Erano a Pechino quando tutto è cominciato. Hanno vinto comunque e più degli altri dai primi giorni delle Paralimpiadi. E alla fine sono arrivati secondi, a un passo dalla Cina. Di giorno la gloria, di notte l’insonnia che si nutre di impotenza e preoccupazione. Si dice che gli atleti ucraini abbiano continuato a battere tutti smettendo di dormire. L’adrenalina sciolta nell’angoscia di sapere un padre o un figlio sotto le bombe dall’altra parte del mondo sono un doping formidabile: occhi spalancati, nessuna speranza di ristoro. E quel pugno alzato in silenzio durante la cerimonia di chiusura dei giochi, davanti al manifesto che chiedeva la pace in giallo e blu, è stato un omaggio a tutti i morti immaginati da lontano, alle famiglie da cui non arriva più risposta e a chi ha ancora voglia di fare il tifo. Spiegata da Valerii Sushkevych, presidente del comitato paralimpico ucraino: "Questa è la nostra realtà. Cerchiamo di sapere se chi amiamo è ancora vivo. Sappiamo quanto la nostra partecipazione conti e siamo orgogliosi di gareggiare per loro". Guerra in Ucraina: la Russia attacca Leopoli: 35 morti in raid su base al confine polacco E a quel punto il valore della medaglia è relativo come per Grygorii Vovchynskyi, che invita a interpretare il suo bronzo nello sci di fondo con più attenzione: "Con tutto quello che sta succedendo per me questa è una medaglia d’oro. Dobbiamo essere forti insieme". Non perdeva occasione di ricordalo l’ex primo ministro di Israele Shimon Perez; nello sport si vince senza uccidere, in guerra si uccide senza vincere. In entrambi i casi conta la determinazione. La tennista ucraina Elina Svitolina non ha avuto dubbi sulla sostanza da dare alla vittoria contro la russa Potapova a Monterrey: "Sono in missione per il mio Paese, uso le mie risorse per invitare il ...
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