Veronica Passeri
ROMA
MAI

come ieri il governo Letta è stato vicino alla crisi. Mai come ieri le larghe intese hanno traballato, investite dalla dura reazione del Pdl davanti all’accelerazione della Cassazione sul processo Mediaset. Un Pdl nel quale la frattura tra ‘falchi’ e ‘colombe’ si fa sentire. È ormai netta la divisione tra chi è pronto ad andare fino in fondo per difendere Berlusconi – anche bloccando i lavori parlamentari — e chi ricorda che chi colpisce il Cavaliere intende far fuori il governo Letta, che va invece salvato. Strenuo difensore della tenuta dell’esecutivo in un momento delicatissimo per il Paese è Napolitano che in serata riceve il premier al Colle. Il messaggio del Quirinale è chiaro: abbassare i toni e andare avanti, le polemiche non devono fare perdere ai partiti il senso di responsabilità.
Il premier, convinto che Berlusconi non abbia per il momento davvero interesse a fare cadere il governo, mantiene fermo l’impegno a «lavorare, lavorare, lavorare» attuando il programma dell’agenda delle larghe intese come unica ricetta contro le fibrillazioni della maggioranza. E poi fa sapere al Pdl, tramite il ministro Dario Franceschini, di rispettare le dinamiche interne ai partiti ma, attenzione, «Con le minacce di Aventino si rischia di fare saltare tutto. Il governo non può più lavorare e io ho già detto che non accetto di fare il premier a ogni costo». Il clima di tensione non può continuare e non si possono bloccare i lavori parlamentari per un’autonoma decisione della magistratura.

SE NEL PDL


si discute tutto il giorno sulla linea da tenere da qui al 30 luglio, data dell’udienza della Cassazione, il Pd si divide davanti all’aut aut lanciato dal centrodestra sulla sospensione dei lavori parlamentari. I vertici del partito decidono che si debba votare sì (voto a favore anche da Scelta civica, che invita però a mettere da parte le fibrillazioni per riprendere il lavoro) alla sospensione per un giorno e da qui nascono maldipancia e distinguo tra i democratici. Fino ad arrivare al ‘processo’ alle larghe intese, rimaste indigeste a larghi settori del partito.
I primi ad uscire allo scoperto sono i renziani secondo i quali avallare, seppur con la copertura della legittimità di un’assemblea dei gruppi, l’aventino dei berlusconiani è «un suicidio politico».
«HO VOTATO

per responsabilità — racconta Simona Bonafè — ma è un autogol micidiale». «La Camera sospende i lavori fino a domani di fatto per protesta contro la Cassazione. Precedente grave. Io non ho capito e non ho votato», scrive Gentiloni su Twitter. Contrari anche i dalemiani («Facciamo la figura di quelli che calano le braghe davanti al Pdl»), Pippo Civati e Rosy Bindi secondo la quale la vicenda è da «eversione istituzionale». In serata la richiesta di convocazione urgente del gruppo con l’obiettivo di «chiarirsi». Intanto il segretario Epifani intima di tenere distinte le vicende giudiziarie di Berlusconi da quelle del governo. E avverte: «Questo nodo deve essere sciolto tenendo separate le due sfere, perché se no, a furia di tirare, la corda si spezza».