dall’inviato Alessandro Farruggia

AGRIGENTO, 13 ottobre 2013 - «COME MARINAIO, come ufficiale, come comandante di una unità che svolge questo lavoro tutti i giorni mi sono sentita davvero ferita dalla tragedia di Lampedusa. Ho pensato: quel barcone c’è scappato. La determinazione di queste ore, è figlia anche di questo. Ci siamo detti: mai più tragedie del genere».
Il tenente di vascello Catia Pellegrino, 37 anni, leccese, è la prima donna nella storia delle Forza Armate italiane a comandare una nave miliare: il pattugliatore Libra. Ha appena finito di prestare il terzo soccorso in venti ore. È distrutta, ma non lo ammettrebbe mai.

Comandante Pellegrino, quanto è difficile passare da una emergenza all’altra?
«È un impegno totalizzante. Però si prova una soddisfazione incredibile quando si riesce a salvarli. Ogni sacrificio ti scivola sulla pelle come schizzi di acqua di mare».

Ha parlato con i profughi?
«Ho parlato e ho ascoltato. Sono una umanità dolente. Adesso si sentono al sicuro. Ma nei loro occhi c’è ancora quello che li ha portati a rischiare la morte per cercare un futuro diverso. Li muove la forza della disperazione. Non dobbiamo giudicare chi tenta una avventura simile. Dietro, c’è tanto dolore».

Quanti migranti avete salvato?
«Abbiamo a bordo 236 persone. Molte sono donne, alcuni sono bambini. Facciamo il possibile per dare loro l’assistenza che meritano. Medica, alimentare e psicologica. A volte anche un sorriso aiuta».

È stato complicato tirarli su?
«Molto, perchè spesso i barconi hanno una galleggiabilità precaria e attualmente le condizioni del mare sono tutt’altro che ideali. In questi giorni stiamo operando con mare al limite, forza 3/4. È veramente molto complesso...».

Chi ha fatto la scelta di mandare subito gli elicotteri?
«È stata una nostra decisione. Ho fatto partire subito l’elicottero, e così ha fatto la fregata Espero. Questo ha consentito di lanciare ai naufragi quattro zattere autogonfiabili e un bel po’ di giubbotti di salvataggio. E ha fatto la differenza. Quando siamo arrivati il barcone era già affondato. Se non avessero avuto le zattere o i giubbotti, in pochi avrebbero resistito in alto mare».

E non era finita.
«Era solo l’inizio. Abbiamo terminato alle 2 di notte e alle 3 siamo stati allertati per un altro gommone con 87 naufraghi. Alle 5.30 eravamo sul posto: abbiamo dato subito a tutti dei giubbotti ma abbiamo atteso fino a che faceva chiaro, le 6.15, per iniziare le operazioni di trasbordo. Il mare era grosso, il gommone era di soli 10 metri. Insomma, operazione delicata. Per portarli tutti a bordo c’è voluto fino alle 10 del mattino».

A quel punto vi siete rilassati.
«Ma quale rilassati?! Nel canale di Sicilia non c’è tempo per rilassarsi! Terminato uno, ne è subito arrivato un altro. Alle 10.15 abbiamo ricevuto l’indicazione di portare soccorso a un altro barcone con 93 persone a bordo. E abbiamo salvato anche loro».

Era quello che si aspettava quando ha deciso di entrare in Marina?
«Sono entrata per il fascino del mare, della divisa, di servire il mio Paese. Ma certo non mi aspettavo che fosse così. Quando ho avuto il comando di nave Libra pensavo di dovermi occupare di vigilanza pesca, mi sono trovata a recuperare esseri umani. Mi sento utile, mi sento bene, mi sento di fare una cosa necessaria. I numeri del resto parlano da soli. E in Marina la stanchezza non è prevista».

E con il cuore in pace, si concede una risata.