{{IMG_SX}}Roma, 15 gennaio 2008 - L' attività della casalinga può essere considerata alla pari del lavoro esterno.E' quanto emerge da una nuova sentenza della Cassazione. Il giudice, per determinare l'assegno di mantenimento, deve tener conto del lavoro svolto dalla moglie rimasta in casa mettendolo sullo stesso piano di quello fatto fuori casa dal marito. Ciò perché entrambe le attività hanno permesso la costituzione del patrimonio familiare e anche perché il fatto che la donna si sia dedicata alle attività domestiche ha consentito la realizzazione professionale di lui e reso più difficile per lei inserirsi nel mercato del lavoro ad una certa età.

 

E' il contenuto della sentenza numero 593 depositata il 14 gennaio 2008 dalla prima sezione civile della Suprema corte. Gli 'Ermellini' hanno accolto il ricorso incidentale di una donna che, dopo essersi separata, aveva cercato di reinserirsi a 45 anni nel mercato del lavoro trovando soltanto posti precari e dovendosi poi licenziare per una brutta depressione. Lei chiedeva che fosse rideterminata la somma dell'assegno di mantenimento quantificata dalla Corte d'appello di Roma. La Suprema corte ha condiviso le sue ragioni cassando la sentenza della corte Territoriale capitolina dal momento che, si legge in sentenza, "non ha fatto alcuni riferimento al contributo che la donna, casalinga e madre, aveva apportato alla conduzione familiare durante la ventennale convivenza, né ha manifestato l'intenzione di considerare comunque prevalente il criterio basato sulle condizioni economiche delle parti".

 

Inoltre, il giudice che si trova a dover determinare un assegno di mantenimento dovrà tener conto dell'apporto economico di entrambi i coniugi, considerando che quello della moglie casalinga non è inferiore a quello del marito lavoratore.