In un mercato musicale sempre più bulimico, in cui le hit girano vorticose ma per poche settimane, e nascono dalla rete o da un talent, di successo solo se i testi provocano o se chi li canta veste strano, fa quasi specie un ventiduenne romano con la chitarra senza effetti, un testo intelligente, veloce, silvestriano, una faccia con le occhiaie, la sua, e un nome, ‘Fulminacci‘, che viene dritto da un mondo che non c’è più.

Fulminacci! è un’onomatopea antica, oggi quasi inesistente, che sa di Popeye, spinaci e Corriere dei piccoli, di storie semplici come semplice è, in effetti, la successione delle parole messe insieme dall’autore nella sua unica hit, “Borghese in borghese” (Maciste Dischi). Due accordi veloci e un flusso di pensieri normali, da uno che “sono vent’anni che sono / però non sono nessuno / sono dieci anni che suono / sono tre anni che fumo).

Un quotidiano fatto di bagni da pulire, autobus da prendere, di ricordarsi se hai messo il sale nel sugo. Che poi sei certo di averlo fatto – chiarisce lui -, ma non hai voglia di assaggiare. Intelligentemente pigro e dunque antistorico in un’epoca di connessoni perenni e iper-veloci. Ed ecco il senso di un borghese in borghese, anche a vent’anni: una persona normale che pensa veloce ma non ha voglia di dimostrarlo, che guarda immobile le mode passare, inutili e faticose come le Polaroid che saranno pure belle, ma a ben guardare costano un casino.

C’è molta ironia, certo, molto personaggio in Fulminacci, ma la resa è sincera. Autentica come una chitarra acustica suonata con una scheda di plastica, come si fa nei falò quando perdi il plettro. Normale come una polo di una marca ipernota, e dunque anonima, che cambia colore durante il finale del video, e dunque rimane sempre uguale.

Un video girato quasi tutto a macchina fissa, di sbieco, con Fulminacci che guarda dritto davanti a sé e solo ogni tanto in macchina. Gioco sottile, che sottolinea una personalità autentica, sottesa a quel gioco ben riuscito del volersi mimetizzare. Un Borghese in borghese, appunto. Di quelli che noti per un attimo, tra la folla, e poi mai più. O che ritornano in continuazione, come un deja-vù. Fino a diventare famosi.