Crisi di governo, muro contro muro. Il voto sembra più vicino, ma uno spiraglio resta

L’irrigidimento del centrodestra fa crescere l’ipotesi di elezioni in autunno. Se Draghi confermasse le dimissioni, il Colle scioglierebbe subito le Camere

Mario Draghi (Ansa)

Mario Draghi (Ansa)

Roma, 16 luglio 2022 - Il primo dei cinque giorni che portano al momento decisivo, cioè alle comunicazioni che il premier terrà mercoledì prossimo alle Camere, inizia male e finisce peggio. Le dimissioni, stavolta irrevocabili, di Mario Draghi diventano più probabili, e di molto. Lega e Forza Italia iniziano la giornata marciando uniti: no a un governo con i 5 Stelle e soprattutto "pronti al voto". I centristi, da Italia viva ad Azione, dicono no al governo con i grillini, sì a un Draghi-bis, ma no al voto. Solo il Pd tiene botta sulla linea del Colle, ma si fanno sempre più insistenti le voci di chi (Stefano Bonaccini, Matteo Ricci, che paragona il M5s di Conte ai "gilet gialli") vuole rompere l’alleanza in vista delle prossime Politiche con il partito che ha provocato il terremoto. Lo stesso Letta confida ai suoi: "Non potremo far finta di niente".

Confindustria, l'analisi sull'Italia fra crisi e inflazione record. "Scenario molto incerto"

Poi il Pd attacca Lega e Forza Italia perché giocano di sponda con Fratelli d’Italia, che il voto lo chiede a gran voce e che con Meloni esulta: "Dubito che la crisi rientrerà". Persino uno ottimista di natura, Bruno Tabacci, vicino a Draghi, dalla tribuna del congresso del Psi, dice: "Se queste sono le premesse, la legislatura si chiude". Anche Di Maio, che continua a chiedere di andare avanti con Draghi, alza le braccia: "Se Conte ritira i ministri, è la fine del governo".

Approfondisci:

Il centrodestra di governo. Salvini e Berlusconi, veto sui 5S. Ma una parte tifa Draghi

Il centrodestra di governo. Salvini e Berlusconi, veto sui 5S. Ma una parte tifa Draghi

Ecco, i 5 Stelle. Tra una riunione e l’altra del Consiglio nazionale, si scopre che Conte avrebbe chiesto ai tre ministri pentastellati di dimettersi dal governo, salvo poi smentire. E i tre – D’Incà, Patuanelli e Dadone – avrebbero risposto picche, ma per ora non intendono uscire dal partito. Molti parlamentari, però, sì. Si parla di 30 deputati e 10 senatori pronti a passare dentro Insieme per il Futuro, il partito di Di Maio. Basterà a Draghi? Pare proprio di no.

Sembra infatti, come spiegano i suoi, che il premier "voglia il M5s nel governo, col simbolo presentato alle Politiche 2018". "Senza, se ne va", aggiungono. Draghi peraltro è descritto dai suoi come "fermissimo, determinato: non cederà a ricatti, veti, ultimatum di chiunque". Esiste semmai un dubbio circa il famoso vincolo esterno. Potrà fargli cambiare idea? La Russia ha attaccato il premier, nella Ue sudano freddo, Biden "segue l’evoluzione della crisi" e pure in casa Nato sono molto preoccupati. Analoghe pressioni arrivano da più vicino, dal Vaticano al sindacato ("Serve un esecutivo nel pieno delle sue funzioni", ha detto ieri Landini). E avranno il loro peso.

Dunque? Qui entra in gioco l’altro attore, il Colle. Stabilito che, da qui a mercoledì, il Colle tace, esce di scena, perché spetta agli altri (partiti, premier) parlare, il sentiment diffuso negli ambienti parlamentari è che le dimissioni di Draghi saranno irrevocabili. Il premier, cioè, dopo il suo discorso e una volta concluso il dibattito parlamentare, eviterebbe il voto, salendo al Colle a confermare l’addio. In quel caso, dato che "non esiste un solo caso di dimissioni di un premier rifiutate per due volte", il capo dello Stato ne prenderebbe atto, pur se a malincuore, e scioglierebbe subito le Camere.

Il Quirinale, però – ecco la novità – non darebbe luogo a consultazioni per cercare di formare un nuovo governo (che sarebbe un governicchio), ma, dato che la legislatura si avvia comunque alla sua fine naturale (marzo 2023), firmerebbe la sera del 20 luglio il decreto di scioglimento. Vuol dire accelerare le pratiche (per indire i comizi elettorali servono almeno 60 giorni) per votare al più presto: il 2 ottobre o, meglio ancora, il 25 settembre. Draghi resterebbe in carica per il "disbrigo degli affari correnti" ma, dato che non ha mai ricevuto un voto di sfiducia, potrebbe fare alcune cose, tutte importanti, rispetto a un premier sfiduciato. Il decretone di fine luglio su gas e soldi a famiglie e imprese (che dovrebbe essere convertito, però, dalle Camere sciolte), già in lavorazione, e la preparazione della manovra economica. Poi, dopo il voto, il nuovo governo politico uscito dalle urne, cui sempre Draghi passerà la campanella (con le elezioni il 25 settembre non si insedierebbe prima di metà o fine ottobre), potrebbe cambiarla, in tutto o in parte. Scenari da brividi. Il giorno del giudizio, oggi, è molto più vicino.