L'assassinio Khashoggi e le 5 condanne a morte, l'Onu: "Parodia della giustizia"

Prosciolti sia il consigliere del principe ereditario sia l'ex numero due dei servizi segreti sauditi

Un ritratto del giornalista saudita Jamal Khashoggi

Un ritratto del giornalista saudita Jamal Khashoggi

New York, 29 dicembre 2019 - Il commento della relatrice speciale delle Nazioni Unite sulle esecuzioni extragiudiziali, sommarie o arbitrarie, Agnes Callamard, è tranciante: "La parodia di indagini, processo e giustizia continua...". Le cinque condanne a morte emesse da un tribunale speciale di Riad dopo un processo durato un anno, che si è svolto a porte chiuse, e una sentenza dalla quale non si conosce nemmeno il nome dei condannati, non poteva essere più negativo. Solo sei mesi fa la stessa Callamard aveva steso un rapporto sul barbaro assassinio nel consolato saudita di Instanbul del giornalista Jamal Khashoggi definiva “prove credibili” quelle nei confronti del mandante del delitto e avrebbero portato dritto al principe ereditario Mohammed bin Salman. I magistrati della monarchia però non ne hanno tenuto minimamente conto e hanno fatto cadere ogni sospetto sia su di lui sia sulla sua cerchia ristretta, compresi i leader dei servizi segreti sauditi che avrebbero architettato l’intero piano per far cadere in una trappola e uccidere Khashoggi, attirato a Instanbul con la promessa di un visto per poter contrarre matrimonio con la fidanzata turca.

Nessuna accusa nemmeno per il consigliere del principe Saud al Qahtani, considerato anche da molti e dai magistrati turchi il vero "architetto" del delitto, così come dell’ex numero due dei servizi segreti Ahmed al-Assiri che avrebbe addirittura diretto in prima persona le operazioni sul campo ma contro il quale non ci sarebbero state “mancanza di prove”. Per la Ue, contraria alla pena capitale, si tratta di una condanna disumana e crudele quella applicata ai cinque indiziati che hanno fatto a pezzi Khashoggi facendo sparire il suo corpo, così come ridicole le pene minori comminate agli altri 6 indiziati coinvolti nella missione omicida, condotta con due jet privati che sono atterrati e ripartititi da Instanbul in poche ore.

Ma a Riad è la voce di Salah figlio del giornalista del Washington Post e della moglie separata quella che il regime saudita usa per riabilitarsi. "Oggi giustizia è stata fatta per i figli di Jamal Khashoggi –dichiara dalla sua residenza segreta all’interno del Regno- Affermiamo la nostra fiducia nella magistratura saudita a tutti i livelli….". Fonti del quotidiano della capitale sostengono però che dopo una prima reazione di orrore, i figli e la famiglia di Khashoggi sarebbero stati compensati e tacitati con una straordinria somma di denaro, anche se loro negano.

Per la fidanzata di Khashoggi che lo attendeva fuori dal consolato in Turchia mentre lo facevano a pezzi, invece “la giustizia è stata calpestata”. Incredule le reazioni al Palazzo di Vetro anche se il processo prevede anche una fase di appello, ma per il Dipartimento di Stato americano essere arrivati alla sentenza si tratta di “passo importante”. Le organizzazioni dei diritti umani e 'Reporters sans Frontières' si accaniscono contro la sentenza di Riad ma continuano la pressione sperando che si arrivi anche al processo di appello nel tentativo di allargare le maglie di una inchiesta misteriosa e senza alcun elemento di trasparenza ma passata di contraddizioni in contraddizioni, a partire dall’affermazione che Khashoggi sarebbe entrato si al consolato ma poco più di un’ora dopo sarebbe uscito. Non senza significato però è il fatto che dopo la sentenza di morte criticata ma senza troppo clamore a livello internazionale il principe ereditario saudita abbia subito avviato un negoziato con le forze ribelli in Yemen contro le quali sta combattendo da anni, abbia praticamente allentato la tensione col Qatar e oltre ad aver messo sul libero mercato parte delle azioni della società petrolifera saudita, si prepari adesso con l’ombra e la macchia di Khashoggi sempre più lontane a giocare una grossa partita nella politica medio orientale, compreso un diverso approccio non solo con Israele ma anche con l’Iran.