Bologna, 4 novembre 2013 - Le pressioni Usa convinceranno i tedeschi ad adottare una politica economica più espansiva? Romano Prodi se lo augura, ma ne dubita. Se lo augura perché «da ormai sei mesi è evidente che la lotta per mettere a posto i conti non si può fare in recessione, ma deve essere accompagnata dalla crescita e dallo sviluppo».

I tedeschi ribattono: perché dobbiamo essere noi a risolvere i vostri problemi?
«In tanti, io compreso, abbiamo detto e ripetuto che un Paese non può avere un surplus commerciale come quello tedesco, proporzionalmente doppio di quello cinese, un’inflazione quasi zero e una crescita debole senza porsi il problema del rilancio. Ma tutto questo non ha avuto alcun effetto sulla politica tedesca, forse perché è mancata un’azione comune di Francia, Italia e Spagna, Paesi che hanno gli stessi identici interessi ma agiscono ciascuno per proprio conto».

Qualcosa si muoverà dopo le elezioni tedesche?
«Prima c’erano le elezioni, ora il dibattito sulla grande coalizione; il governo si insedierà a gennaio già in vista delle elezioni europee. Non mi illudo: prima di settembre-ottobre non cambierà nulla».
Nemmeno dopo la strigliata americana?
«Ne dubito molto. L’opinione pubblica tedesca è ormai convinta che ogni stimolo all’economia europea sia un indebito aiuto ai ’pigroni’ del Sud, ai quali peraltro mi onoro di appartenere. È ossessionata dall’inflazione come gli adolescenti dal sesso. Non capiscono che invece il problema, oggi, è la deflazione, come io dico da un anno».

Il nostro problema, non il loro...
«Anche il loro, perché se si spacca l’Euro, con una valuta del nord e una del sud, il loro tasso di cambio andrebbe a 2 e oltre e non venderebbero più una sola Mercedes in Europa. Gli industriali tedeschi lo sanno, ma tutto quel che riescono ad ottenere è solo una politica di piccoli aggiustamenti, piccole solidarietà, il che non basta per uscire dalla crisi».

Non fu lei a parlare di aggiustamenti ‘con il cacciavite’?
«Si, ma il cacciavite deve girare sempre e sempre nello stesso verso. È lavoro concreto, non melina, immobilismo».

Lei disse anche che l’accordo di Maastricht è ‘stupido’. Conferma?
«Allora mi misero in croce, ora tutti mi danno ragione. Ma non è stupido che ci siano i parametri come punto di riferimento. È stupido che si lascino immutati 20 anni. Il 3% di deficit-Pil ha senso in certi momenti, in altri sarebbe giusto lo zero, in altri il 4 o il 5%. Un accordo presuppone una politica che lo gestisca e la politica non si fa con le tabelline».

Si possono cambiare, quei numeri?
«Ci fosse ancora un’Europa forte sì. Ma oggi ci sono solo i Paesi e uno solo al comando, la Germania. Anche la Bce, che pure, con Draghi, è l’unico potere forte europeo e ha fatto tanto, non è onnipotente. Ha uno statuto e la Bundesbank in consiglio...».

Possiamo battere i pugni sul tavolo...
«Dovrebbero batterli insieme Francia, Italia e Spagna, ma non lo fanno perché ciascuno si illude di cavarsela da solo».

L’Italia se la caverà?
«In tre anni di austerità il rapporto fra debito e Pil è sempre aumentato. Vuol dire che è una politica sbagliata».

Possiamo abbandonarla?
«Se sforassimo i parametri i tassi andrebbero alle stelle e saremmo daccapo».

Una proposta?
«L’ho fatta: escludere temporaneamente dal computo del deficit i 51 miliardi versati dall’Italia alla solidarietà europea e usare quelle risorse per investimenti pubblici straordinari».

La ripresa può arrivare dal resto del mondo?
«La Cina viaggia appena sotto l’8%, l’America al 2%; va bene, ma non abbastanza per trainare l’Europa. In America, dove pure è iniziata la crisi, Obama ha dovuto iniettare 800 miliardi di dollari di liquidità per far ripartire l’economia. In Europa chi lo fa?».

Torniamo in Italia. Il ‘suo’ Pd per esempio?
«Per favore. Sono tornato dagli Stati Uniti sabato notte, dopo due conferenze a Harward e Brown. All’alba riparto per Mali, Burkina Faso, Niger e Ciad...».

Massimo Degli Esposti