Roma, 24 dicembre 2012 - SE LO CERCHI, non lo trovi. Se lo trovi, sfugge. Enzo Staiola. Il faccino immortale di “Ladri di biciclette”, cresciuto nel diffidente e austero settantenne di oggi, non compare nelle agende del cinema. Scorsese e Kiarostami, Kaurismaki e Woody Allen, si commuovono sentendo il nome. L’insegnante di Mosca, il lattaio di Parigi, l’executive di Tokyo potrebbero riconoscere il moccioso per strada, a patto che il mondo, improvvisamente, diventi in bianco e nero. Il volto di Bruno è patrimonio dell’umanità. E lui? Mai stato a un programma Rai, ospite non facondo del Costanzo Show 20 anni fa, una testimonianza reticente su You Tube sei mesi fa, a cura del blog underground Dioniso Punk. I De Sica, sia Christian che Manoel, non sanno più niente. Quanta voglia di essere lasciato in pace e dimenticato, speculare al desiderio di esistere e lavorare in una carriera che non è mai partita e che certamente meritava. In realtà, poi, Staiola è lì, a Roma, passeggia per le strade della Garbatella, lavora (amministratore di condomini), fa i fatti suoi, parla un franco romanesco di quartiere, si lascia accompagnare dalla telecamera a mano del fan.

SULLA CRISI, il piccolo grande Bruno che lacrimava scoprendo il padre ladro per sopravvivenza e ingiustizia, dice: «Penso che l’Italia ce la farà, i problemi ci sono sempre stati, ogni epoca ha avuto i suoi periodi di crisi, penso che l’Italia ne ha passate talmente tante, passerà anche questa. Prima si rubava per vivere, oggi si ruba tanto per farlo, per arricchirsi, non capisco certi reati, ma purtroppo l’Italia è questo... A quei tempi c’era una povertà enorme, non c’erano macchine, non c’era lavoro, però avevamo tanta tranquillità, le persone stavano insieme, a Natale il vicino ti apriva la porta di casa o veniva a casa tua, oggi c’è indifferenza, diffidenza. Conta solo la televisione».
Dopo “Ladri di biciclette”, che Vittorio De Sica gira nel 1948 con poche lire, respingendo i ricchi produttori americani che pretendevano Cary Grant al posto dello sconosciuto Lamberto Maggiorani, dai nove ai quindici anni Staiola fa «il bambino» d’autore: “Vulcano” (1949) di Dieterle, la risposta della Magnani allo “Stromboli” di Rossellini-Bergman, “Cuori senza frontiere” (1950) di Zampa e un “Don Camillo” (1953) di Duvivier, mentre per Blasetti è il figlio dell’edicolante in un episodio di “Altri tempi” (1952).

SULL’INGAGGIO e sulla famosa scena del pianto, Staiola smentisce De Sica, che raccontava, sull’ingaggio, di averlo incontrato per caso tra i curiosi del set e, sul pianto, di avergli nascosto dei mozziconi di sigaretta in tasca: «De Sica fece cinquemila provini, poi un giorno, uscendo da scuola, vedo una macchina che mi segue, io non sapevo neanche chi era De Sica. Prese accordi con mio padre, che in un primo momento non ci stava. Io non sapevo chi era De Sica, ma mentre giravamo il film mi spiegò che cosa aveva fatto nella sua vita. Allora mi sono impressionato, mi è venuta paura di sbagliare. Per fortuna ero circondato da persone che mi hanno aiutato. Sulla scena del pianto sono state dette tante cose. Anche De Sica: gli piaceva raccontare l’aneddoto dei mozziconi, ma figuriamoci. A quei tempi tutti i ragazzini andavano per cicche, figurati se mi vergognavo e mi mettevo a piangere perché ne avevo una anch’io. In realtà ti mettevano delle gocce agli occhi, e dopo due secondi piangevi, bruciava veramente».

RICORDA la bicicletta, che oggi è un’altra cosa: «E’ bello che oggi ci siano tutte queste biciclette, che sia tornato un modo di comunicare andando in bicicletta mentre tutti corrono nel traffico...». E riprende la vicenda di set, nel memorabile finale del film: «E’ un fatto vero. C’era la partita Roma-Modena e noi eravamo d’accordo che, quando finiva, avremmo girato, perché la produzione non poteva pagare tutta la gente di cui avevamo bisogno. Così, uscendo dallo stadio, molti hanno creduto che Maggiorani avesse rubato veramente la bicicletta, e via dietro, lo insultavano e volevano davvero portarlo al commissariato. Questo era il neorealismo. E quando camminiamo, e Maggiorani mi prende la mano, ci insultavano, dicevano “vergogna”, davvero. Questo è De Sica».

L’ESPERIENZA del bambino immortale del cinema disperso nell’uomo schivo della realtà ci lascia qualcosa che non proviamo neanche a definire. Pensiamo soltanto a Bruno, ai suoi occhi di illusioni infrante e insieme grandi speranze, e pensiamo a un Robertino, oggi, in posa col microfono su Raiuno, pensiamo all’esibizionismo televisivo, al fantomatico successo promesso ai bambini lanciati come star del canto, clonati sulle mosse degli adulti davanti a genitori che non sanno più distinguere l’incanto di una vocazione scoperta nel salotto di casa dall’ambizione di vivere momenti di gloria attraverso le doti ingigantite dei figli. E’ la legge suprema (gli esperti la chiamano ontologia) del cinema, che un frammento esemplare di grande emozione perduri, come esperienza storica e come monito etico, mentre la vita si disperde e si dimentica di noi. Staiola svanisce, Bruno vive.