Chiara Gualzetti, "Quelle vite segrete negli smartphone"

La psicologa Maura Manca e il ruolo delle famiglie: "Bisogna parlare di più con i figli e non solo di scuola"

Il papà di Chiara Gualzetti

Il papà di Chiara Gualzetti

"La prima regola, quando si esaminano casi come quello di Monteveglio, è eliminare la parola ’colpa’. Per capire le tempeste dell’adolescenza di oggi non può esserci che un approccio multifattoriale". Maura Manca, psicologa, psicoterapeuta e presidente dell’Osservatorio Nazionale Adolescenza, è preoccupata ma non stupita dalla moltiplicazione dei fatti di cronaca.

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Perché?

"Assistiamo a dinamiche ricorrenti ed emulative. Atti estremi che ai giovani protagonisti appaiono non così estremi. E il disagio che emerge è solo la punta dell’iceberg".

Dolore e incredulità sono le prime reazioni. La domanda è sempre la stessa: ma questi ragazzi non si rendono conto?

"Purtroppo, la risposta è ’no’. E per cause anche biologiche. Negli adolescenti l’area prefrontale del cervello, quella addetta alla valutazione delle conseguenze delle proprie azioni e alle regolazione delle emozioni, segue percorsi di maturazione lenta e personale. Ecco perché l’incontro tra personalità non formate, che magari diventa relazione molto stretta nascosta agli altri dalla tecnologia, può determinare esiti pericolosi. Due pilastri instabili non si sorreggono a vicenda, caso mai collassano più velocemente".

Chiara e il suo killer condividevano rapporti mediati dai social. La verità sta nelle chat?

"Le perizie informatiche delineeranno con chiarezza il quadro in cui è maturato il fatto. Perché nelle chat i ragazzi vivono un presente assoluto che non prevede futuro e che li svela al naturale, nello stadio di incompetenza emotiva che li caratterizza fino ad assumere le decisioni più sbagliate".

In questo caso?

"Ogni protagonista agisce in funzione della sua realtà. Chiara accetta l’incontro, il suo coetaneo la uccide e lascia lì il corpo. Ogni decisione, dalla più ingenua alla più crudele, segna un fallimento e uno scollamento dalla realtà".

La vita segreta dei ragazzi e i loro problemi più intimi hanno ormai dimensione digitale. I genitori sono nei guai, sospesi tra la tentazione di inventarsi 007 informatici e la difficoltà di modificare il proprio approccio. Qual è la soluzione?

"Monitorare sempre. Avendo però la consapevolezza che anche possedendo tutte le password, i canali di comunicazioni oggi sono così tanti – e magari criptati – che qualsiasi contenuto davvero segreto potrebbe agevolmente restare tale. Col rischio di scoprirlo solo quando è tardi. Questi ragazzi vivono in un quotidiano bombardamento di messaggi. Vanno aiutati con l’ascolto".

Non sempre è facile rompere il guscio dell’isolamento favorito dalla tecnologia.

"Ci sono due antidoti di grande efficacia. Il primo è favorire la riconquista di rapporti sociali ’fisici’. Gruppi allargati come quelli della scuola, dello sport o delle tipiche compagnie dell’età adolescenziale, danno sostanza immediata alla maturazione e costituiscono preziose antenne in caso di dinamiche pericolose. Il secondo è a carico dei genitori e consiste nel promuovere un dialogo costante con i ragazzi. Bisogna parlare, parlare, parlare. E non mi sto riferendo ad argomenti scolastici, che spesso finiscono per rappresentare un mero tema prestazionale"

Quali segnali indicano che la situazione di un figlio va oltre i normali affanni dell’adolescenza?

"Sbalzi di umore non occasionali, cambiamento nello sguardo, nel linguaggio e nell’atteggiamento, isolamento volontario. Se questi sintomi diventano evidenti, allora bisogna agire con prontezza. Potenziando il confronto e chiedendo consiglio a figure professionali".