Alluvione Marche, il climatologo: "In autunno attendiamoci altri eventi di questo tipo"

Antonello Pasini, primo ricercatore del Cnr lancia l'allarme: lo scontro tra le perturbazione fredde e il mare ancora caldo rischia di produrre nelle prossime settimane altri eventi alluvionali. Serve approvare subito il piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici. E serve creare una cultura del rischio

Un'auto ribaltata

Un'auto ribaltata

Roma, 16 settembre 2022 - L'alluvione nelle Marche è figlia dei cambiamenti climatici e dobbiamo attenderci per questo autunno altri eventi di questi tipo. Così Antonello Pasini, climatologo del Consiglio nazionale delle ricerche, autore nel 2020 del libro 'L'Equazione dei disastri'.

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Dottor Pasini, ci risiamo: arriva l'autunno e tornano gli eventi meteo estremi, i disastri, le vittime....

"Siamo alle solite, purtroppo. Quest'anno è stato un anno particolarmente caldo, abbiamo sofferto moltissimo di questi anticicloni africani, di questa siccità, il Mediterraneo si è scaldato in maniera esagerata, è stato 5 gradi sopra la media del periodo e ancora è molto caldo, e quindi è chiaro che come questi anticicloni africani si ritirano sul continente africano ed arrivano le correnti fresche, e sottolineo che queste sinora sono state correnti fresche, non fredde, può succedere un evento estremo molto intenso. E infatti è successo. Peraltro il contrasto non era così forte perché le correnti in arrivo non erano particolarmente fredde, ma il mare così caldo genera vapore acqueo, che ha contribuito a generare una maggiore quantità di nubi e soprattutto un calore, una energia, che ha poi scaricato violentemente sul territorio".

E l'impronta digitale di questi eventi è chiara.

"La continua invasione di questi anticicloni africani è un problema non tanto meteorologico quanto climatico. E' proprio cambiata la circolazione in questo hotspot, punto ad alta sensibilità, che è il Mediterraneo. si è amplificata la cosiddetta Cellula di Hadley e quindi sempre più gli anticicloni africani si spostano verso nord. A questo si aggiunga il fatto che i nostri territori sono estremamente fragili, spesso sono collinari o montuosi hanno valli strette, fiumi a regime torrentizio, terreni spesso soggetti ai dissesti idrogeologici, forte antropizzazione. Il risultato è che l'equazione dei disastri è pronta. E non si scappa".

Il cambiamento è strutturale, dobbiamo attenderci per questo autunno altri eventi di questo tipo?

"Sicuramente si. Le previsioni stagionali ci danno un settembre e un ottobre ancora abbastanza caldi, con irruzioni dall'Atlantico di correnti più fresche, se non fredde. Il mare ha una inerzia enorme, quindi rimarrà caldo per molte, molte settimane. quando arriveranno le perturbazioni più fredde è chiaro che ci dobbiamo attendere eventi di questo tipo. Direi probabilmente ancora per le prossime settimane. Da un punto  di vista meteo domani è attesa per domani una ondata di freddo, non fresca. Voglio vedere sul Nordest, anche sull'Emilia Romagna cosa potrà fare".

Quali sono le parti del nostro territorio più esposte ad eventi di questo tipo?

"L'Italia è tutta fragile. Dipende dove insiste la perturbazione, il potenziale esiste sostanzialmente in tutto il nostro territorio. Del resto con le aree urbane così antropizzate, così cementificate, con i torrenti spesso tombati, cioè intubati, con molte aree verdi percorse da incendi e con la diffusa presenza di aree con versanti instabili, franosi... può accadere ovunque. Genova, la provincia di Messina, la costa della Campania, la Versilia, la Sardegna, le Marche, la Calabria, vaste zone delle Alpi... praticamente ovunque".

Sulla mitigazione, cioè il taglio delle emissioni, si fa quello che si fa, cioè molto meno del dovuto, ma anche sull'adattamento siamo deficitari.

"Purtroppo noi abbiamo un piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici che è fermo da cinque anni in attesa di autorizzazione. Ora, noi abbiamo sì una strategia nazionale, che è però una strategia, fissa dei principi generali, ma poi servirebbe un piano nazionale, cioè un documento un po' più operativo pur se sempre nazionale, ma questo piano ancora non c'è. il piano nazionale è fondamentale perché deve dare il là ai piani di adattamento comunali, che sono quelli che veramente contano perché solo il sindaco e i suoi collaboratori possono sapere dove, nel loro territorio, sono le zone critiche. Io penso che nel PNRR bisognerebbe aiutare i singoli comuni a fare degli studi nel proprio territorio per predisporre poi gli interventi di adattamento e predisporre i piani di protezione civile. Ma se non abbiamo neppure il piano nazionale, di che parliamo? Farlo veramente non costa niente. Eppure lo aspettiamo da cinque anni".

La politica, come sempre, è distratta, non vede i cambiamenti climatici come una priorità, al di là delle parole. Voi climatologi avete lanciato un appello alla politica. Per chiedere cosa?

"Noi abbiamo lanciato un duplice appello. Inizialmente il 3 agosto abbiamo pubblicato il documento di noi cinque della società della scienza del clima e adesso abbiamo lanciato un altro appello chiamato la scienza al voto e lunedì incontreremo i politici a Roma, nella sede del Cnel, per discutere di questo tema e proporre interventi urgenti di mitigazione e di adattamento del nostro territorio ad una minaccia che come vediamo è assolutamente reale ed attuale. Questo è un problema chiave che rischia di condizionare il nostri futuro. C'è quindi bisogno di una politica che ascolti la scienza. Noi proporremo la creazione di un organismo istituzionalizzato sui problemi climatici ed ambientali per evitare quello che è successo con Trump, cioè che un politico male informato su questi temi decida di mettere nei posti chiave degli scienziati compiacenti e negazionisti. Invece, bisogna che su questo tema così critico ci si appoggi alla migliore scienza del modo per poter poi fare le scelte giuste. Perché servono azioni, non chiacchiere".

I morti e i disastri di Ancona erano inevitabili o se ne sarebbero potuti evitare parecchi con delle procedure di adattamento applicate in maniera corretta?

"Probabilmente sì, si poteva ridurre il danno, anche se ogni caso fa storia a sé. Bisogna lavorare molto sull'adattamento, con piano comunali ben calibrati e bisogna fare tanto che sulla cultura del rischio perché tante volte le persone non sanno come confrontarsi con gli eventi estremi. Non sanno che cosa fare e magari fanno la cosa sbagliata. Ci vuole anche, e non mi riferisco tanto a questa alluvione, una cultura del rischio che deve essere anche un cultura della legalità, perché in questo Paese è ora di finirla di pensare che fare un abuso edilizio e costruire dove non si deve è una furbata e ci sono solo vantaggi. Invece no, fare un abuso ci porta anche a svantaggi notevoli: in caso di eventi estremi la perdita delle strutture e in qualche caso anche la perdita della vita".