Cina-Usa, è scontro totale: Pelosi sbarca a Taiwan e Pechino alza i jet e lancia i missili

La speaker della Camera fa l’equilibrista: "Lo status quo non si discute". Ma a Xi potrebbe non bastare

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Nancy Pelosi non si piega ed atterra nella notte a Taiwan irritando profondamente la Cina che subito reagisce: "Non ci faremo umiliare…". La risposta arriva con l’annuncio di esercitazioni militari terra, mare e aria in piena notte sulla costa che si affaccia verso Taiwan a poche decine di chilometri dalla pista dove è fermo l’aereo della Pelosi con le insegne di stato americane. Esercitazioni con munizioni vere e pericolose che potrebbero includere il lancio di missili strategici contro le postazioni militari di Taipei col rischio di provocazioni e incidenti letali.

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Gli americani accusano Pechino di alzare la tensione per provocare una crisi artificiale, "visto che, anche quest’anno, diversi parlamentari americani hanno visitato l’isola, e nel 1997 lo stesso speaker della camera Gingrich aveva fatto altrettanto", sostiene il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan. Ma la nota da Washington non risparmia l’accusa di "tradimento" che il ministro degli Esteri cinese Wang Yi lancia sulla Casa Bianca indicando gli americani come "i più grandi distruttori della pace odierna".

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La tensione altissima costringe il portavoce della sicurezza nazionale americana ammiraglio John Kirby a buttare acqua sul fuoco. "Il viaggio di Pelosi a Taipei è un diritto. Gli Usa non sostengono l’indipendenza di Taiwan e continuano a supportare la politica dell’Unica Cina". Ma Mosca ha espresso il proprio sostegno a Pechino: il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha definito la missione di Pelosi una "pura provocazione" e "giustificato l’atteggiamento cinese". Il Comitato centrale del Partito Comunista cinese definisce il gesto "una grave violazione della sovranità e dell’integrità" precisando che la "riunificazione della madrepatria e il grande ringiovanimento della nazione sono entrati in un processo storico irreversibile". Infine Pechino convoca l’ambasciatore Usa.

Anche se in passato missili delle forze armate di Pechino furono usati come ammonimento contro le spinte indipendentiste dell’isola ribelle, questa volta la presenza nello stretto di forze navali Usa (non confermate però dal Pentagono), potrebbe aumentare il rischio scontro. I cinesi annunciano che le loro esercitazioni sono organizzate sull’intera costa che affaccia su Taiwan, quasi fosse un’azione a tenaglia. Le prossime 2448 ore durante le quali la Pelosi si incontrerà con i parlamentari taiwanesi, la presidente di Taipei e i maggiori uomini d’affari dell’isola, sono considerate cruciali. Pechino non intende perdere la faccia.

Pelosi esordisce con toni bilanciati: "La visita a Taiwan onora l’incrollabile impegno dell’America nel sostenere la vivace democrazia taiwanese. Le nostre discussioni con la leadership di Taiwan riaffermano il nostro sostegno e i nostri interessi condivisi incluso il progresso di una regione indo-pacifica libera e aperta…". Poi via Twitter ecco il cambio di tono e il ridimensionamento formale: "La nostra visita è una delle numerose delegazioni del Congresso a Taiwan e non contraddice in alcun modo la politica di lunga data degli Stati Uniti, ma non ci devono essere cambiamenti dello status quo". Non è la premessa o l’incoraggiamento ad una dichiarazione di indipendenza, ma a Pechino potrebbe non bastare.

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