Avanti con Opzione donna e nessuna marcia indietro. Come funziona

Chi potrà utilizzare opzione donna-mamma, le soglie di età e contributi e il calcolo contributivo. La guida

Roma, 19 dicembre 2022 - A meno di novità nelle prossime ore (mai da escludere nei passaggi chiave dell’esame parlamentare della manovra), Opzione donna resterà per il 2023 nella versione "nuova" con la correlazione con i figli. E, dunque, al momento si prevede, per le lavoratrici dipendenti e autonome, la possibilità dell'anticipo pensionistico con un'età di 60 anni, che può essere ridotta di un anno per ogni figlio e nel limite massimo di 2 anni. Questo, fermo restando le altre limitazioni di utilizzo fissate nella legge di Bilancio e legate a tre categorie specifiche di lavoratrici: caregiver, invalide almeno al 74% licenziate o dipendenti da aziende con tavolo di crisi. 

Il Pd, però, ai massimi livelli, con lo stesso Enrico Letta, continua a sollecitare la proroga secca del meccanismo operativo in questi anni, che contempla la possibilità di andare in pensione anticipata a 58-59 anni, a seconda che si tratti di lavoratrici dipendenti o autonome, con 35 anni di contributi, ma con il calcolo interamente contributivo dell’assegno.

Ma vediamo come funzionerà Opzione donna, se dovesse rimanere inalterata l’impostazione del governo. 

La guida su Opzione donna
La guida su Opzione donna

Chi potrà utilizzare Opzione Donna-Mamma

Potranno lasciare il lavoro per la pensione, utilizzando la via di uscita indicata, le lavoratrici dipendenti, pubbliche e private, e autonome iscritte all’Inps. La soluzione non può essere utilizzata per chi è iscritta alla Gestione separata. Ma questo è solo il primo passo o il primo requisito da avere. 

Le soglie di età e contributi 

L’Opzione richiede, per il suo impiego, che le lavoratrici abbiano raggiunto i 35 anni di contributi e i 60 anni di età. Torna centrale, però, la possibilità di scendere a 59 con un figlio e a 58 con due figli. Il che significa che, a differenza che nelle versioni circolate fino a oggi, è completamente cambiato di nuovo uno dei criteri di accesso. Non c’è più, però, la distinzione tra lavoratori autonomi e lavoratori dipendenti. Anche con questo però il percorso a ostacoli non è finito. 

Disoccupate, invalidi o caregiver 

La terza condizione per ottenere il via libera verso l’uscita, che rimane confermata anche nella versione da ultimo ipotizzata, è quella di rientrare in una delle seguenti situazioni:

- "assistono, al momento della richiesta e da almeno sei mesi, il coniuge o un parente di primo grado convivente con handicap in situazione di gravità, ovvero un parente o un affine di secondo grado convivente qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i settanta anni di età oppure siano anch'essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti; - hanno una riduzione della capacità lavorativa, accertata dalle competenti commissioni per il riconoscimento dell'invalidità civile, superiore o uguale al 74 per cento; - sono lavoratrici licenziate o dipendenti da imprese per le quali è attivo un tavolo di confronto per la gestione della crisi aziendale". E in questo caso l’età può essere di 58 anni, a prescindere dal numero dei figli. 

Il calcolo contributivo 

Come che sia, rimane ferma la condizione del calcolo interamente contributivo dell’assegno: il che significa un taglio secco del trattamento compreso tra il 10 e il 20 per cento. Rispetto al sistema misto. 

Effetti 

Il risultato del cambiamento della formula, rispetto a oggi, è quello di mantenere ristretto al massimo l’accesso a meno di 4mila lavoratrici