Draghi blinda Di Maio. Nessun rimpasto, meglio il voto

Il premier non ha nessuna intenzione di rimuovere il numero uno della Farnesina in questo momento. Diplomazie al lavoro per limare la risoluzione grillina che vuole fermare le armi a Kiev. Sarà votata domani

Il ministro Luigi Di Maio e il premier Mario Draghi (Ansa)

Il ministro Luigi Di Maio e il premier Mario Draghi (Ansa)

"Siamo pronti a mediare, non a farci commissariare" è il mantra di palazzo Chigi. Altrimenti l’esecutivo non c’è più. Né il premier accetterebbe ipotesi di appoggi esterni: se il Movimento 5 Stelle intendesse strappare la strada sarebbero le elezioni. Per ora, nessuno ci crede. Non che, nel governo, non ci siano timori. Si aggirano già parole come "verifica", "rimpasto", "crisi".

Il M5s scarica Di Maio. "Non ti cacciamo, vattene tu"

Del resto, se Di Maio desse vita a nuovi gruppi parlamentari ci sarebbe "un fatto nuovo": Draghi non potrebbe non tenerne conto, il Capo dello Stato neppure. Di Maio resterebbe ministro e sempre agli Esteri? Per Draghi sì, non ci piove. Non è pensabile cambiare un ministro con una crisi internazionale in corso o delegittimarlo. Ma il M5s, non più rappresentato da Di Maio, al governo, che farebbe? E gli altri partiti? Facile prevedere almeno un rimpasto, nuovi assetti di coalizione, un nuovo passaggio alle Camere per la fiducia, oltre a quello – doveroso – al Colle. Mattarella da tempo ha fatto sapere che l’Italia resta fedele alla sua tradizione di politica estera europeista e atlantista e attende il voto in Parlamento alla vigilia del vertice Ue, prima del quale incontrerà al Quirinale, come di consueto, Draghi e i ministri interessati ai temi in agenda. Ma prima del verificarsi dello scenario “fine di mondo“, meglio non fasciarsi la testa.

A palazzo Chigi lavorano sul day by day e l’accordo tra i partiti di maggioranza (che si vedranno oggi per stilare il testo definitivo) sulla risoluzione sull’Ucraina, in buon parte, è già scritto. Opera del sottosegretario agli Affari Ue, Enzo Amendola, non contiene nessun riferimento allo stop alle armi, ma l’impegno a un maggiore sforzo diplomatico nell’approccio alla guerra oltre a recepire l’ordine del giorno del Consiglio Ue. Sull’intesa, però, incombe il terremoto in atto nel Movimento. Il testo, che sarà votato domani al Senato e mercoledì alla Camera, dopo le comunicazioni del premier Mario Draghi, sarà oggetto di un’ultima mediazione oggi pomeriggio, quando Amendola vedrà i capigruppo dei partiti. Manca da scrivere l’ultimo dei sei punti della risoluzione, quello sull’approccio dell’Italia alla guerra in Ucraina, il più delicato. I 5 Stelle, dopo tanto rullar di tamburi, non chiedono più, come riportava una bozza preliminare di un gruppo di senatori, a dire basta tout court all’invio di armi, ma vogliono inserire concetti più generici come la de-escalation militare e il protagonismo dell’Italia nello sforzo diplomatico. Se sarà così, il resto degli altri partiti non farà storie. Ma i pentastellati vogliono anche, nero su bianco, la centralità del Parlamento nelle scelte sul conflitto. Un punto su cui serve un supplemento di riflessione, anche nella stesura – spiegano fonti dem – perché "non si può imbrigliare il governo in una situazione così delicata e fluida". La mediazione finale, insomma, sarà complicata. In casa dem la principale preoccupazione è che non si metta in discussione il sostegno a Draghi. Un eventuale strappo sull’Ucraina, inoltre, "determinerebbe l’addio al campo largo", ma il Nazareno, dove si tengono buoni rapporti con Conte come con Di Maio, non ci si vuole ingerire in casa altrui e si prova solo a mediare.

Sull’importanza del dialogo e non delle armi insiste anche la Lega, ma pure tra gli ex lumbard molti non vogliono mettere in crisi né il governo né la legislatura. Grande apprensione per la crisi nei Cinque Stelle circola anche nel resto della maggioranza, dai centristi a FI, anche se Matteo Renzi assicura: "non ci sarà alcuna crisi".

Intanto, Draghi lavora alle sue comunicazioni: spiegherà la sua strategia per la descalation diplomatica, parlerà dei viaggi in Ucraina, Turchia, Israele, rimarcherà che l’Italia non si può sottrarre dagli impegni in sede Ue e Nato. Ma se il M5s insistesse sul no all’invio di armi si aprirebbe una crepa insanabile nella maggioranza e il rischio di elezioni anticipate non è più irreale. Ma prima, al Colle resterebbero aperte due strade: rinviare il governo alle Camere per vedere se gode ancora di una maggioranza o dare vita a un governo di minoranza per attuare riforme e Pnrr.