Un uomo solo al sicuro. L’unico che non dovrebbe esserci, Francesco Schettino. Mentre la sua nave s’inclinava lui scappava, per cercare riparo da se stesso e dagli abissi. Di corsa verso la scialuppa, approdo in punta di scoglio, un taxi appena raggiunto il molo, in albergo con tè caldo, biscotti e morbidi cuscini. Senza sapere che proprio quella via di fuga lo avrebbe trascinato sul fondo, legato mani e piedi al rimorso dei morti e alla condanna dei vivi.
“Dice che non voleva andarsene, che è scivolato nella barca di salvataggio, che aveva paura del buio e mentre fuggiva avrà salutato gli altri: non siamo lontani da terra, ci rivediamo in città…”. David Lettermann dipinge così il capitano di lungo corso e scarso coraggio, partito da Meta di Sorrento e salito sulla grande ribalta a 52 anni. Per gli americani è il ritratto dell’italiano medio, fanfarone e codardo. Non sanno che gli italiani in realtà stanno dalla parte di un altro comandante, che guida le operazioni via telefono ma dà del vigliacco al collega naufrago intimandogli di risalire a bordo mentre altri quattromila stanno scendendo e per questo viene eletto eroe nazionale. Intanto però, quella triste parodia nel talk più famoso del mondo consacra definitivamente Schettino come protagonista dello star system: eroe o vigliacco fa lo stesso, basta che lo show vada avanti.
E così è. Sul web impazza la sua immagine pacioccona, con divisa e sorriso di ordinanza, sulla copertina di una hit parade ispirata al mare, o in frac con papillon nero ad una serata di gala fra gente che balla e ride. Nelle ricostruzioni della tragedia la definizione più gentile è capitan coniglio, ma lo chiamano anche latin lover da strapazzo quando l’amica Domnica che si trovava in plancia con lui al momento dell’incidente confessa che “quella sera era particolarmente affascinante e senza il naufragio sarei finita di sicuro nella sua cabina”. C’è chi lo ricorda come impegnato soprattutto in cene e brindisi con belle donne, chi cita una crociera costellata di guai a New York ma emergono anche testimonianze su una gigantesca nave pilotata in mezzo ai fiordi norvegesi senza nemmeno un graffio. “Di sicuro non è un mostro” grida il giorno dopo il naufragio la moglie, Fabiola. Ma da allora è sceso il silenzio su ciò che resta della famiglia e la signora non compare più al fianco del marito.
Nel frattempo lui, Schettino, sembra uno special guest piuttosto che un indagato e a differenza di quella notte sotto le cellule fotoelettriche, sotto i riflettori non si tira mai indietro. Prima ammette di aver sbagliato manovra poi nega accusando il timoniere, prima giura che non salirà più su una nave poi ricorre contro il licenziamento, prima chiede scusa ai familiari degli scomparsi poi si definisce la vera vittima di quanto accaduto al Giglio. E con la stessa nonchalance con cui cambia atteggiamento, cambia abito quattro volte quando si presenta al processo, non a caso in un teatro, sempre con cravatta in stile e i riccioli impomatati al punto giusto. Sempre ilare, ciarliero, anche galante con la giornalista che riceve per l’intervista tv: “Vuole il baciamano o l’inchino?”. Un tragicomico lupetto di mare, che non ha perso né il pelo né il vizio.