"Sussidi senza pensare al dopo. Abbiamo sprecato più di un anno"

Del Conte e le crisi aziendali: "Milioni di dipendenti in cassa ma nessun piano di ricollocazione"

Maurizio Del Conte, classe 1965, insegna diritto del lavoro alla Bocconi

Maurizio Del Conte, classe 1965, insegna diritto del lavoro alla Bocconi

"C’è il fondato rischio che il recupero della occupazione sarà ben più lento e incerto della ripresa economica. E, di fronte a uno scenario fatto di lavori brevi, disoccupazione e crisi aziendali, il programma Garanzia di occupabilità dei lavoratori, il cosiddetto Gol, presentato dal Ministro Catalfo e sostanzialmente riproposto dal Ministro Orlando, è finora un pezzo di carta". Non usa mezzi termini, Maurizio Del Conte, professore alla Bocconi, ma anche il "regista" della nascita dell’Anpal e dello smart working in Italia: insomma, il Pil viaggerà anche verso le magnifiche sorti e progressive del 6%, ma il lavoro non decolla e stenta a ritrovare anche solo i numeri pre-pandemia.

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L’occupazione, dunque, non segue le percentuali del Pil?

"I dati sul mercato del lavoro non ci restituiscono ancora una tendenza consolidata alla crescita occupazionale in linea con il robusto incremento del Pil che si sta già delineando. Da un lato aumenta il numero di nuovi contratti, ma si tratta in massima parte di contratti brevi, sicché il totale delle ore lavorate è ancora largamente sotto i livelli pre-Covid. Sì, siamo a un disallineamento tra ripresa e nuova occupazione".

Come si spiega? Perché non corrono in sincronia?

"Il mercato del lavoro italiano è storicamente vischioso e si muove in ritardo rispetto alla velocità della trasformazione produttiva e organizzativa delle imprese. Questa caratteristica se, da un lato, rallenta l’impatto delle crisi congiunturali improvvise, come quelle che abbiamo sperimentato nel 2009 e nel 2020, dall’altro produce effetti negativi per l’occupazione nel lungo periodo. Alla fine del 2019, prima della diffusione della pandemia, in Italia non eravamo ancora riusciti a recuperare interamente la perdita occupazionale conseguente alla crisi di dieci anni prima".

È un fenomeno solo italiano?

"Gli shock economici possono avere positivi effetti di stimolo al cambiamento, forzando i diversi sistemi-Paese a rinnovarsi per competere nell’arena globale. In questa partita planetaria l’Italia rischia di ritrovarsi indietro rispetto ai Paesi più dinamici e capaci di accompagnare il cambiamento, invece che opporvisi. In questi ultimi tempi abbiamo fatto abuso della resilienza ma, nella sostanza, le politiche adottate dallo Stato per fronteggiare l’emergenza della pandemia si sono concentrate sulla mera resistenza passiva".

Dove abbiamo sbagliato?

"Enormi risorse economiche sono state destinate a finanziare gli ammortizzatori sociali senza, nel contempo, far partire un sistema di politiche attive del lavoro in grado di dare risposta alla domanda di nuove competenze che sarebbe emersa con la ripresa. Abbiamo perso più di un anno e mezzo a discutere di politiche attive senza che una sola nuova misura concreta sia stata attivata. Nel frattempo milioni di lavoratori sono rimasti congelati in cassa integrazione, perdendo contatto con il lavoro, senza essere impegnati in percorsi di riqualificazione professionale e senza alcuna certezza di ritrovare lo stesso posto di lavoro che avevano prima della pandemia".

Nel frattempo si moltiplicano le crisi aziendali.

"Il caso Gkn dimostra che non siamo preparati a gestire il cambiamento delle grandi catene globali delle forniture. Il ricambio nella partecipazione e nella composizione del mercato del lavoro può trasformarsi in un dramma per migliaia di lavoratori se non si interverrà velocemente per accompagnarli nelle transizioni verso le professioni emergenti".

Eppure, il Recovery Plan stanzia poco meno di cinque miliardi per questa delicatissima missione.

"Sì, ma guai a pensare che le risorse siano condizione sufficiente per la realizzazione di un sistema di servizi diverso e migliore di quello attuale. Il programma Gol è finora un pezzo di carta. Ma il dato più preoccupante è che quel disegno è tutto rivolto non già ad innovare, ma a rafforzare il sistema esistente. Come se iniettando risorse in una rete che fa acqua da tutte le parti se ne potesse aumentare l’efficienza. Il rischio, molto concreto, è che aumentino gli sprechi e si perda, così, un’occasione irripetibile per ricostruire dalle fondamenta la rete italiana dei servizi per il lavoro".