{{IMG_SX}}Roma, 10 giugno 2008 - 'Pianisti' di nuovo in grande spolvero a Montecitorio in occasione delle votazioni sul decreto Alitalia e allora il presidente della Camera, Gianfranco Fini, avanza una proposta concreta per porre fine al malcostume dei deputati che votano per i loro colleghi.

Secondo quanto riferisce la parlamentare Rita Bernardini, segretaria di Radicali italiani, che ha avuto con Fini un colloquio su questa delicata questione, il presidente della Camera ha in mente una "soluzione, quella adottata alle Nazioni Unite, che prevede la conferma del voto con entrambe le mani, un voto a due mani".


In questo modo, secondo Bernardini, "la situazione avrebbe una soluzione che dovrebbe essere definitiva. In moltissimi considerano votare al posto degli altri un peccato veniale, e invece sono d'accordo con Di Pietro, si tratta di una truffa che falsa le votazioni". Bernardini ha ricordato: "La nostra iniziativa sui pianisti riprende quella dei deputati radicali D'Elia e Turco della scorsa legislatura, quando si approvò un ordine del giorno molto importante che prevedeva di superare il voto dei pianisti con le impronte digitali".

 

LA SENTENZA DELLA CONSULTA

Una sentenza della Consulta del '96 ha dichiarato che non spetta all'Autorità giudiziaria procedere nei confronti dei parlamentari che votano in luogo di altri. Lo sottolinea la presidenza della Camera replicando al leader dell'Idv, Antonio Di Pietro, che in Aula ha invitato la terza carica dello Stato a fornire le generalità dei cosiddetti 'pianisti' all'autorità competente con l'accusa di "truffa aggravata".
La presidenza della Camera ricorda la sentenza della Corte costituzionale n.379 del 1996 che "ha espressamente stabilito che la materia della regolarità delle votazioni appartiene integralmente all'autonomia regolamentare delle Camere e non è qualificabile dal punto di vista del diritto penale".


La decisione della Consulta fu emanata a seguito di un conflitto di attribuzione sollevato dalla Camera con riferimento ad un procedimento penale iniziato a carico di due deputati, Flavio Bonafini e Paolo Taggini, accusati da un altro deputato, Paolo Emilio Taddei, di avere votato al posto di altri parlamentari. La Corte affermò che "quando i comportamenti dei membri delle Camere trovino nel diritto parlamentare la loro esaustiva qualificazione, nel senso che non esista alcun elemento di fatto che si sottragga alla capacità qualificatoria del regolamento, non possono venire in considerazione qualificazioni legislative diverse, interferenti o concorrenti, anche se da queste possa risultare il rafforzamento di un giudizio di disvalore già desumibile dalla stessa disciplina regolamentare".