Roma, 9 settembre 2013 - ''Sono estremamente sorpreso che gli Stati Uniti, che sono ben consapevoli di come la rivoluzione siriana è diventata jihadismo internazionale, ovvero Al Qaeda, possano pensare di intervenire. Bisogna riflettere a lungo". Lo ha detto Domenico Quirico, l'inviato de La Stampa  - sequestrato per quasi cinque mesi in Siria e liberato solo ieri - all'aeroporto di Fiumicino, prima di imbarcarsi sul volo per Torino.

'RISCHIO CALIFFATO' -  "La rivoluzione in Siria è diventata altro - spiega Quirico - cioè gruppi radicali islamici che vogliono creare un califfato ed estenderlo a tutto il Medio Oriente e al Nord Africa e mi sorprendo di come gli Usa possano pensare di intervenire per aiutare questi gruppi". "Io non dimentico cosa è il regime siriano il giornalista - quali sono stati i suoi metodi, cioè bombardare la popolazione e uccidere migliaia di persone, però prima di intervenire per l'uno o è necessario riflettere e a lungo", è l'invito del giornalista.

AUTORI STRAGI -  "E' folle dire che io sappia che non è stato Assad a usare i gas",  aveva in precedenza sostenuto Quirico dopo la fine dell'incubo.  Rapito lo scorso 9 aprile mentre era inviato in Siria, Quirico è stato liberato assieme al cittadino belga Pier Piccinin, compagno di prigionia, al settimo viaggio in Siria dall’inizio dei disordini nel 2011. Piccin aveva inizialmente difeso tesi vicine a quelle del regime di Bashar al Assad, prima di essere rapito una prima volta nel maggio 2012 al fianco dei ribelli.

FEDELE RICOSTRUZIONE - "Eravamo all`oscuro di tutto quello che stava accadendo in Siria durante la nostra detenzione, e quindi anche dell`attacco con i gas a Damasco",  racconta Quirico. "Un giorno però, dalla stanza in cui venivamo tenuti prigionieri, attraverso una porta socchiusa, abbiamo ascoltato una conversazione in inglese via Skype che ha avuto per protagoniste tre persone di cui non conosco i nomi", ha aggiunto Quirico. "Uno si era presentato a noi in precedenza come un generale dell`Esercito di liberazione siriano. Un secondo, che era con lui, era una persona che non avevo mai visto. Anche del terzo, collegato via Skype, non sappiamo nulla".

'IMPOSSIBILE VERIFICARE' - "In questa conversazione",  secondo il giornalista a LaStampa.it, dicevano che "l'operazione del gas nei due quartieri di Damasco era stata fatta dai ribelli come provocazione, per indurre l`Occidente a intervenire militarmente. E che secondo loro il numero dei morti era esagerato". "Io non so se tutto questo sia vero e nulla mi dice che sia così, perché non ho alcun elemento che possa confermare questa tesi e non ho idea né dell'affidabilità, né dell'identità delle persone. Non sono assolutamente in grado di dire se questa conversazione sia basata su fatti reali o sia una chiacchiera per sentito dire, e non sono abituato a dare valore di verità a discorsi ascoltati attraverso una porta", aggiunge Quirico.

DURA PRIGIONIA - "Bisogna tener presente - invita Quirico -  la condizione in cui eravamo e non dimenticare che eravamo prigionieri che ascoltavano cose attraverso le porte", ha concluso il reporter. "Non ho elementi per giudicarle, sono abituato a parlare e a dare per certe le cose che ho verificato. In questo caso non ho potuto controllare niente. È folle dire che io sappia che non è stato Assad a usare i gas".

PICCHIATI E VENDUTI -  ''Sono stati mesi molto duri, siamo stati picchiati quotidianamente, abbiamo subito due false esecuzioni", racconta Quirico. "Siano stati trattati bene solo per un breve periodo in cui siamo stati affidati ad un gruppo di Al Qaeda, questo lo devo dire per dovere", afferma  il giornalista. ''Per il resto siamo stati trattati come bestie, ci facevano mangiare i loro avanzi. Poi siamo stati venduti dall'Armata Siriana libera, il gruppo che ha innescato la rivoluzione e che credeva in una società siriana libera dalla dittatura interreligiosa, ma che ora è scomparsa. Ho incontrato centinaia di persone che non conoscono il concetto semplice di pietà, della compassione nei confronti di un altro uomo che soffre. L'unico gesto umano in cinque mesi è stato quando mi hanno dato un telefonino per poter chiamare la famiglia", spiega Quirico non senza amarezza. Che continua così: "E' stata la fede a tenermi in piedi, e devo riconoscere che da solo non ce l'avrei fatta - ha detto parlando a lungo ai colleghi, che lo hanno applaudito e hanno brindato con lui -. Con Piccinin ci siamo raccontati le favole di quando eravamo piccoli. Sono finito nella casa dell'orco e non ne uscivo più. Per 152 giorni non ho potuto fare le tre cose che più mi interessano nella vita: correre, scrivere, leggere''. Quindi, ringraziando ancora tutti i colleghi, ha aggiunto: "Consideratemi un ostaggio finché non avrò tagliato la barba".

SBARCO A CIAMPINO - L'inviato della Stampa è arrivato poco dopo la mezzanottte in Italia ed è stato accolto all`aeroporto militare di Ciampino dal ministro degli Esteri, Emma Bonino. Con il capo della diplomazia c’erano inoltre Claudio Taffuri, capo dell`Unità di crisi, e Michele Valensise, segretario generale della Farnesina. “Domenico Quirico libero”, ha scritto Calabresi su Twitter, “Erano esattamente 5 mesi che aspettavamo questa notizia, commovente telefonata di Emma Bonino”. Le due figlie Eleonora e Metella, lo scorso 1 giugno, avevano realizzato un appello video per chiedere il rilascio del padre, video che era stato trasmesse dalle televisioni del mondo arabo. A giugno, il 6, Quirico aveva fatto una breve telefonata alla famiglia e aveva detto di star bene, ma poi i contatti si erano interrotti.

NON E' PIU' LA RIVOLUZIONE DI ALEPPO - “Ho sentito alcune cose, ma francamente è come se fossi vissuto cinque mesi su Marte, ho scoperto che i miei marziani sono malvagi e cattivi. Ma non ho notizie, ho saputo solo oggi chi è il presidente della Repubblica del mio Paese”, ha detto Quirico, barba lunga ma sorridente, al suo arrivo a Ciampino, a chi gli chiedeva se fosse a conoscenza di un imminente attacco in Siria, “Sapete che io ho cercato di raccontare la rivoluzione siriana e le sue sofferenze, può essere che questa rivoluzione mi abbia in qualche modo tradito. Probabilmente non è più la stessa rivoluzione che ho incontrato due anni fa ad Aleppo, laica e democratica. E’ diventata un’altra cosa, molto pericolosa e complessa. Non mi hanno trattato bene. Sì, ho avuto paura”. Resta invece ancora nelle mani dei carcerieri padre Paolo dall’Oglio, il sacerdote gesuita rapito a fine luglio in Siria.

"CHIEDO SCUSA, MA..." - “Chiedo scusa per avervi fatto preoccupare, ma questo è mio giornalismo”. E’ la prima telefonata di Domenico Quirico alla redazione de La Stampa, secondo un tweet del direttore Mario Calabresi. Il giornalista è tornato in Italia nella notte dopo cinque mesi di prigionia in Siria. Secondo Calabresi, Quirico è sopravvissuto "perché è un combattente, un maratoneta, un uomo di metodo".

DEPOSIZIONE IN PROCURA -  E' durata oltre tre ore e mezza la deposizione di Quirico in procura a Roma: il giornalista si è allontanato da Palazzo di Giustizia da un'uscita secondaria, scortato dai carabinieri e senza rilasciare dichiarazioni. Il cronista è stato sentito dal procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e dai sostituti procuratori Sergio Colaiocco e Francesco Scavo. I pm avevano aperto un fascicolo ad aprile per il reato di sequestro di persona con finalità di terrorismo. 

IL COMPAGNO DI PRIGIONIA - L'inviato de La Stampa ‘’ha subito due false esecuzioni con una pistola’’, ha rivelato l’insegnante belga Pierre Piccinin, il suo compagno di prigionia, alla radio Bel RTL. Domenico Quirico e Pierre Piccinin hanno cercato di scappare due volte durante la loro prigionia in Siria. Una di queste, dopo due giorni di fuga, sono stati ricatturati e puniti ‘’in maniera molto pesante’’.

IL RIENTRO A TORINO - Tornare in Italia è stata una vera liberazione.  ''Desidero ringraziare lo Stato, il Governo, il Ministero degli Esteri, funzionari della Farnesina, che, mi è stato raccontato, si sono battuti veramente con un impegno straordinario per farmi uscire dalla Siria, per salvarmi la vita" è stato il saluto di Quirico prima di imbarcarsi per Torino. Dove, dopo l'abbraccio dei colleghi de La Stampa, ha fatto ritorno nella sua Govone, accolto da un lungo applauso del paese. "Finalmente sono a casa. Sono commosso e ringrazio a tutti", ha detto il giornalista prima di riabbracciare le figlie, Metella ed Elisabetta, che non vedeva da 152 giorni.