custom logo
S come Suzuka, S come Senna, S come SchumiLeo Turrini - 3 ottobre 2018

Io credo non sia un caso.
Dubito fortemente possa trattarsi di una coincidenza.
Come taluni frequentatori di questo ameno luogo forse rammenteranno, banalmente a mio parere Senna e Schumi sono i migliori piloti dell’era moderna (che per mia comodità, io faccio partire dai giorni di Lauda).
Di Ayrton ero amico.
Per Michael ho provato una venerazione sconfinante nell’idolatria.
Per l’uno e per l’altro, Suzuka ha rappresentato il Luogo. Con la maiuscola. Ovviamente sono stati formidabili anche a Spa o a Montecarlo o a Monza.
Ma è a Suzuka che li aspettava la Storia.
Nel 1988, trenta anni fa, Senna vinse lì il suo primo titolo. Disse di avere visto Gesù sotto il casco durante l’ultimo giro. Onestamente, pensai che il delirio (suo) di onnipotenza potesse manifestarsi in strani modi.
Ma quando, meno di sei anni dopo, il 3 maggio del 1994, lo accompagnavo a casa, lui chiuso in una bara, io seduto accanto sull’aereo, mi venne voglia di cambiare idea. Avevo un groppo in gola e un brivido lungo la schiena. Mi dicevo: uno non muore fin quando qualcuno è in grado di ricordarlo.
E io di Senna mi ricordo tutto. Il bello e il brutto. Suzuka e le collisioni con Prost. Le ingiustizie che ha subito e le porcherie che ha fatto. Era così fragilmente umano, nella sua pretesa invulnerabilità. Era imperfetto. Come me. Come tutti.
Lo era, imperfetto, anche Schumi, fragile dietro quella apparente corazza. Lui non l’ho conosciuto umanamente. Non voleva aprirsi, se non con la gente che lavorava per lui. Per questo molti lo detestavano cordialmente. Io invece gli volevo bene, a sua insaputa.
Se potessi, oggi gli donerei un poco della mia memoria, per permettergli di recuperare il ricordo di diciotto anni fa, l’8 ottobre del 2000, la fine di un incubo che per me durava da ventuno anni, per lui da cinque. E me lo rivedo, a vittoria consumata, quando rientra ai box, esce dall’abitacolo, si toglie il casco. C’è da qualche parte un video, molto lungo,è senza commento, solo rumori di fondo. Io ero lì, è sempre una emozione fortissima.
Ah, se si potesse fare un patto: via le memorie brutte per ridarla a Michael, la capacità di rievocare il passato! So che è impossibile e mi dispiace e medito su chi nell’esistenza ha sperimentato e sperimenta una sofferenza così, per conto terzi, a cospetto del prossimo ferito.
E ancora mi viene in mente Suzuka2003, il sorpasso su Fangio, la sensazione di assistere ad un evento epocale.
Ecco, questi sono i miei eroi. Questo è quello che la Formula Uno ha dato me. Questo è il mio modo di vivere le corse, di rielaborarne il contenuto, lo sviluppo, l’epilogo.
Chi ha conosciuto la Suzuka di Senna e Schumi si accontenterebbe di poco, cioè di interlocutori che condividano questo tipo di sentimento.
Forse siamo rimasti in pochi.