Tutto ci si poteva immaginare, meno che una domenica bestiale. Brutta la Fiorentina, la peggiore della stagione. Brutto il Chievo, tornato d’un botto allo stato depressivo pre-Corini. Uno scempio l’operato del signor Guida, che magari a qualcuno potrà piacere come uomo ma come arbitro non si può guardare, arrivato a Verona da Torre Annunziata per dare un senso compiuto all’anagramma più facile del suo cognome: Giuda.
Il tradimento si consuma con due rigori negati ai viola. Uno, il secondo, clamoroso: quando Jokic falcia in piena area Roncaglia, non sa nemmeno dove sia il pallone e non gliene può fregar di meno. Con lui, il signor Giuda, che dalla sua posizione vede benissimo (se così non fosse dovrebbe cambiar mestiere). Discutibile, invece, il primo episodio: la palla rimbalza sulla gamba e poi sul braccio di Hetemaj che per la verità si abbassa con perfetta scelta di tempo, il che fa propendere per la volontarietà. Ma quando c’è di mezzo l’interpretazione dell’arbitro resta sempre un certo margine di discrezionalità e quindi diamo per scontato, appunto, che si tratta di episodio discutibile.
Esattamente quello che avevamo detto dell’intervento di Toni a Parma (mano con braccio allargato). Solo che quel giorno era rigore, ieri no. E allora i casi sono due: o si stabilisce che in area si può giocare anche a pallavolo o si applicano regole non più da interpretare ma molto chiare e uguali per tutti. Altrimenti, con il passare delle giornate e dei torti subiti, anche i più accaniti sostenitori del fair-play perderanno la pazienza dando ragione agli Zamparini e ai Cellino.
Non solo. Arbitraggi come quello di Verona rischiano di provocare un doppio danno alla Fiorentina, che in questo modo avrà un ottimo alibi per giustificare se stessa anche quando sarebbe ingiustificabile. Al netto del signor Giuda, infatti, ieri la squadra di Montella si è presentata in campo con un atteggiamento che faceva venir voglia di prenderla a schiaffi e ha profondamente deluso sia sotto questo profilo che sul piano del gioco. Rovinando la domenica agli oltre mille tifosi che l’hanno seguita fin qua sostenendola con immensa generosità anche nei momenti in cui non lo meritava.
Altro che volo d’aquila e ambizioni europee, la non sfida contro il Chievo è stata una doccia gelata che pur senza sconvolgere la classifica dei viola li riporta ad una dimensione più modesta, dove al posto dell’euforia irrompe l’esigenza di un’ampia riflessione che arrivi al mercato di gennaio passando per il peso politico della società e il diritto ad avere rispetto, come giustamente sottolineato ieri da Pradè.
Come si diceva, al Bentegodi si è giocata (per modo di dire) una non partita. Il tatticismo delle due squadre non poteva favorire il bel gioco, certo, tant’è che solo in due occasioni la Fiorentina ha sviluppato altrettante azioni da lasciare a bocca aperta: uno scambio in velocità fra Jovetic e Cuadrado con inserimento e tiro poco fuori, e il colpo di testa in acrobazia di Toni. Per il resto, della squadra incantevole e leggiadra che fino a ieri giocava il miglior calcio d’Italia, nemmeno l’ombra. Per non parlare del Chievo, preoccupato solo di chiudere gli spazi, incapace di sfruttare quelli aperti dagli avversari (Luciano, ex Eriberto, è stato il dodicesimo uomo in campo per i viola), bravo a spezzare il gioco degli altri più che a costruirne. E poi quei due gol segnati nel giro di un minuto, con la complicità di difese distratte, il fatto che la Fiorentina non accennasse nemmeno la minima protesta sul rigore negato a Roncaglia, il clamoroso calo di ritmo nella ripresa, giocatori molli e con i riflessi lenti, tutte immagini che autorizzano ad archiviare questa domenica con un solo desiderio: dimenticarla prima possibile.