Antonella Coppari
ROMA
PRUDENTI

ma soddisfatti. Dopo la maratona notturna a Palazzo Chigi, nessuno dei protagonisti si rimangia nulla: segno che la faccenda è seria. Saranno pure stati dettati solo i titoli — non tanto per il lavoro quanto per la giustizia — ma Alfano, Bersani e Casini si sono impegnati a raggiungere un accordo. Resta intricato il nodo Rai: Monti l’altro ieri ha squadernato sul tavolo tutte le ipotesi, dal rinnovo del consiglio di amministrazione a legislazione vigente, fino alla riforma della governance passando per il commissariamento dell’azienda, anche senza seguire le procedure del codice civile. Per trovare la quadra, ha ventilato l’idea di rafforzare i poteri del direttore generale tanto da farlo assomigliare a un commissario in grado di mettere a posto i conti della tv pubblica, spostando in avanti il rinnovo del cda. Sale sulle barricate il Pdl, resta guardingo il Pd. E questo mentre il ministro competente, Passera, avanza un’altra proposta: rivedere l’intero assetto di vertice dell’azienda a fine anno, quando scade il contratto di servizio che lega la Rai allo Stato. Se ne ridiscuterà, forse già la prossima settimana. Netto Casini: «Dopo le amministrative ci sarà più serenità». Quando scadrà il termine fissato per la questione delle frequenze.

MA IL

fatto che si sia iniziato a parlare di questo tema senza che qualcuno sbattesse la porta è considerato già un successo dal premier. Che è contento perché sa d’aver in tasca una cambiale che la maggioranza dovrà onorare. Insieme alla consapevolezza di poter controllare più di prima i partiti. Per centrare gli obiettivi nei tempi concordati e in stretto contatto con il Quirinale, il professore incontrerà periodicamente i presidenti dei gruppi che lo sostengono per facilitare l’attività delle Camere sulle sue proposte. Punta a coordinare meglio il rapporto con il Parlamento, finora segnato da richieste di fiducia e scivolate su singole votazioni. Monti incassa pure l’istituzionalizzazione degli incontri fiume: «D’ora in poi ci sarà sempre la dialettica fra i partiti», gongola Casini che vede le sue tesi divenire realtà. E poco importa se, come dicono Bersani e Alfano, «nel 2013 non ci sarà nessuna grande coalizione»: pure Napolitano è cauto. Ritiene «un volo troppo ardito» il paragone tra l’Unità d’Italia e questo rapporto a tre. Il governo regge, il metodo “Montelli” — una botta qua e un’altra là — pure: i Democratici se la devono vedere da un lato con la Cgil che frena sul lavoro, e dall’altro con Vendola.

Ma la

fine della partita è vissuta come una liberazione da Bersani, che sulla giustizia ottiene interventi sulla responsabilità civile dei giudici e sulla corruzione, essenziali per limitare gli assalti di Di Pietro. Subisce la revisione delle norme sulla concussione che, adombra più d’uno, potrebbero avvantaggiare Berlusconi nel processo Ruby. Il Cavaliere ieri ha dato disco verde ad Alfano, che non ha nascosto di essersi «sentito accerchiato» in questo campo nel vertice: alla Severino viene assegnato il compito di coordinare le operazioni sulla giustizia, compreso l’intervento sulle intercettazioni. Malgrado le rassicurazioni di Monti sul contributo dello Stato, il Pdl insiste: «Il costo della riforma del lavoro non lo possono pagare le piccole imprese». Sullo sfondo resta la questione della crescita...