Roma, 22 giugno 2014 - POTREBBE essere un’industria da 100 miliardi di euro l’anno, portare in Italia turisti da tutto il mondo, produrre ritorni giganteschi grazie ristorazione e merchandising. Invece, i nostri beni culturali sembrano condannati. Pochi investimenti (siamo oltre un punto sotto la media Ue) e una burocrazia elefantiaca dominata da sindacati vecchia maniera, ci costringono a guardare con invidia crescente i modelli stranieri. E così, mentre regioni intere raccolgono poche decine di migliaia di euro con i loro musei, il Louvre vale qualcosa come 100 milioni l’anno.
Partiamo dal numero dei visitatori. Nel 2013, secondo i dati ufficiali, sono stati 38,2 milioni, considerando sia musei che aree archeologiche. I siti più visitati sono, nell’ordine, il circuito di Colosseo, Foro romano e Palatino (5,6 milioni), gli Scavi di Pompei (2,4 milioni), gli Uffizi (1,8 milioni).

PER CAPIRE la dimensione di queste cifre, apparentemente positive, bisogna guardare all’estero: il Louvre, da solo, viaggia intorno ai 9,2 milioni. Ma è sul rientro economico che i conti non tornano. Il solo museo parigino totalizza 58 milioni di incassi, 15 di servizi ausiliari, 16 di donazioni di privati, più una decina di altre voci, che portano il totale a circa 100 milioni. Tutti i musei italiani nel 2013 non hanno superato i 90 milioni. Con picchi negativi che hanno quasi dell’incredibile. In Calabria gli introiti lordi 2013 di 14 strutture non hanno superato i 46mila euro: il Museo archeologico di Reggio Calabria, dove sono custoditi i Bronzi di Riace, si è fermato a 17mila euro con meno di 4mila ingressi in un anno.

L’elenco dei colpevoli è lunghissimo. C’è, anzitutto, il problema dei soldi. Il ministero dei Beni culturali ha a disposizione ogni anno circa 1,3 miliardi per tutelare e valorizzare il nostro patrimonio. In rapporto al Pil, secondo l’Eurostat, spendiamo ogni anno l’1,1%, contro una media Ue del 2,2%. E, nonostante questo, l’impatto sul nostro prodotto interno lordo è grandissimo: considerando il turismo, le imprese, i visitatori stranieri, si arriva a 68 miliardi, il 5% della nostra ricchezza totale. Ma potremmo fare molto meglio.

POI, C’È IL TEMA della mancanza di mentalità imprenditoriale. I modelli che cercano di integrare l’offerta culturale in senso stretto con altri elementi, come la ristorazione o il merchandising, sono ancora rari. L’associazione FareAmbiente ha descritto le sovrintendenze come strutture con «una mentalità ottocentesca che mira alla sola conservazione e non alla valorizzazione». L’apparato della pubblica amministrazione, poi, tende a soffocare molte iniziative. Il caso più eclatante è quello della recente polemica per l’apertura notturna del Colosseo: per consentire l’accesso ai turisti dopo le venti è stata necessaria una faticosa trattativa con Cgil, Cisl e Uil.

Matteo Palo