Di Lorenzo Bianchi

Dopo 9 anni di guerra Bashar Assad si presenta come il vincitore indiscusso. Al punto che ha pensato di poter suggellare il suo successo organizzando elezioni parlamentari alle quali teoricamente avrebbero potuto partecipare 12 milioni di  siriani per eleggere 250 deputati. Le urne si sono aperte in 7000 seggi sparsi sul settanta per cento del territorio, anche nelle aree riconquistate da poco tempo come Ghouta est, la provincia orientale di Damasco, o Idlib, vicino al confine turco nel nordovest. Urne in un Paese che nove anni di guerra hanno ridotto allo stremo. Secondo l’Onu l’80 per cento della popolazione è schiacciata sotto la soglia della povertà. Dieci milioni di persone hanno dovuto abbandonare le loro case. I morti sarebbero stati almeno 350 mila. Una bomba ha provocato 8 vittime a Sajjo, a nord di Aleppo. I turchi hanno immediatamente accusato l’Ypg, le forze di autodifesa curda.

L’annuncio dell’esito della consultazione è stato rinviato a data da destinarsi. L’agenzia ufficiale di stampa  del regime, la “Sana”, denuncia irregolarità in 5 sezioni su 7000 ad Aleppo e a Deir ez Zour, la capitale della provincia che confina con l’Iraq. Gli elettori dovranno depositare di nuovo le schede nelle urne. Secondo la stessa fonte sono stati trovati 71 corpi in una fossa comune a sud est di Duma, nella provincia orientale di Damasco. Uno era di una donna. Fino all’aprile del 2018 l’area era controllata dai jihadisti di “Jaish al Islam”, una compagine nella quale sono confluiti i combattenti di “Jabhat al Nusra”, la filiale siriana di al Qaeda.

Nei campi profughi l’inverno era stato atroce. Areej Majid al Hmeidi aveva solo 5 mesi. E’ morta di freddo nel campo di Albeet (nella foto i volontari in azione dopo un bombardamento nell’area di Idlib) vicino al confine fra la Siria e la Turchia, racconta Mark Lowcock, capo dei soccorsi delle Nazioni Unite nella zona. “Le madri – spiega – bruciavano la plastica per scaldare i figli. La crisi ha raggiunto un livello spaventoso”. Nel vilaggio di Kili, nella provincia di Idlib, è morta quasi tutta la famiglia Hamadi. Nizar, l’unico sopravvissuto, non riesce a darsi pace. Il termometro era sceso a 9 gradi sotto lo zero. Il fratello Mustafa, sua moglie Amoun, la figlia della coppia Huda, 12 anni, e una loro nipotina Hoor, appena 3 anni, avevano cercato un po’ di calore accendendo uno scaldino a gas. La loro tenda era fatta di pali di metallo e di fogli di plastica. Li ha uccisi l’ossido di carbonio. Erano profughi di Ma’arat al Nu’man, una cittadina non lontana dall’autostrada M 5 che collega Damasco ad Aleppo.

Ma’arat al Nu’man è uno dei tanti centri investiti dall’offensiva delle Forze di Bashar Assad cominciata in aprile. Le Nazioni Unite, sostengono che ha provocato la fuga di 900 mila persone dalle loro case.  I bambini, calcola l’Unicef, sono mezzo milione.  I russi hanno sostenuto il regime di Damasco con i bombardamenti aerei. Fra le vittime anche 14 soldati turchi schierati nei posti di controllo che avrebbero dovuto vigilare la zona di decongestione del conflitto concordata con Mosca a Sochi nel 2018. Ankara avrebbe risposto “neutralizzando fra 30 e 35 soldati siriani”. Questa almeno è la cifra rivendicata dal presidente Recep Tayyip Erdoğan. Michelle Bachelet ha precisato che il 93 per cento delle vittime è stata fulminata dai raid aerei delle forze armate di Damasco e di Mosca e che sono stati attaccati anche due ospedali.

La Turchia ora cerca di far dimenticare il suo passato di confortevole Paese di transito per i jihadisti diretti in Siria. A Bursa è stato arrestato un operaio di 50 anni. Si chiamerebbe Abu Zaki al Shami, probabilmente un nome di battaglia. E’ accusato di essere il boia dell’Isis apparso in un filmato nel quale uccideva un civile con un colpo di pistola alla nuca. Ankara sostiene di aver rimpatriato nei Paesi di origine da ottobre 229 persone fra combattenti e loro familiari. Tra questi 75 sarebbero cittadini europei.