ENCANTADOS, señor Montella. Per il gioco, per lo spirito, per la leggerezza dell’essere che non rischia di diventare superficialità, per la fierezza che rifugge dalla presunzione, quel sentirsi ogni volta all’altezza giusta nel momento giusto: mai troppo superiori, mai
troppo inferiori, sempre in grado
di giocarsela alla pari, qualunque
sia l’avversario.
Ripensando alla Fiorentina degli ultimi due anni sembrano cose turche. Invece son spagnole, anzi catalane, o meglio català, non scordiamoci l’accento sennò i nazionalisti
si offendono, anche se dopo una vita di battaglie finisce che appena arriva la crisi vanno in ginocchio a Madrid per chiedere aiuto. Ma tant’è.
Quando si tratta di pallone
invece Barcellona ha più da insegnare che da imparare. E frugando nell’immaginario dei tifosi di tutto il mondo, se si cerca un’immagine che rappresenti il top la più recente è senza dubbio la squadra di Guardiola. Una squadra che, per certi versi, sta riprendendo forma a Firenze in questo brillante inizio di stagione. L’importante è
non dirlo all’ertefice primo, cioè Vincenzo Montella che non ha mai amato i paragoni, nemmeno da giocatore e neanche quando si
tratta di accostamenti prestigiosi. In questo caso poi si metterebbe a ridere perchè la sua creatura è appena nata, la sta plasmando un poco alla volta con una pazienza enorme
e grandi sacrifici perchè non può mica permettersi i fior di campioni che aveva il Pep e ora ha Vilanova. Ci vuol ben altro per arrivare
a quei livelli, insomma.
Ma nel frattempo l’impianto tattico della Fiorentina somiglia molto al Barça delle meraviglie, partendo dallo snodo fondamentale
di ogni squadra che si rispetti e cioè il centrocampo. Con una linea mediana fondata sul doppio player, in questo caso Pizarro e
Borja Valero, hai il vantaggio di non sacrificare la costruzione della manovra anche nei momenti di maggior pressione avversaria. Al
contrario della Juve, tanto per fare un esempio recente, che fa passare tutto il gioco dai piedi di Pirlo e se una mattina si veglia male lui o resta intrappolato com’è successo contro i viola, venirne fuori diventa un’impresa.
E poi il possesso palla, altro cardine del gioco blaugrana sul quale si è discusso per anni e che farà sempre storcere la bocca a chi ama il
calcio col fuoco dentro. Il possesso palla, utilissimo in certe occasioni sul piano tattico e anche sotto il profilo psicologico come provocazione contro avversari che devono
recuperare, è di una noia mortale. Il grande Barcellona ha giocato anche partite orribili, solo tocchi laterali o retropassaggi a ritmi da scapoli-ammogliati, solo che si cerca sempre di ricordare solo le cose belle. E infatti anche domenica sera, al fischio finale, il pubblico viola aveva già archiviato la squadra ingessata e monotona dei primi minuti. Tutto merito di palloni tagliati con precisione millimetrica,
di aperture spettacolari, di inserimenti
velocissimi, altri dettagli in perfetto stile Barcellona. Come il modulo, classico 3-5-2.
Certo, se Ljajic avesse anche fatto gol si chiamerebbe Messi. E Jovetic,
fra parentesi, ci starebbe benissimo (anche
con Messi). Ma non mettiamo limiti alla provvidenza: magari una mattina, uscendo di casa, si scoprirà che a Firenze c’è il mare
e che per andare allo stadio bisogna prendere le ramblas…