Taiwan e il rischio guerra, l'esperto: "Difficile, non impossibile". I perché

Il sinologo Francesco Sisci: "Ecco i tre motivi per cui Pechino non può scatenare un conflitto". Ma avverte: "Il problema è che la Cina si è messa di nuovo in una situazione in cui qualunque scelta è sbagliata, si è messa in un angolo e deve cercare di uscirne"

Roma, 2 agosto 2022 - È alta la tensione tra Cina e Usa in vista dell'arrivo sull'isola di Taiwan di Nancy Pelosi, Presidente della Camera americana. Pechino ha lanciato diversi avvertimenti, affermando che l'esercito non sarebbe rimasto a guardare in caso di atterraggio a Taipei e che l'America "pagherà il prezzo per aver minato la sovranità della Cina".

"I rischi ci sono", ma "non di una guerra" perché "una guerra è difficile, non impossibile", dice il sinologo Francesco Sisci, parlando con l'Adnkronos. Dalla Cina arriverà comunque una "reazione" poiché in caso contrario ci sarebbero "effetti interni" dopo minacce rimaste nell'aria e per il gigante asiatico diventa sempre più urgente "cambiare radicalmente l'approccio mentale".

Militari di Taiwan impegnati in un'esercitazione (foto d'archivio Ansa)
Militari di Taiwan impegnati in un'esercitazione (foto d'archivio Ansa)

Per Pechino, Taiwan è una "provincia ribelle" da "riunificare" e gli Stati Uniti devono attenersi al "principio di una sola Cina". Una guerra, dice Sisci, "è difficile" per "tre principali motivi", innanzitutto "la Cina importa 150 milioni di  tonnellate di proteine, carne, soia dall'estero, soprattutto dall'America" e "in caso di embargo" ci sarebbero ripercussioni per l'alimentazione dei cinesi, che hanno grano e riso. Poi, prosegue nell'analisi, "un grande pilastro dell'economia cinese, se non il principale, è il surplus commerciale" e quindi "una guerra che metta a rischio il surplus commerciale cinese minerebbe l'economia del Paese".

Terzo elemento, aggiunge, "la Cina di figli unici difficilmente può permettersi di sacrificare i suoi figli unici o molti dei suoi figli unici in una guerra". "Escluderei la guerra anche perché i cinesi sono commercianti - rimarca - Come indole, non sono guerrieri come i russi". E dai cinesi che "non possono fare la guerra" arriverà una "reazione, che comunque non porterà niente di buono" e arriverà perché "se non reagiranno ci saranno effetti interni" e "il problema è che la Cina si è messa di nuovo in una situazione in cui qualunque scelta è sbagliata". Si è messa in un "angolo" e "deve cercare di uscirne".  

Secondo Sisci, il gigante asiatico "dovrebbe imparare a mettersi in situazioni in cui ha due, tre scelte utili, non due o tre scelte tutte sbagliate", ma questo "significa un cambio radicale di approccio mentale". "Deve cambiare approccio mentale perché non può arrivare a mettersi in posizioni di enormi difficoltà dove ogni scelta che compie alla fine è sbagliata", prosegue, convinto che "la Cina qualcosa farà e se farà qualcosa la situazione si avviterà" perché dovrà "essere trattata come tigre", mentre se "non farà niente dimostrerà di essere una tigre di carta".

Il punto, conclude, è che "la democrazia ti permette di assorbire le crisi" mentre i "regimi autoritari da un punto di vista pratico non hanno questa possibilità" e "o la Cina cambia regime o cambia visione del mondo e possibilmente dovrebbe fare tutte e due". 

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