ROMA
IL DECANO
dei vaticanisti, Gianfranco Svidercoschi (ha lavorato anche per i nostri giornali, oltre che essere stato vice direttore de L’Osservatore romano), ne ha davvero viste di tutte.
«La prima conseguenza per la vita della Chiesa sarà che la possibilità di una rinuncia diventerà forse una regola. Per cui il Papa quando inizierà a sentirsi in condizioni non ottimali potrà dare le dimissioni».
Finora la vita della Chiesa era scandita secondo i ritmi dell’elezione e della morte del papa, e ciò rappresentava una forma di difesa: tutti sapevano che fino a quando il Papa era in salute ogni tentativo, interno ed esterno, di scalzarlo era inutile. Adesso cambia tutto.
«Si, è possibile, e la Chiesa dovrà fare i conti con questo aspetto. Ma ricordiamoci soprattutto che a questo punto il nuovo papa troverà azzerate tutte le cariche interne alla Gerarchia, e potrà approfittarne».
E’ prassi che le cariche decadano con la morte del Pontefice regnante.
«Si, ma stavolta il Papa decaduto non è morto, e tutto cambia».
Che conclave sarà?
«Il sacro collegio è sbilanciato rispetto alla realtà geografica della Chiesa e ci sono troppi elementi provenienti dalla Curia».
Ma non è detto che gli europei votino un europeo...
«No, però possono fare combine tra loro. In ogni caso lo scontro sarà interno».
Tra quali forze?
«Da una parte c’è una Chiesa molto curiale molto auto-referenziale, bloccata su se stessa; dall’altra una Chiesa più aperta, quella uscita dal Concilio, ma bloccata anche lei dall’esistenza delle forze contrapposte».
Chi conta di più?
«Secondo me conterà una certa forma di reazione contro la Curia, per tutto quello che è capitato là dentro negli ultimi tempi. Alcuni cardinali che contano, come quello di Parigi, l’hanno già fatto capire».
Vede un favorito?
«Vedo sfavoriti tutti quelli che hanno a che fare con la Curia. E vedo favorito un cardinale che si impegni durante il conclave a una seria riforma della Curia romana».
Il canadese Ouellet?
«E’ stato vescovo ma adesso da qualche tempo è in Curia. Vedo bene qualche altro nord-americano, il brasiliano Scherer, vedo un certo recupero di Maradiaga».
Scola?
«E’ l’unico italiano che può essere considerato, ma è troppo legato a un movimento, e in un momento in cui la Chiesa deve ritrovare la sua autonomia dai movimenti».
L’austriaco Schomborn?
«Potrebbe essere, anche se è un po’ fragile di decisione: quando era rettore del seminario per rimbrottare un seminarista gli mise un biglietto sotto la porta perché non aveva voglia di affrontarlo direttamente. Poi qualche tempo fa si scontrò duramente con Sodano»
E Sodano è uno che non dimentica.
«Per niente».
Pierfrancesco De Robertis