Junior Cally si scusa: è vero, ho fatto tanti sbagli

L'intervista al cantante mascherato: "Ma voleva essere un testo in stile Kubrick"

Junior Cally con Amadeus (Ansa)

Junior Cally con Amadeus (Ansa)

Roma, 20 gennaio 2020 - "Non rinnego niente di me, ma non vado certo fiero dei miei sbagli", dice Junior Cally, il rapper mascherato in gara a Sanremo finito nel gorgo della polemica per aver incitato al femminicidio in una sua canzone di tre anni fa. Ma lo "sbaglio" di cui parla non è il testo di "Strega", il pezzo incriminato che il rapper romano rivendica nella sfera della sua libertà artistica come il Kubrick di "Arancia meccanica" o l’Eminem di "Stan", quanto l’arresto e la condanna per furto di cui parla in un altro suo brano passato, "Dedica". 

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"Ho fatto una bravata, una cavolata, ma non sono un gangster", dice il ventinovenne, assicurando di aver cambiato verso alla sua vita spericolata di ragazzo cresciuto nella periferia degradata di Focene, frazione di Fiumicino. Davanti alla marea montante delle polemiche la Rai gli ritirerà il passaporto per il Festival? Difficile dirlo. Certo è che per i piani alti di Viale Mazzini la questione è delicata perché "No, grazie", il pezzo con cui Antonio Signore alias Junior Cally si presenta all’Ariston, e, in termini politici, è il più critico di questa edizione. E la decisione cammina sul filo della censura.

Perché ha messo al centro della sua "No, grazie" il populismo dei due Mattei?

"La scelta nasce dalla consapevolezza, comune a tanti altri ragazzi, che questa classe politica non ci appartiene. Il rap è protesta. E il mio pezzo, al di là delle sonorità roccheggianti, è ultra-rap perché punta il dito contro una politica da social fatta di meme, di tweet, di post, che mirano alla pancia e non alla testa del Paese".

La visione è sconcertante.

"La soluzione ai grandi problemi dei nostri anni non si trova con una battuta ad effetto su Instagram. E il politico online h24, alla fine, punta più al ‘like’ che a trovare consensi attorno ai suoi ragionamenti".

La reazione è stata immediata.

"La politica non capisce che la musica può cambiarti la vita. Quando sei ragazzino e vuoi fare il rapper pensi solo ai soldi, al lusso, alle ville, alle donne e allo champagne, ma quando la canzone diventa un lavoro quello che conta tirarsi fuori da situazioni di disagio come la mia e migliorarsi. Le persone crescono, fanno dei percorsi interiori e imparano dai propri errori".