Quella che segue non è una recensione, non canonica perlomeno, neppure secondo gli standard di questo blog, dove mai mi permetto la prima persona.
D’altronde ‘Il libro dei numeri‘ (Codice Edizioni, 2019, ma negli Usa è uscito nel 2015) non è per nulla un libro normale. Non nella forma, né nello stile e neppure nella fattura. Il suo autore, Joshua Cohen, non è per nulla un tipo normale e la sua traduttrice, Claudia Durastanti (che è pure un’ottima autrice) viceversa è una santa. Perché parlarne? Perché questa, attenzione, non è una stroncatura: per il lettore che sono – del tutto conscio dei Diritti conferitimi da Pennac – mai avrei impegnato il mio comodino per mesi e riempito il mio zaino per altrettanto tempo con un tomone di 745 pagine se non ne fosse valsa la pena.
Di che parla Il libro dei numeri? Molto più facile dire di cosa non parli. Romanzo di Internet, vita tragicomica di uno scrittore disperato, storia di un autore disperato di nome Joshua Cohen chiamato a scrivere l’autobiografia di un magnate inventore di un motore di ricerca, anzi, DEL motore di ricerca, che si chiama come lui Joshua Cohen. Giallo di spionaggio industriale, e di trame di potere sottese. Storia di un amore naufragato e dei suoi strascichi legali. Libro che indaga i complessi rapporti tra genitori e figli, o meglio tra un figlio e una madre alle prese con un trauma adolescenziale grande quanto un palazzo, la Shoa. Storia dell’11 settembre e dei suoi risvolti nella psiche degli americani. E poi milleduecento altre trame ancora.
Un libro del web, un libro digitale per tutto e in tutto, che però non può fare a meno della sua forma di carta. Questo, per dire, l’incipit che per nel mio caso è valso l’acquisto: “Se state leggendo questa storia su schermo, andate a fanculo. Parlerò solo se sfogliato come di deve”.
E come fai a non comprarlo? Anche se non ha i capitoli, e le sue pagine sono numerate in codice: da 1.03 a 1.213 e poi da 0.217 a 0.540, infine da 1.543 a 1.745. E non pagine normali, sia chiaro. Ma un insieme di flussi di coscienza, capitoli normali, pagine di un blog, parti in bozza, con tanto di cancellature, chiose a margine e una genialata di chiusa finale, mi perdonerete lo spoiler. L’ultima pagina recita infatti: “Cambia ogni singola partola”.
Vale la pena leggere Il libro dei numeri? Indubbiamente. E’ facile leggere Il libro dei numeri? Come scalare l’Everest. Metafora è calzante perché l’approccio è lo stesso di quello dell’uomo con la montagna: puoi vivere benissimo a guardarla da lontano, puoi fermarti ai primi 500 metri e vivere felice, ma se scavalli i duemila metri, a quel punto sei folle al punto giusto per non poterti più fermare.
Un altro bel conto è, al limite, ragionare ex post sulle dimensioni: se le pagine fossero state, a occhio, 300-350 in meno, mi sento di dire che nessuno si sarebbe offeso. Troppe pagine si possono saltare (Pennac lo permette) e a quel punto, se quella sensazione diventa prassi, forse l’editor un rimorso dovrebbe averlo.
Ma è un discorso che vale soltanto prima di cominciare: io, che ho vinto la cima pochi giorni fa, dopo un lungo corpo a corpo testimoniato dalle condizioni finali del libro (vedi sopra), posso bearmi dell’impresa finita e dirvi, onesti lettori, che se sono qui, sul cocuzzolo, è perché il buon Cohen sa di esagerare, ma consapevolmente o meno sa dosare elementi di puro genio per vietarti di lasciare.
Puro genio nella trama, nella follia compositiva, in certe considerazioni del nostro rapporto con internet e IL suo motore di ricerca. Tutto ciò fa di Cohen un autore da tenere d’occhio, a ogni costo. Consci del fatto che sia un po’ folle. Come i migliori, d’altronde.
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