Roma, 26 aprile 2010 - "È la prosecuzione di ‘Giorni e nuvole', l’approfondimento di temi e umori già toccati in quel film. Alcuni miei amici volevano saperne di più. Così è venuto fuori ‘Cosa voglio di più". Chi meglio di Silvio Soldini può raccontare genesi e intenzioni del suo ottavo lungometraggio, passato fuori concorso a Berlino e da venerdì in sala distribuito dalla Warner (in 270 copie).


In realtà non si tratta di un sequel, ma di reprise delle questioni già poste nel precedente film: l’instabilità nel mondo del lavoro, l’insicurezza sociale che diventa inquietudine esistenziale, il precariato degli affetti, in una frase l’amore ai tempi della crisi. "Ho avuto una lunga chiacchierata con un’impiegata che mi ha raccontato alcune vicissitudini professionali e private - dice Soldini -. La sceneggiatura ha rielaborato aneddoti e impressioni di quell’incontro".


Ne è nato un soggetto che è quanto di più semplice si possa immaginare: un uomo e una donna s’incontrano per caso, s’innamorano, diventano amanti e rischiano di mandare all’aria progetti futuri e legami forti, lui, Domenico, un matrimonio con figli (Pierfancesco Favino), lei, Anna, una convivenza di lungo corso (Alba Rohrawacher con Giuseppe Battiston), perchè, come scrive il Jim Morrison citato dal film, "a volte basta un attimo per scordare una vita".


"È una situazione assolutamente normale, banale direi - la definisce Soldini -. Ma era questa la sfida: raccontare tutte le cesure, i passaggi d’anima e le sfumature del quotidiano. E il modo in cui alcune circostanze obiettive, la realtà, la mancanza di soldi, il senso di sfiducia nel futuro, condizionano le passioni".


L'azzardo era anche quello ''di non creare un ambiente social-pietistico, di gente che si piange addosso, che ti poteva far guardare i protagonisti come dei poveracci. Insomma la gente raccontata da Soldini è capace allo stesso tempo di affrontare le proprie difficoltà, mandare avanti la famiglia e anche vivere una storia d'amore", spiega il protagonista maschile. "D'altronde - aggiunge l'attore - è orribile pensare che solo certi possono vivere certe cose e che esistano solo passioni da copertina''.


Imbarazzo per le scene di nudo? ''Nessun imbarazzo. Se no non avremmo fatto il film'', sottolinea Favino. ''Sentivamo di essere in un ambiente che rispettava i nostri corpi e le nostre insicurezze. Insomma non eravamo castrati dai nostri imbarazzi'', dice invece la Rohrwacher.


E ancora l'attrice che nel film mostra una inaspettata sensualità: ''E' stata una esperienza totalizzante. Qualcosa di viscerale sia per me che per tutto il cast e a un certo punto ho provato anche una sorta di identificazione con Anna. Una cosa che non mi era mai capitata prima''.


Disperato più che romantico, il film suggerisce una situazione emotiva più che raccontare, lavora sulle luci, interiorizza il decor, manipola il visivo quel tanto che basta perchè in filigrana s’intraveda la vita segreta delle immagini: edifici come gabbie, strade opache che si percorrono alla cieca, quadri che non ne vogliono più sapere di stare dritti alla parete.


E primi piani sul dolore, bugie a catinelle, albe gelide nelle quali tutto ricomincia, come sempre, per inerzia e senza scopo. Sullo sfondo Milano: "Una storia del genere non potevo che ambientarla lì - continua Soldini -. Lei vive nell’hinterland e ogni giorno per lavorare viene in cento col treno. Lui in una specie di grattacielo periferico".