"Mai su quello sperone del Nanga, una sfida alla morte"

Simone Moro in ansia per Nardi: ognuno calibra i suoi rischi, io avrei avuto paura

Gli alpinisti dispersi Daniele Nardi e Tom Ballard (Ansa)

Gli alpinisti dispersi Daniele Nardi e Tom Ballard (Ansa)

Ancora silenzio e angoscia, mentre il maltempo continua a non dare tregua e assottigliare la speranza. Le condizioni meteo avverse hanno impedito anche ieri di avviare le ricerche dell’alpinista italiano Daniele Nardi e del suo compagno britannico Tom Ballard, di cui si sono persi i contatti da domenica scorsa in Kashmir mentre erano intenti a scalare un picco del Nanga Parbat, soprannominato ‘killer mountain’ Gli elicotteri, che sarebbero dovuti decollare dalla base di Skardu con a bordo l’alpinista basco Alex Txikon e i droni che servono per perlustrare le vie che teoricamente possono aver percorso i due scalatori, sono rimasti a terra a causa di fitte nevicate, nuvole a bassa quota e forti venti, come ha riferito lo staff di Nardi su Facebook. "Domani mattina (oggi, ndr), le condizioni dovrebbero migliorare e tenteremo di nuovo Ho parlato con Txikon, sempre molto d’aiuto", ha scritto su Twitter l’ambasciatore italiano in Pakistan, Stefano Pontecorvo.

Bergamo, 3 marzo 2019 - "Ciò che ha spinto Nardi e Ballard a salire questo sperone è sicuramente la bellezza estetica e la fama di questa via. Nardi era la quinta volta che ci provava ed evidentemente aveva reputato il coefficiente di rischio nei limiti per il suo standard di consapevolezza e di accettazione della fatalità".

Simone Moro, l’alpinista bergamasco delle grandi scalate invernali sugli ottomila, conosce bene i rischi che può comportare una salita su una montagna mastodontica, come può essere il Nanga Parbat (che ha conquistato per la prima volta nell’inverno 2016), e soprattutto le incognite di un via mai percorsa prima, nella stagione più difficile. 

Chi affronta un’impresa di tale portata su un ottomila in inverno si spinge inevitabilmente oltre un certo limite. Sembra quasi mettere in conto una sfida con la morte. Non è così? 

"Quando affronti un certo tipo di scalata il coefficiente di rischio che decidi di accettare è molto personale. Ognuno ha il suo, ma diciamo che è abbastanza standardizzato. È anche questo che rende una via ‘salibile’ o meno, insieme alla sua pericolosità. Vie che nessuno è mai riuscito a scalare prima devono rientrare in un coefficiente di difficoltà che uno riesce a controllare, almeno in parte".

È il caso dello sperone Mummery scelto da Nardi e Ballard?

"È probabilmente lo sperone più famoso nella storia. Già individuato dall’alpinista inglese Mummery nel 1895 (sessanta anni prima che il Nanga Parbat fosse conquistato). Lui ci andò sotto e decise che era troppo pericoloso. Cercò un’altra via e scomparve per sempre. I pericoli lì sono oggettivi".

Cosa ne pensa di questo tentativo? 

"Non voglio assolutamente dire che Nardi è un kamikaze, posso solo dire che non mi è mai venuto in mente di tentarlo perchè mi fa paura. Non proverò mai a salire quello sperone perché mi ha sempre messo timore".

Quali sono i pericoli? 

"Sono stato un anno sotto il Nanga Parbat, nove mesi sotto il versante Diamir, dove c’è lo sperone Mummery e ho sempre visto cadere valanghe tutti i giorni. Sopra lo sperone ci sono due seracchi giganteschi. Fette di ghiacciaio alte come palazzi che per effetto della gravità ogni tanto si staccano, precipitano e poi esplodono. Non è questione di tanta neve o poca neve. Cadono perchè il ghiacciaio scivola a valle. E la cosa spaventosa è che si tratta di un fenomeno talmente dirompente che i blocchi più piccoli che si formano dalla rottura del seracco che precipita sono grandi come un furgone e cadono da tutte le parti, anche lungo lo sperone Mummery. Fino ad oggi l’unico uomo che è passato da quelle parti ed è sopravvissuto è stato Reinhold Messner, in discesa. Disperato con il fratello cercava di fuggire dalla montagna e si è infilato in uno di quei terribili canali. Messner ce la fece, sopravvisse, suo fratello morì travolto da una valanga".