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Ma cosa significa “essereFerrari”?Leo Turrini - 15 marzo 2023

Naturalmente non è una bella notizia apprendere che Carletto andrà in penalità sulla griglia di partenza già alla seconda tappa della stagione.
Anzi, facciamo che è un contributo al peggioramento del mio stato depressivo.
Dopo di che.
Cosa significa, oggi, “essere Ferrari”?
Prima cosa.
Io ho molta simpatia per il parroco di campagna francese. Ho spiegato a Vasseur che i tortellini li mangia solo qui e credo abbia capito.
Non ha ancora capito, l’amico Fred, che se stai a Maranello non puoi meravigliarti della enorme pressione che circonda il team e della inevitabile immensa delusione che accompagna un debutto disastroso come quello di Sakhir.
Essere Ferrari significa rendersi conto. Di dove sei e di cosa rappresenti. Se fai una cazzata al box Mercedes o Red Bull, forse se ne accorgono soltanto Rosato, Gabbosprint e Mauro con le sue faccette qui sul Clog (cioè, non se ne accorgono, i miei tre amici, perché ancora non hanno capito che Hamilton ad Abu Dhabi chiese di entrare a cambiare le gomme, perché lui sì che aveva compreso) e quattro amici in un bar di Bibitari nei dintorni di Vienna.
Invece se fai una puttanata in Ferrari un istante dopo sei processato sul web, sui social, in tv, alla radio, sui giornali.
Vasseur può sempre chiedere a Todt. Il Pinguino era un figuro detestabile per molte cose, ma fece in fretta ad intuire dove era capitato.
Tutto questo vale come promemoria. È inutile lamentarsi per il turbinio di voci/illazioni/indiscrezioni. Non è che in Ferrari ci sia un esercito di talpe. È che la Ferrari è al centro dell’universo corsaiolo. E lo sarà sempre.
Faccio un esempio.
Quanti tra voi sanno chi sia L’omologo di Laurent Mekies in Mercedes o in Red Bull o in Aston Martin?
Quanti pensano che Red Bull vinca perché hanno un Mekies più bravo del nostro?
Traduco: non di rado si parla di niente. A me Mekies piace tantissimo, mi ricorda Aramis il moschettiere. Ma gente così è utile, preziosa, però non ti fa vincere i mondiali.
Quello che voglio dire è, scoprendo l’acqua calda, che la F1 è tecnologia che si somma all’elemento umano. Montezemolo, che sentimentalmente condivide con me ogni giorno il dolore per questo sciatto presente, creò il Dream Team puntando su un top manager come Todt, su un super progettista come Byrne, su un geniale dt come Brawn e su un pilota della madonna come Schumi.
Io c’ero, ho visto e vissuto tutto. Essere Ferrari significa farla finita con le stronzate della “cooperativa”, con le menate della struttura orizzontale, con una comunicazione che non sa gestire manco uno spiffero. Ma come cazzo e’ possibile che la Ferrari non abbia una risposta, giusta o sbagliata che sia, per le migliaia di scempiaggini che ne raccontano il presente?
Benedetto Vigna è l’amministratore delegato della azienda. Non lo conosco, immagino sia un genio, so che alla F1 ci tiene.
Chieda consiglio a Piero Ferrari, su cosa vuol dire essere Ferrari.
Il resto, non so quando, verrà.
Forse.