{{IMG_SX}}NAPOLI —  «LA CAMORRA ha sempre lucrato nel silenzio e nella disattenzione più o meno voluta dei pubblici poteri. Un Consiglio dei ministri a Napoli, l’annuncio del Guardasigilli sul 41 bis e l’interesse crescente dei media specie dopo il libro di Saviano non fanno piacere alla camorra. E soprattutto non le fa piacere l’offensiva dello Stato per colpire i suoi patrimoni. Quello che lei davvero non vuole è che si accenda l’attenzione sui suoi affari. È per questo che reagisce in maniera scomposta. Il suo è un messaggio di sfida».

POCHI conoscono il pozzo nero della camorra come Franco Roberti, capo della Direzione distrettuale antimafia di Napoli. E i segnali di questi giorni — l’omicidio del padre del pentito Bidognetti e di un imprenditore che si era ribellato, gli attacchi contro i campi rom e il rinfocolarsi della protesta contro le discariche — sono tutti sintomi che legge con preoccupazione.
 

Dottor Roberti, vuol dire che la camorra innalza il livello dello scontro?
«Purtroppo è un’analisi che condivido».
In quali direzioni vanno i segnali mandati dai clan?
«Innanzitutto agli affiliati, ai quali si vuole mandare un messaggio di ricompattamento. Anche i messaggi tra i capi detenuti e i latitanti ci dicono questo. Ma oltre a parlare ai propri affiliati i boss mandano un segnale forte anche allo Stato: che sono loro ad avere ancora il controllo del territorio».
Vi aspettavate una reazione del genere?
«Chi conosce la mentalità dei clan casalesi non poteva non aspettarsela: è gente che non si rassegna. Non vi era alcun dubbio che avrebbero reagito a loro modo. Il problema è che ora dobbiamo avere mezzi e strutture adeguati per vincere. Reclamiamo uno sforzo straordinario dei ministeri della Giustizia, dell’Interno e della Difesa. Se vogliamo vincere davvero servono risorse, e servono subito».
Anche per questo la camorra soffia sul fuoco della questione rifiuti?
«La camorra lucra parassitariamente e ha interesse che il sistema non funzioni, perché meno funziona più lei guadagna».
Quindi dietro agli episodi di guerriglia ci sono i clan?
«Non direttamente. Dietro la rabbia ci sono semmai gli interessi organizzati che soffiano sul fuoco. La storia del controllo camorristico del ciclo dei rifiuti è una storia di corruzione e di relazioni criminali tra i clan, molte amministrazioni locali, i consorzi, alcune aziende, alcuni speculatori»
E quindi?
«E quindi è necessario superare il sistema dei consorzi, municipalizzare lo smaltimento e abolire il commissariato straordinario: un carrozzone inutile che succhia risorse. Deve essere chiaro che uscire dall’emergenza significa uscire dal commissariato straordinario».
La presenza di camorristi negli attacchi ai campi rom ha una valenza politica? È un altro avvertimento allo Stato?
«Francamente non credo. In un territorio che è infestato di camorra è probabile che il clan Sarno, che è il clan egemone a Ponticelli, abbia visto alcuni suoi affiliati andare a incendiare il campo rom. Ma non è questo l’interesse del clan in quanto tale: lo è di alcuni affiliati, che interpretano il sentimento prevalente in certe zone».
Il che è pure peggio: vuol dire che l’intolleranza è diffusa.
«Per certi versi sì, è pure peggio».