A Firenze i vigneti si coltivano in città

Migration

di Paolo Pellegrini

Il panorama, là dietro, è di quelli che tutto il mondo invidia: Ponte Vecchio, la Cupola del Brunelleschi, la Torre di Arnolfo, Santa Croce. Sotto lo sguardo antico del grande David in bronzo. E se lì sotto, nei lembi di verde rimasti ancora intatti e silenziosi, ci pianti una vigna, come la vuoi chiamare? Vigna di Michelangiolo, naturalmente. Benvenuta anche Firenze nel club prestigioso dell’Uva, nomen omen per l’acronimo dell’Urban Vineyards Association, che raccoglie undici delle ’vigne di città’ più prestigiose, dalla Vigna della Regina a Torino dove tutto ebbe origine a quella di Milano dalle parti delle Grazie, e come la volevi chiamare se non Vigna di Leonardo, già, che strano parallelo; dalle due di Venezia ai curiosi Rooftop Reds in cima ai grattacieli di Manhattan ai tre Clos francesi – Montmartre a Parigi, Palais des Papes ad Avignone, Canuts a Lione – passando per Siena, Palermo e Catania.

L’ingresso della Vigna di Michelangiolo nel Club è scontato. Però c’è già una storia: intanto per il nome di chi l’ha voluta. Lei è Maria Fittipaldi Menarini, nome che nella storia economica e culturale di Firenze ha segnato il Secolo Breve. "Questa vigna rappresenta anche la mia infanzia – ricorda Maria – quando a settembre amavo cogliere gli acini e grappoli per la tavola. E oggi voglio dare un segno e un senso di continuità a questa casa voluta da mio padre". Perché intanto vent’anni fa ci fu la scoperta del fascino del vino nella residenza di Bolgheri, dove è nata l’azienda Donne Fittipaldi che Maria conduce con le quattro figlie Carlotta, Giulia, Serena e Valentina. Due più due quattro, ecco l’ultimo tassello: Firenze culla del Rinascimento, quasi scontato l’accostamento con il Buonarroti che aveva una tenuta in Chianti, l’odierna Fattoria Nittardi. E qui nella vigna a lui dedicata sotto il Piazzale che ne porta pure il nome, Maria – con l’agronomo Stefano Bartolomei e l’enologo Emiliano Falsini – metterà a dimora varietà antiche, da coltivare ad alberello: il Sangiovese, l’Abrostine, il Rasone, il Canaiolo nero, il Mammolo eletto.

Ne nasceranno mille bottiglie, destinate alle grandi aste. Per solidarietà, come già avviene alla Vigna di Leonardo a Milano, ma anche a Venezia e a Montmartre, mentre il presidente del Club, Luca Balbiano, a Torino produce e vende 4500 bottiglie di Freisa di Chieri. Così cresce il grande club delle vigne di città, piccoli polmoni di verde, biodiversità, cultura della terra. In realtà nel mondo sono molte di più come a Berlino o a Fulda. In Germania c’è il boom dei ’filari di città’, a Praga la vigna è splendida, sotto il Castello, o a Salonicco: due ettari, 480 varietà piantate. E in tanti, felici, a vendemmiare.