Ettore Maria Colombo
ROMA
«SI PUÒ

lavorare pure oltre l’8 agosto pur di approvare le riforme». Lo dice il premier, Matteo Renzi, al Tg5, dopo aver sgombrato il campo da ogni voce e tentazione di sue ‘voglie’ di voto anticipato, con un giro di parole: «I dissidenti vogliono discutere nel merito? Bene, noi ci mettiamo lì e andiamo avanti, noi non ci stanchiamo, si stancano prima loro…», aggiungendo un profetico e chiarissimo «se al Senato ci faranno gli scherzetti, cambieremo alla Camera». Lo dice apertamente il ministro alle Riforme Maria Elena Boschi. E se, nel caso di Renzi, la stoccata ai dissidenti e alle opposizioni è dura e tagliente («I ritardi dei senatori protestatari non fanno arrabbiare me, ma i cittadini italiani che vogliono le riforme»), nel caso di Boschi il concetto è diretto alla pancia di palazzo Madama. «Sono fiduciosa nella riuscita della riforma», spiega, ma «se non dovessimo finire perché resta l’ostruzionismo delle opposizioni, andremo avanti anche oltre l’8 agosto non è un dramma, vuol dire che lavoreremo di più e faremo qualche giorno di ferie in meno». L’idea, sarebbe anche buona, resta da spiegarla agli augusti e austeri senatori della Repubblica. Uno tosto come il socialista Enrico Buemi, per dire, non ci sta: «Renzi ci tratta in modo offensivo e deprimente come dei bambini, ma l’atteggiamento infantile è il suo: Renzi e i suoi stanno ancora all’asilo, ti rubano il pallone per dirti ‘senza di noi non si gioca’. Qui, però, parliamo di gente adulta. Non ci faremo intimidire».

ECCO,

se questa è la reazione di un senatore della maggioranza, figurarsi quella delle opposizioni. Reduci dalla ‘marcia sul Colle’ – e mentre il Qurinale smentisce con durezza ogni illazione di telefonate e pressioni sui senatori dissidenti — il fronte delle opposizioni prepara le prime trappole per martedì. Il 29 luglio, quando in Aula riprenderanno i lavori sul ddl Boschi, si dovrà votare (e con voto segreto perché il tema riguarda ‘anche’ le minoranze linguistiche…) su quella parte che prevede (proposta di Sel) il taglio dei deputati, oltre che dei senatori (ridotti a 150) che diventerebbero ‘solo’ 450. Una provocazione che rischia di raccogliere il consenso di molti senatori inquieti nel Pd come in FI. Morale. Se non serviva un genio della matematica per scoprire che, con oltre 7 mila emendamenti (6 mila solo quelli di Sel: ‘non’ saranno ritirati, spiegano dal gruppo al Senato, a meno di una trattativa sostanziosa su punti come l’immunità, da abolire, e le firme sui referendum, da abbassare drasticamente) il governo Renzi si è fatto il vuoto attorno. Nel Senato, si capisce. Nel Paese è un altro conto.