medicina legale Abu Kabir e dall’intelligence dell’esercito. Secondo la ricostruzione dei miliziani del Movimento di Resistenza islamica invece i due piccoli avrebbero perso la vita a causa di un attacco aereo israeliano nei primi giorni della guerra. I risultati dell’esame autoptico «sono stati inviati agli alleati affinché vedano con i loro occhi e il mondo sappia come si comporta Hamas», ha riferito Hagari.

Le Forze israeliane di Difesa hanno contestato ai jihadisti della Striscia la mancata restituzione della salma di Shiri, la madre dei due piccoli, definendola «una flagrante violazione dell’accordo di tregua e di liberazione degli ostaggi tra Hamas e Israele». Al posto del corpo di Shiri Bibas, nella bara nera inviata da Hamas sono stati trovati i resti di una donna di Gaza il cui Dna non corrisponde ad alcuno dei rapiti. Israele ha chiesto ora l’immediato ritorno del corpo: «Non rimediare il prima possibile è una grave violazione dell’intesa». In serata le Brigate al Qassam hanno riferito al network televisivo del Qatar al Jazeera di avere consegnato i resti della donna alla Croce Rossa che li ha subito affidati all’istituto di medicina legale israeliano per il riconoscimento.

Ismail al-Thawabteh, un funzionario di Hamas, aveva spiegato l’errore dichiarando che il corpo di Shiri Bibas «è stato fatto a pezzi e si è mescolato ad altri corpi sotto le macerie dopo un attacco israeliano». Ora il gruppo terroristico chiede la restituzione del corpo della donna gazawi mandata a Israele nella bara con la foto di Shiri. Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, parlando a Fox radio news, ha commentato sdegnato la consegna delle bare: «Una scena barbara. È difficile credere che stia accadendo nell’era moderna», ha detto, lasciando intendere che Netanyahu vuole riprendere la guerra e che gli Usa lo sosterranno: «Bibi non ha alcun dilemma sul riprendere il conflitto». Il governo di Gerusalemme intanto sembra non aver intenzione di far saltare l’accordo, perlomeno per il momento, mentre gli ultimi sei ostaggi vivi su trentatré da liberare nella prima fase dell’intesa stanno per tornare a casa, insieme con altri quattro corpi di rapiti morti.

Netanyahu ha voluto però mandare un messaggio inequivocabile a Hamas, nella prima dichiarazione dopo l’identificazione dei fratellini Bibas. «Oggi il cielo trema. È un giorno tragico. I selvaggi di Hamas li hanno strappati dalle braccia della madre, lei ha lottato come una leonessa per proteggerli. Immaginate il loro orrore. Immaginate la confusione. Bambini, per l’amor di Dio. Chi rapisce un bambino e un neonato e li uccide? Solo mostri. Ecco chi», ha detto in un messaggio video tenendo in mano la foto di Kfir e Ariel. «Come primo ministro di Israele, giuro che non avrò pace finché i selvaggi che hanno giustiziato i nostri ostaggi non saranno consegnati alla giustizia. Non meritano di camminare su questa terra. Niente mi fermerà. Niente», ha promesso con rabbia.

La famiglia Bibas, che ha ricevuto la conferma della morte dei bambini dopo 503 giorni di angoscia, ha postato un messaggio su Facebook per dire che «non vuole vendetta, ma solo che Shiri ritorni». «Primo ministro Netanyahu, non abbiamo ricevuto parole di scuse da voi in questo momento doloroso», ha aggiunto Ofri, la zia dei piccoli. Il padre Yarden, rapito anche lui il 7 ottobre ma separatamente dal resto della famiglia e rilasciato due settimane fa, è stato informato direttamente da Hagari: «Mi ha guardato negli occhi e mi ha chiesto che il mondo intero venga a conoscenza e rimanga scioccato dal modo nel quale hanno ucciso i suoi bambini», ha raccontato il portavoce militare. Netanyahu e il ministro della Difesa Israel Katz sono stati di persona venerdì nel campo profughi di Tulkarem, dal quale lo Shin Bet, il controspionaggio interno, ritiene che siano partiti i terroristi. Entrambi hanno annunciato che le «roccaforti del terrorismo in Cisgiordania saranno eliminate. E l’esercito lancerà ulteriori operazioni dopo i falliti attentati sui bus».

Nel giorno della restituzione dei corpi di quattro ostaggi Abdul Latif al-Qanou”, un portavoce di Hamas, ha dichiarato che Netanyahu “sta temporeggiando”. Dal 19 gennaio è entrata in vigore nella Striscia di Gaza una fragile tregua (nella foto militari israeliani fra le macerie di Gaza). Dal cessate il fuoco 19 ostaggi israeliani sono stati rilasciati in cambio di oltre 1.100 prigionieri palestinesi. In questa prima fase, che dovrebbe concludersi il primo marzo. saranno rilasciati 33 ostaggi israeliani e oltre 1.900 palestinesi in carcere in Israele. Ai bordi delle strade percorse dal convoglio delle Forze Israeliane di Difesa e diretto all’istituto di medicina legale la gente ha aspettato le bare che contenevano le salme dei due bambini Ariel e Kfir Bibas, e del giornalista pacifista Oded Lipshitz. L’unico ad essere identificato dagli anatomopatologi è per ora l’anziano Oded, che da vivo aiutava i malati di Gaza a raggiungere gli ospedali israeliani. L’ufficio del primo ministro Benjamin Netanyahu ha reso noto che è stato ucciso dalla Jihad islamica palestinese mentre era in cattività. Chen Kugel, direttore del centro di medicina forense Abu Kabir, ha confermato, aggiungendo che l’assassinio è avvenuto più di un anno fa.