NEW YORK, 4 marzo 2011- I militari del Pentagono e della Nato non smettono di valutare i tempi e gli effetti di una “no fly zone” rapida ed efficace sulla Libia, ma la diplomazia internazionale sembra improvvisamente insabbiata davanti alla tragedia di Tripoli.


Gheddafi incurante degli ultimatum di Obama e del mandato d’arresto della corte dell’Aja,
ha liquidato con un fax l’ambasciatore all’Onu Shalgham e il suo vice Dabbashi che gli si sono rivoltati contro, nominando al loro posto Ali Treki, l’ex ministro degli esteri libico che ha presieduto fino a pochi mesi fa l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Dipenderà dagli Usa il suo visto d’ingresso in America ma se lo otterrà, Ban Ki moon non potrà che prenderne atto anche se i suoi legali cercano di guadagnare tempo vincolando il via libera alla “verifica dell’autenticità del documento” perché al semplice fax non è seguita una “nota diplomatica”. Ma l’Onu dovrà riconoscerlo e insediarlo ancora prima di aver nominato il suo inviato speciale in Libia.

L’individuazione di un interlocutore nel regime in questo clima sembra impossibile. Stretto fra guerriglia ribelle e miliziani fedeli al regime, chiunque sia il “negoziatore” delle Nazioni Unite, si troverà di fronte una missione disperata.


Se Gheddafi con le sue forze armate in questa offensiva contro il tempo, riesce nell’intento di sigillare le frontiere con Egitto e Tunisia bloccando l’esodo dei profughi per creare una grande trappola umanitaria, potrà sperare in una “soluzione negoziata” che però, col passare delle ore e con l’aumento dei morti, potrebbe diventare sempre più improponibile.


L’isolamento della Libia
all’Onu oggi è totale, ma le centinaia di migliaia di profughi che il Colonnello lascia ammassare ai confini per poi bloccarli e poterli trasformare in cinici e potenziali scudi umani, è un rischio che la comunità internazionale non può correre e dovrà trovare un compromesso.


La strada di un mediatore imparziale
come l’ex presidente brasiliano Lula , suggerita dal Venezuela di Chavez non trova conferma a Brasilia ma non viene scartata a priori dalla Lega araba che cerca vie alternative al confronto muscolare e all’uso della forza. La freddezza di Russia e Cina sulla “no fly zone” accelera le promesse d’ìmpegno sul piano umanitario e lunedì a Ginevra la coordinatrice dell’Onu Valerie Amos chiederà un impegno diretto ai paesi membri impegnando soprattutto quelli europei sul confine mediterraneo compresa l’Italia a tenere aperti i loro confini. La minaccia che 200 mila libici siano in fuga verso l’Italia aggiunge “per ora non trova riscontro nei fatti” perché tutti cercano di tornare a casa propria e non diventare rifugiati. Per si tratta però di parole contro proiettili.