Il Movimento scarica Di Maio. "Non ti cacciamo, vattene tu"

Il Consiglio M5s sfiducia l’ex capo politico: "Al governo non ci rappresenti più". Conte: rammarico per le sue parole

Luigi Di Maio, 35 anni, al governo dal 2018, ha sempre avuto ruoli primari nel M5s

Luigi Di Maio, 35 anni, al governo dal 2018, ha sempre avuto ruoli primari nel M5s

Luigi Di Maio non sarà espulso ma Giuseppe Conte farà di tutto perché il ministro degli Esteri esca da solo dal M5s. "Non ci sono margini per ricucire nulla – spiegava ieri sera una fonte interna poco prima dell’inizio del Consiglio Nazionale del Movimento – il tema è come e chi la chiude, bisogna capire se Luigi Di Maio sa dove andare e se vuole farsi cacciare". Anzi, tanti parlamentari contiani e anche chi ha parlato con il presidente M5s riferivano che la strategia sia proprio questa: "Luigi? Se vuole se ne va via lui". Ma si fa di tutto per accompagnarlo alla porta. E il guanto della sfida sarà rappresentato da un documento con cui lo stesso Consiglio Nazionale grillino certificherà che il ministro degli Esteri non è più "espressione" del M5s, di fatto aprendo così un problema politico non solo con Di Maio, ma anche – e soprattutto – all’interno del governo.

Draghi blinda il suo ministro. Nessun rimpasto, meglio il voto

Ma questo, al momento, non sembra interessare Conte, il cui unico scopo pare quello di eliminare il "problema Di Maio". E l’unico modo per farlo senza passare alla storia come colui che ha cacciato Di Maio dal M5s è di rimarcare come ora il ministro degli Esteri non parli a nome del partito quanto a nome della "sua" fronda atlantista, specie quando interviene sulla questione delle armi da inviare in Ucraina. In più, ora Di Maio non ha incarichi all’interno del partito e non può attaccare il Movimento di cui fa parte. La situazione è incandescente, il partito brucia. Sul tavolo dei vertici grillini è approdato ieri, in una discussione che si protratta fino a notte fonda, quello che nel mondo pentastellato ormai è diventato “il caso Di Maio”. L’ultimo pretesto per litigare è stata la pubblicazione di una bozza di risoluzione scritta dai senatori M5s, mai fermata dall’ex premier e disconosciuta solo una volta diffusa. In questo testo viene chiesto che domani, quando Mario Draghi farà le sue comunicazioni in vista del Consiglio europeo, il Parlamento voti per lo stop all’invio delle armi a Kiev. Il ministro degli Esteri ha accusato il suo partito di essere anti atlantista e contro l’Ue. A raffica i vicepresidenti M5s sono andati a muso duro contro Di Maio. L’attacco più forte è arrivato da Riccardo Ricciardi che ha parlato di lui come un "corpo estraneo" da espellere. Salvo poi ritrattare con il passare delle ore dicendo che "non si parla di espulsione, ma della necessità di un chiarimento politico".

Conte ha lasciato trascorrere l’intera giornata affinché un po’ di polveri si depositassero sul terreno. Ai suoi ha confidato di non voler forzare la mano procedendo verso l’espulsione, ma ieri ha poi espresso nel Consiglio M5s "forte rammarico" per le parole di Di Maio. Dentro il Consiglio nazionale sono pochi i dimaiani, anche perché l’organo al vertice del Movimento è di stretto controllo di Conte. Ma cacciare Di Maio, il ministro degli Esteri, fedelissimo di Draghi e ormai accreditato nelle cancellerie europee e non solo, è questione davvero troppo grande con una guerra in corso e con la pandemia che potrebbe tornare a mordere in autunno. Per non parlare della crisi energetica e dell’alleanza col Pd: troppo anche per uno spregiudicato come Conte.

E così il Consiglio nazionale ribadirà la linea "pacifista" del M5s chiarendo tuttavia, come ha detto la vice ministra Alessandra Todde, che è anche l’unica in campo per il M5s: si punta anche nella possibilità di un accordo in maggioranza in vista della risoluzione da votare in Senato domani, in occasione delle comunicazione di Draghi sul Consiglio europeo. Per il dopo, quando cioè si sarà consumato lo strappo tra Conte e Di Maio almeno sul piano politico, restano da misurare le forze in campo: sono molti i parlamentari, specie alla Camera, che non apprezzano molto la gestione del Movimento affidata a Conte, "ma non tutti sono dimaiani, e ancor meno sono pronti a esporsi subito in un’eventuale scissione", raccontano a Montecitorio. Quindi non è certo che il ministro degli Esteri sia in grado di formare un gruppo parlamentare, se dovesse decidere di uscire spontaneamente. Ma questo è un altro capitolo della storia, ancora tutto da scrivere.

In ogni caso, la sfiducia del M5s non metterebbe assolutamente in discussione il ruolo di Di Maio nell’esecutivo: "Diventerebbe una sorta di ministro tecnico", si sostiene da più parti anche se a pesare, sul fronte interno, è proprio il pulpito ministeriale da cui sono venute le bordate anti Conte. Quindi, è l’argomentazione dei “contiani“, non si può far finta di niente. E ormai tra le due fazioni appare impossibile qualsiasi strada di dialogo. Piuttosto nel partito si parla solo di chi andrà con chi e quando.