Napoli, 5 giugno 2014 - Gli spagnoli di Ebro Foods mangiano la pasta Garofalo. Un blitz finanziario (gli iberici diverranno i proprietari del 52% delle quote) che però non piace a tutti. Coldiretti e Cia, principali organizzazioni del mondo della trasformazione agroalimentare puntano il dito contro l’operazione di colonizzazione del made in Italy. Il brand Garofalo non è come tanti altri del mondo della pasta. L’azienda affonda le sue radici nel Settecento quando nella roccaforte dell’oro bianco, ovvero Gragnano (un centro sui moti Lattari, alle porte di Sorrento), il Consiglio delle Municipalità assegnò a Lucio Garofalo una concessione in esclusiva per fabbricare gli ‘ziti’. Da allora, e attraverso alcuni alti e bassi, l’azienda è cresciuta sempre fino a produrre 500 quintali di pasta al giorno.

Il gruppo alimentare iberico quotato alla Borsa di Madrid ha firmato un accordo vincolante per acquisire il 52% della società italiana per 62,5 milioni di euro. Garofalo, che è proprietario, tra gli altri, del marchio Santa Lucia, nel 2013 ha registrato un fatturato consolidato pari a 134 milioni. Alla finalizzazione dell’accordo, prevista entro la fine del mese di giugno, Ebro Foods entrerà nel capitale sociale detenendo così la maggioranza. I timori legati all’operazione sono molti. Il primo è quello di una delocalizzazione delle attività, il secondo è lo smarrimento dell’identità produttiva, legata da duecento anni al territorio gragnanese. Obiezioni a cui risponde l’amministratore delegato Massimo Menna (la sua famiglia gestisce il pastificio dal 1952): «Ebro Foods è un partner industriale, con un solido background, con cui crescere sulla base di una visione comune, che prevede di mantenere salda l’identità dell’azienda e del prodotto, che devono i propri tratti distintivi alla dirigenza, alle maestranze, nonché al sito produttivo». Lo sviluppo, precisa l’ad campano, continuerà a essere guidato dal quartier generale di Gragnano. Dalla Spagna arrivano minori rassicurazioni. Antonio Hernandez Callejas, presidente e amministratore delegato Ebro Foods, dice: «Abbiamo scelto Garofalo per la qualità del suo prodotto, per gli eccellenti risultati raggiunti nel tempo e per le sue persone che, in particolare negli ultimi 15 anni, hanno permesso di dar vita a una storia straordinaria e con cui abbiamo trovato una perfetta intesa professionale e personale».

Le parole di Menna e Hernandez Callejas non sembrano far dormire sonni tranquilli alla Coldiretti «Quando un marchio così importante va via, se ne va un pezzo di futuro della nostra regione» dichiara il presidente di Coldiretti Campania, Gennarino Masiello. E c’è addirittura chi parla di scippo. Come la Cia, la Confederazione italiana agricoltori che inserisce Garofalo nell’elenco dei marchi persi dall’Italia. «Da Gancia a Parmalat, da Buitoni a Galbani, da Bertolli a Sasso, sono anni che assistiamo allo ‘scippo’ di marchi storici da parte di compagnie straniere, il più delle volte spagnole e francesi» tuona la Cia . «Continuiamo a vedere i nostri brand che cambiano nazionalità». Un settore quello dell’agroalimentare che vale il 17 per cento del Pil, fattura 250 miliardi di euro e traina l’export nazionale con 34 miliardi di vendite oltreconfine. Non a caso Garofalo è presente in 60 paesi e leader nel settore ‘premium’ in Svezia, Francia, Svizzera, Olanda e Portogallo.

Nino Femiani