QUESTA mattina, alle ore 10, quasi certamente l’Istat certificherà che è ufficialmente cominciata la recessione. Sarà infatti reso pubblico l’andamento del Pil nel terzo trimestre di quest’anno e le previsioni di consenso dicono che dovrebbe risultare in calo dello 0,2 per cento rispetto al trimestre precedente. Dovremmo rimanere in recessione fino a luglio dell’anno prossimo, se non ci saranno incidenti gravi.
«Fino a quando non avremo ridotto lo Stato alle dimensioni di un torsolo di mela, non saremo a posto», scrive un lettore comprensibilmente un po’ esasperato per tutte le tasse in arrivo. Lo Stato italiano, cioè, è troppo grosso. Da qui al 2013 (e oltre) si pagheranno una valanga di imposte extra. Si andrà in recessione (ci siamo già) nel 2012 e il 2013 presenta una ripresa quasi impercettibile. Nonostante tutti questi sforzi, accade una cosa che forse non molti hanno notato e che invece va segnalata. Oggi, cioè nel 2011, il nostro debito pubblico complessivo è pari esattamente al 120,3 per cento del Pil, cioè della ricchezza prodotta in un anno. Nel 2012, nonostante tutte le nuove imposte, questa percentuale aumenta: si arriverà cioè al 121,4.

Solo nel 2013 c’è finalmente un deciso arretramento: torniamo al 118 per cento. Ma si tratta esattamente dello stesso valore che avevamo nel 2010.
In pratica, tutti questi sacrifici serviranno solo a farci fare una specie di giro dell’oca e nel 2013 si torna a un peso del debito pubblico sul Pil identico a quello che avevamo l’anno scorso.
Fatica sprecata, dunque? Missione inutile quella del premier Mario Monti? No. In realtà, le dure manovre che vengono approvate in questi giorni servono a impedire che il debito pubblico esploda e che trascini l’Italia in un gorgo senza fine. Ma per uscire dalla crisi davvero bisogna smagrire lo Stato. Stato che ancora nel 2013 spenderà il 49,6 per cento del Pil. In pratica, metà della ricchezza nazionale prodotta nel 2013 servirà a alimentare le spese delle varie amministrazioni dello Stato. In pratica, noi lavoriamo, guadagniamo dei soldi, lo Stato ce ne porta via circa la metà, e con questi denari finanzia le sue uscite. Poiché è impensabile che lo Stato prelevi ancora di più dalle nostre tasche (che si prenda cioè più di metà del nostro reddito) è evidente che la situazione è bloccata. Pur con un prelievo così elevato, lo Stato riesce appena a far fronte alle sue spese “naturali”. Da qui la necessità di continue manovre per coprire gli inevitabili sforamenti.


L’UNICA alternativa, allora, è quella che si diceva all’inizio: smagrire lo Stato, come il torsolo di una mela. Ridurre le spese in modo molto severo, in modo da lasciare più soldi nelle tasche dei cittadini e delle imprese. E anche per cominciare a ridurre un po’ il debito accumulato negli anni scorsi.
Due soli numeri. Oggi lo Stato spende circa 800 miliardi di euro all’anno (su un Pil di 1600). La storia degli ultimi decenni ci dice che è troppo: non c’è stata stagione in cui non abbia dovuto fare un prelievo extra per tenere sotto controllo i conti. In realtà, sono eccessivi gli 800 miliardi di spese. L’Italia, probabilmente, se ne potrebbe permettere solo 600, meglio ancora 500. A quel punto saremmo un paese normale. E le tasse non dovrebbero più aumentare tutti gli anni. E i pensionati potrebbero vivere tranquilli.