TRIVELLARE lAdriatico è unimpresa che comporta rischi. Come qualsiasi attività umana. Sono rischi che non cambiano se petrolio e metano li vanno a pescare nei giacimenti in mare aperto non vicino a terra i croati anziché gli italiani, ma invertendo lordine dei fattori il prodotto cambia eccome: loro si approvvigionano, noi no. Il paradosso Italia sta tutto qui: in un paese che ha fatto la scelta irreversibile di rifiutare il nucleare, ma è circondato da centrali atomiche funzionanti oltre i confini. Che vuole lenergia pulita, ma si scontra in continuazione con i vari fronti del no appena si ipotizza la costruzione di qualunque impianto di qualunque natura: dalleolico alle biomasse, dai termovalorizzatori ai rigassificatori. Siamo oltre la sindrome Nimby, quella per cui qualunque cosa può andare ma «non nel mio giardino»: siamo al no, punto e basta.
COME se le lampadine si accendessero per miracolo, il riscaldamento fosse affidato al fiato di un bue o di un asinello o le materie plastiche con le quali costruiamo il mondo dalle tazze per il caffè alle valvole cardiache potessero facilmente essere sostituite da fili di paglia intrecciati. E come se, con laria che tira, potessimo continuare a permetterci di pagare una bolletta miliardaria per comprare allestero lenergia necessaria.
La paradossale vicenda dellAdriatico è loccasione per il governo che si è già espresso, da ultimo, con il parere pragmatico del ministro dellAmbiente per imporre il problema della sicurezza energetica nazionale tra le priorità. E rompere, qualunque siano le soluzioni più o meno verdi, quel muro di ottusità che sempre più scambia la precauzione con limmobilismo: lambiente va protetto, la sicurezza delle persone e dei territori viene prima di tutto. Ma non fare nulla non è uno scudo, è solo una fuga a prezzi altissimi. I rischi industriali, in quanto tali, vanno gestiti e la risposta non può continuare a essere il non decidere. Siamo tra i primi paesi europei per riserve di petrolio. Potremo incrementare la produzione di idrocarburi entro il 2020 (si parla di 22 milioni di tonnellate equivalenti petrolio). Ma non lo facciamo. I croati, tanto per fermarsi ai giacimenti dellAdriatico, sono pronti.
Qualcuno vuole occuparsene?
Il lato e blog.quotidiano.net/giacomin
COME se le lampadine si accendessero per miracolo, il riscaldamento fosse affidato al fiato di un bue o di un asinello o le materie plastiche con le quali costruiamo il mondo dalle tazze per il caffè alle valvole cardiache potessero facilmente essere sostituite da fili di paglia intrecciati. E come se, con laria che tira, potessimo continuare a permetterci di pagare una bolletta miliardaria per comprare allestero lenergia necessaria.
La paradossale vicenda dellAdriatico è loccasione per il governo che si è già espresso, da ultimo, con il parere pragmatico del ministro dellAmbiente per imporre il problema della sicurezza energetica nazionale tra le priorità. E rompere, qualunque siano le soluzioni più o meno verdi, quel muro di ottusità che sempre più scambia la precauzione con limmobilismo: lambiente va protetto, la sicurezza delle persone e dei territori viene prima di tutto. Ma non fare nulla non è uno scudo, è solo una fuga a prezzi altissimi. I rischi industriali, in quanto tali, vanno gestiti e la risposta non può continuare a essere il non decidere. Siamo tra i primi paesi europei per riserve di petrolio. Potremo incrementare la produzione di idrocarburi entro il 2020 (si parla di 22 milioni di tonnellate equivalenti petrolio). Ma non lo facciamo. I croati, tanto per fermarsi ai giacimenti dellAdriatico, sono pronti.
Qualcuno vuole occuparsene?
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