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L’ultimo venerdì di RatzenbergerLeo Turrini - 30 ottobre 2020

Fra le tante cose che hanno preceduto il week end di Imola, la più gradita è stata la conferma in Alfa di KR7 e di Giovinazzi.
La meno gradevole è stata la parziale retromarcia di Verstappen a proposito degli insulti lanciati a Stroll attingendo al classico repertorio di chi ha una idea infame dei disabili.
Purtroppo fuori dall’abitacolo l’olandese somiglia a quegli idioti che un tempo imbrattavano i muri delle latrine negli autogrill e oggi si sfogano sul web (grazie alle competenti autorità, conosco anche l’identità vera di taluni che lo fanno pure qui sotto, eh. Peccato per le loro famiglie).
Al netto di tutto questo, aspettando una F1 a Imola dopo 14 anni, insomma, mi è tornato in mente un antico motivo di riflessione.
Pungente.
Chissà come fu, l’ultimo venerdì di Roland Ratzenberger. Era il 29 aprile del 1994 e quel giovanotto, più o meno mio coetaneo, sarà andato a dormire chiedendosi se il giorno dopo, il sabato, sarebbe stato in grado di strappare la qualificazione allo start del Gran Premio.
Quante volte, nelle nostre vite, siamo stati attraversati da rimorsi, rimpianti, dubbi, incertezze? Quante volte ci siamo immaginati oltre il muro dell’altrui scetticismo, sentendoci sicuri di poter ottenere quanto, in cuor nostro, ritenevamo di meritare?
Mi sono rivisto, anche per una ragione generazionale, nell’ultima notte di Roland. Per lui il destino aveva in serbo il rifiuto feroce ed irreversibile del sogno, eppure io rimango convinto che qualcosa rimanga sempre e per sempre.
Comunque.
Quando la memoria mi riporta lì, al primo atto di una tragedia non solo sua, affannosamente ripeto a me stesso che nessuno muore mai davvero, fin quando qualcuno è in grado di ricordarlo.
Io me lo ricordo, Roland Ratzenberger. Ricordo il suo ultimo venerdì.
Fatelo anche voi.