Roma, 17 agosto 2010 - (di Nicola Graziani) - Il giorno in cui fu eletto Presidente della Repubblica, il 24 giugno 1985, sembrò celebrarsi l’apoteosi della Democrazia Cristiana: 750 voti e passa dei grandi elettori riuniti a Montecitorio e il candidato di Ciriaco De Mita che passa al primo tentativo.

Franco Evangelisti, braccio destro di Giulio Andreotti, avvicinò un cronista e disse tutto soddisfatto: "Lo sai perchè governeremo fino al Duemila? Perchè sò l’altri che sò stronzi". Poi si corresse: "Scrivi ‘fessi', và, che è meglio ?". Il buon Evangelisti, ma anche De Mita, ignoravano non solo che la Dc sarebbe scomparsa già nel 1992, ben prima dei pronostici. Non sapevano nemmeno che l’uomo che avevano appena portato al Quirinale sarebbe stato uno dei grandi distruttori di quell’ordine costituito marchiato a fuoco con lo Scudo Crociato.

Al Colle era salito infatti Francesco Cossiga, capitano di corvetta ad honorem, ministro degli interni all’epoca del Caso Moro e gran picconatore della Prima Repubblica. Un uomo che, oggi più che mai, custodisce per sempre la spiegazione di una buona parte di quelle pagine della recente storia patria dove la polvere si è depositata fino a far sparire le lettere. Figura eccentrica ai più, in realtà Cossiga appariva a chi gli stava vicino un personaggio shakespeariano nel suo tormento (talvolta dissimulato, altre volte evidente) per essere stato costretto a vivere ed agire in periodi bui, come quello del terrorismo, ed incerti, come quello in cui l’Italia incubava Tangentopoli. Nei primi come nei secondi si mosse mischiando spregiudicatezza - dote politica che aveva in abbondanza - e formidabile intuizione, fredda razionalità con palese emotività. Mai però questa riuscì a prevalere sulle altre. Shakespeariano sì, ma non amletico. Casomai talvolta faceva venire in mente Otello, così come la Dc nelle sue mani fece, ahilei, la fine di Desdemona. Infatti lui parve, con il tempo, non essere mai abbandonato dal rimpianto.

Ugualmente visse fino all’ultimo nell’angoscia per la tragica fine di Aldo Moro. Era ministro degli interni, il più impopolare a memoria d’uomo. Gli estremisti extraparlamentari di sinistra, i "gruppettari", lo chiamavano Kossiga, inserendo nel suo cognome di famiglia nobile sarda il logo infame delle SS naziste. La cosa lo offendeva particolarmente. Una volta, già Presidente della Repubblica, ne affrontò da solo un centinaio in Piazza Castello a Torino.

"Non ho avuto paura di voi nel ‘77, figuriamoci se ne ho ora" urlò al loro indirizzo. In mezzo c’era la sicurezza del Quirinale, guidata dal suo uomo di fiducia prefetto Mosino, ma sembrò che fosse lì per proteggere quei giovani spauriti dall’attacco micidiale di quel signore con gli occhiali. L’uccisione di Moro fu il momento di svolta della sua vita, non solo politica. Dopo il ritrovamento del cadavere - a due passi da Botteghe Oscure come da Piazza del Gesù - si dimise vivendo mesi successivi di solitudine. Il triste epilogo apparente di un enfant prodige democristiano: giovane professore universitario, giovanissimo deputato e sottosegretario e poi ministro. La parabola torna ad essere ascendente quattro anni dopo. Arrivano gli incarichi da presidente del consiglio e presidente del Senato. Infine il Quirinale. La prima cosa che fece, il giorno dell’elezione, fu di andare a trovare Moro nella sua tomba di Turrita Tiberina.
Fu anche il gesto con cui chiuse il settennato, nel 1992. Era tutto finito, a quell’epoca, ma in mezzo c’era stato un quinquennio di silenzio seguito da un biennio di interventismo in puro stile - ironia della politica - extraparlamentare.

Ormai fuori dal grande gioco, Cossiga iniziò ad "esternare", termine tecnico che lui regalò al vocabolario della politica e non solo. Significa: far sapere all’esterno quello che ti pesa sullo stomaco. Quasi una funzione liberatoria della parola, come talvolta capita di sentirsi consigliare di fare nei momenti in cui ti senti giù.
Alla fine lo chiamavano "Externator", come Sterminator, ma a lui la cosa doveva piacere, se è vero che sotto questo nome raccolse e pubblicò i suoi interventi di quel periodo.
Esternò due anni, Cossiga: per la precisione dall’autunno 1989, quando si schierò a favore di un’ondata di protesta giovanile, quella della "Pantera", al 25 aprile del 1992, quando si dimise con tre mesi d’anticipo sulla fine del mandato. Nel frattempo aveva accusato il segretario del Pds Occhetto di essere uno "zombie coi baffi" (Occhetto aveva appena chiesto il suo impeachment per la faccenda Gladio), i giovani magistrati impegnati nella lotta alla mafia di essere dei "giudici ragazzini" e l’allora ministro dell’economia Paolo Cirino Pomicino di essere "keynesiano perchè spende a man bassa".

Nella fattispecie, a riprova della qualità dei suoi rapporti con il suo ex partito, aggiunse: "dovremmo regalarglieli, i libri di Keynes. Ma prima facciamoli tradurre in napoletano". Non aveva nemmeno disdegnato la politica internazionale più spinosa, come quando da Trieste invitò i carri armati serbi, impegnati in una guerra lampo contro la neoindipendente Slovenia, a passare per il capoluogo giuliano per rientrare più rapidamente a casa. Sarebbe stata la prima volta che un militare jugoslavo si sarebbe riaffacciato in città dai tempi delle foibe. I triestini non gradirono.

 

C’era del metodo, però, in tanta effervescenza. Cossiga, alla fine del 1989, era stato a Berlino, dove aveva commentato apparentemente l’ovvio: "Il Muro è crollato, finito. Bisogna gettarci alle spalle i fantasmi del passato". Il fatto è che, invece, aveva visto più lungo degli altri, intuendo che quel Muro reggeva molte cose, oltre alla divisione del mondo in Est e Ovest. Tra queste c’era, nel suo piccolo, il sistema politico italiano incentrato sulla Dc, la quale in quei giorni vegetava sotto la guida sonnacchiosa di Arnaldo Forlani. Fu così che Otello trovò il fazzoletto di Desdemona. Quando tornò a pregare - chi lo vide ebbe l’impressione gli parlasse - sulla tomba di Moro, nel 1992, il sistema era saltato e la Balena Bianca DC si dibatteva sulla spiaggia in totale carenza d’ossigeno. Di lì a poco sarebbe stata una carcassa, come anche il Psi, il Pli, il Pri, il Pci, il Psdi e tutti i partiti dell’arco costituzionale. Quelli che avevano scritto la Carta del 1948, spazzati via per essere rimpiazzati da forze che per la Costituzione non possono avere lo stesso coinvolgimento affettivo. Ma questo Cossiga, per una volta, non poteva immaginarlo, nè intuirlo.